Shell a processo per accuse sul suo operato in Nigeria: “Giornata storica”

12 Febbraio 2019

@Amnesty International

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La vicenda dell’operato di Shell in Nigeria affonda le proprie origini negli anni Novanta, ma ora sembra arrivata a una svolta: il 12 febbraio è fissata la prima udienza presso il tribunale distrettuale dell’Aja di un processo storico nei confronti della compagnia petrolifera accusata di aver istigato una serie di terribili violazioni dei diritti umani commesse dal governo militare nigeriano contro la popolazione ogoni.

Nel 2017 in particolar modo l’attivista Esther Kiobel, ma anche Victoria Bera, Blessing Eawo e Charity Levula hanno portato in giudizio Shell di fronte al tribunale olandese per il ruolo svolto nell’arresto illegale, nell’imprigionamento e nell’impiccagione dei loro rispettivi mariti, al termine della brutale repressione nei confronti delle proteste degli ogoni contro il devastante inquinamento causato da Shell nella loro regione.

“Per tutti questi anni, Shell ha cercato di impedire che questo caso arrivasse in tribunale. Ha impiegato le sue risorse per combattermi anziché per dare giustizia a mio marito”, ha dichiarato Esther Kiobel.

Fin dall’inizio abbiamo sostenuto la battaglia di Esther, non fermiamoci ora.

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Stiamo infatti sostenendo le ricorrenti e il loro team di avvocati, abbiamo documentato in modo indipendente il ruolo di Shell nelle uccisioni, negli stupri e nelle torture di cui si rese responsabile il governo nigeriano durante la repressione delle proteste.

Ad esempio, attraverso il progetto decoder, una innovativa piattaforma sviluppata dai nostri esperti per condividere la ricerca sui diritti umani, abbiamo attivato migliaia di attivisti e sostenitori per raccogliere dati sulle fuoriuscite di petrolio nel Delta del Niger. Le conclusioni sono state analizzate dai nostri ricercatori e verificate da Accufacts, un organismo indipendente di esperti petroliferi.

Barinem Kiobel, Baribor Bera, Nordu Eawo e Paul Levula vennero impiccati nel 1995 al termine di un processo sommario. Le loro vedove chiedono ora un risarcimento e scuse pubbliche da parte di Shell. Altri cinque attivisti ogoni, tra cui il loro leader Ken Saro-Wiwa, furono a loro volta impiccati in quella che è passata alla storia come la “vicenda dei nove ogoni”.

Sono oltre 20 anni che Esther Kiobel si batte coraggiosamente contro la Shell, il gigante del petrolio, per ottenere giustizia per l’uccisione del marito, Barinem Kiobel.

Barinem ha speso la vita per difendere i diritti della propria terra, l’Ogoniland, in Nigeria, devastata dalle perforazione petrolifere e saccheggiata delle sue risorse. Devastazione in cui la Shell ha più volte mostrato di essere complice.
La morte dell’uomo – avvenuta per opera della giunta militare nigeriana – ha rappresentato il culmine di una brutale campagna per ridurre al silenzio le proteste del Movimento (Mosop) per la sopravvivenza del popolo ogoni.

Barinem Kiobel è morto il 10 novembre 1995 insieme ad altri otto uomini in quello che è passato alla storia come il caso dei “nove Ogoni”. Le esecuzioni provocarono uno sconcerto mondiale.

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Si tiene oggi la prima udienza di un processo storico nei confronti della compagnia petrolifera accusata di aver istigato una serie di terribili violazioni dei diritti umani commesse dal governo militare nigeriano contro la popolazione ogoni.

Shell a processo: una giornata storica

“Oggi è una giornata storica di enorme importanza per tutti coloro che sono danneggiati dall’avidità e dalle azioni sconsiderate delle multinazionali”, ha aggiunto Dummett.

Portare a processo una potente multinazionale per i danni causati all’estero è un processo lungo e straziante.

Il primo tentativo di chiamare in causa Shell, in un tribunale di New York, da parte di Esther Kiobel risale al 2002 e si è chiuso nel 2013 quando la Corte suprema degli Usa ha concluso che gli Usa non avevano competenza giuridica per esaminare il caso: in altri termini, i tribunali statunitensi non esamineranno mai nel merito le denunce mosse contro Shell.

Le quattro ricorrenti accusano Shell di aver avuto un ruolo nell’arresto illegale e nella detenzione dei loro mariti, nella violazione della loro integrità fisica, del diritto a un processo equo e del diritto alla vita; e nel diritto delle une e degli altri alla vita familiare. Esse chiedono al tribunale di ordinare a Shell di consegnare oltre 100.000 documenti interni di grande rilevanza per il caso.

Gli avvocati di Shell hanno finora rifiutato di farlo, anche se la stessa documentazione era stata già messa a disposizione in occasione della denuncia al tribunale di New York.

“È venuto il momento di porre fine a decenni d’impunità per Shell. Il coraggio, la resilienza e la determinazione di queste donne per ripristinare la reputazione dei loro mariti e chiamare Shell a rispondere del suo operato è motivo di ispirazione. Loro sanno di avere il sostegno di tutti gli attivisti di Amnesty International nel mondo”.

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