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In tutto il Brasile, molte popolazioni native sono in isolamento volontario e hanno chiuso le strade di accesso ai propri villaggi per proteggersi dalla pandemia di Covid-19. Come ci ha detto recentemente al telefono un’infermiera nativa: “Spiego l’importanza di non lasciare i nostri villaggi. Siamo oltre 400 in questa area. Se uno di noi contrae il Covid-19, potremmo infettarci tutti“.
Con la conferma a inizio aprile del primo caso – una donna di 20 anni del gruppo etnico dei Kokama che è risultata positiva al virus, nello stato di Amazonas – aumentano i timori per la diffusione del virus tra le popolazioni native.
In Brasile, queste paure hanno una lunga storia. Le epidemie di malattie infettive hanno colpito più volte le comunità native, con effetti ancora più gravi a causa delle scarse condizioni dei servizi sanitari erogati dal governo. Per questo abbiamo recentemente parlato con due operatori sanitari del Segretariato speciale per la salute degli indigeni del Brasile.
Ciò che ci hanno riferito (mancanza di dispositivi di protezione e disinfettanti per le mani tra gli operatori del Sesai unitamente a una carenza generale di personale) non lascia presagire niente di buono per le prossime settimane e i prossimi mesi ed è il risultato di anni di budget ridottissimi per l’ente. La situazione preoccupante ha spinto la Coalizione dei popoli indigeni del Brasile-Apib a chiedere al governo di attuare un piano di emergenza.
E mentre la pandemia da Covid-19 minaccia la salute delle popolazioni native nell’Amazzonia brasiliana, la pressione sulle loro terre ancestrali aumenta, con i grileiros, privati che acquisiscono illegalmente i terreni, che intravedono un’opportunità per sfruttare la crisi. Sebbene al momento in Amazzonia sia la stagione delle piogge (che va approssimativamente da ottobre a maggio) molti grileiros sono in azione, mappano lotti e tagliano sentieri di accesso attraverso la giungla.
Prima del Covid-19 c’era già una crescente pressione sull’Amazzonia brasiliana. Con l’utilizzo del monitoraggio satellitare della deforestazione, l’Istituto nazionale brasiliano per la ricerca spaziale ha registrato la perdita di 469 km² in Amazzonia durante i primi due mesi del 2020 – fino al 71,2 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2019.
Uno degli effetti inevitabili del lockdown volontario nei villaggi nativi è la riduzione della capacità di sorveglianza dei propri territori. Un leader manoki nello stato di Mato Grosso ha dichiarato che i pattugliamenti, effettuati insieme all’Istituto brasiliano per l’ambiente e le risorse naturali rinnovabili (Ibama) nel mese di febbraio del 2020, avevano riscontrato nuovi sentieri nel loro territorio e segnali posti da poco da parte dei grileiros per delimitare nuovi appezzamenti di terreno. Ha aggiunto “Adesso abbiamo sospeso i monitoraggi. Avevamo un sopralluogo in programma per aprile ma l’abbiamo annullato“.
Il decreto brasiliano secondo il quale la protezione ambientale rientra tra i “servizi essenziali” durante la pandemia esiste solo sulla carta. In pratica, nelle attuali circostanze, le autorità ambientali hanno minore capacità di attuare il loro ruolo atto a far rispettare la legge. Ad esempio, un funzionario della Fondazione nazionale dell’indio (Funai, l’ente statale che supervisiona la demarcazione dei territori e altri temi che riguardano i popoli nativi) nello stato di Pará ha dichiarato, mantenendo l’anonimato, che almeno un presidio fondamentale nella regione di Altamira era passato dalle solite quattro persone a due.
Secondo un recente calcolo pubblicato dalla Reuters, circa un terzo degli agenti operativi dell’Ibama non andranno direttamente sul campo perché maggiori di 60 anni o per patologie pregresse, condizioni che li espongono a un rischio maggiore di contrarre il virus. Inoltre per il personale che effettua sopralluoghi esistono anche difficoltà logistiche causate dalla riduzione del numero dei voli e dalle chiusure di alberghi e ristoranti.
Si tratta di difficoltà che sono la conseguenza di un anno di indebolimento del sistema brasiliano di ispezioni e monitoraggio delle aree protette a opera del governo Bolsonaro. Ci sono stati cambiamenti fondamentali nel personale: con una mossa particolarmente preoccupante, un ex-missionario è stato recentemente nominato capo del dipartimento Funai per le tribù isolate e di recente contatto.
Durante il 2019, i budget sono stati tagliati e i pattugliamenti ridotti. Le sanzioni ambientali dell’Ibama nel 2019 sono diminuite del 34 per cento rispetto al 2018. Al contempo, come abbiamo documentato nel novembre 2019, alcuni allevatori di bestiame e i grileiros hanno intensificato i loro sforzi per accaparrarsi illegalmente aree protette per far pascolare lì il bestiame.
I pochi funzionari governativi rimasti in prima linea sono estremamente preoccupati. Un agente ambientale responsabile del parco nazionale dello stato della Rondônia, che ha parlato in forma anonima, ci ha detto che erano stati informati “dell’intenzione da parte di invasori di sfruttare la situazione (della pandemia) per invadere, questa settimana“. Un altro funzionario Funai che si occupa del territorio dei nativi nello stato della Rondônia ha detto che “il crimine organizzato approfitterà della fragilità dello stato durante la pandemia per attaccare e distruggere le aree protette“.
Il Covid-19 e la frenata economica che ne deriverà indicano che il governo brasiliano deve fare di più, non di meno, per proteggere i popoli nativi e l’Amazzonia. Il Brasile dovrebbe garantire ai popoli nativi un eguale accesso alla sanità e alle misure di protezione nel contesto della pandemia di Covid-19.
Con urgenza, è altresì necessario che il Brasile migliori i sistemi di monitoraggio e pattugliamento dei territori nativi e delle aree naturali protette nella regione dell’Amazzonia, prendendo ogni necessaria misura per garantire la sicurezza dei funzionari governativi. Nei prossimi mesi, il Brasile deve rafforzare gli enti di protezione ambientale e dei popoli nativi, anche con risorse umane ed economiche. È necessario che le autorità garantiscano che l’attuale crisi sanitaria non rappresenterà per i grileiros un’opportunità per distruggere la foresta amazzonica.
Articolo di Richard Pearshouse, direttore del programma Crisi e ambiente di Amnesty International e Jurema Werneck, direttrice generale di Amnesty International Brasile su Thomson Reuters Foundation.