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La sentenza emessa il 20 marzo dalla Corte europea dei diritti umani, secondo la quale sono stati violati i diritti alla libertà, alla sicurezza e alla libertà d’espressione dei due giornalisti turchi Mehmet Altan e Şahin Alpay, apre uno spiraglio di speranza per migliaia di persone arrestate arbitrariamente.
“La sentenza è una chiara condanna del sistema giudiziario della Turchia: afferma che la detenzione preventiva per quasi 20 mesi di Mehmet Altan e Şahin Alpay è stata non solo ingiusta ma anche illegale e conferma quanto già era chiaro, ossia che oltre 100 giornalisti sono finiti in carcere solo a causa del loro lavoro”, ha dichiarato Gauri van Gulik, direttrice per l’Europa di Amnesty International.
“A cominciare da Mehmet Altan, ora le porte delle prigioni della Turchia devono aprirsi consentendo ai giornalisti, agli attivisti e ai difensori dei diritti umani, tra cui il presidente di Amnesty International Turchia Taner Kılıç, di tornare in libertà”, ha concluso van Gulik.
Ulteriori informazioni
Il 16 marzo, a seguito di una sentenza di gennaio della Corte costituzionale, un tribunale di Istanbul aveva ordinato il rilascio su cauzione di Şahin Alpay.
Il mese scorso Mehmet Altan è stato condannato all’ergastolo per “aver tentato di sovvertire l’ordine costituzionale”, sebbene avesse solo espresso le sue opinioni e nonostante la sentenza della Corte costituzionale avesse stabilito che i suoi diritti alla libertà, alla sicurezza e alla libertà d’espressione erano stati violati.
La sentenza emessa il 20 marzo dalla Corte europea dei diritti umani è la prima riguardante persone arrestate dopo il tentato colpo di stato del luglio 2016. Decine di giornalisti e altri esponenti della società civile in carcere, compreso il presidente di Amnesty International Turchia Taner Kılıç, stanno attendendo analoghe sentenze.
Taner Kılıç è in carcere dal giugno 2017. Era stato rilasciato su cauzione il 31 gennaio 2018 ma il giorno dopo lo stesso tribunale aveva annullato la sua decisione. Nonostante l’assenza di qualsiasi credibile prova nei suoi confronti, è sotto processo per “appartenenza a un’organizzazione terroristica”.