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Siria, Amnesty International denuncia: Raqqa in rovina dopo la “guerra di annichilimento” diretta dagli Usa, popolazione locale devastata
Alla vigilia dell’anniversario della “liberazione” di Raqqa dal gruppo armato auto-proclamatosi Stato islamico, dalle macerie gli abitanti si chiedono ancora perché la coalizione militare diretta dagli Usa abbia distrutto la città e ucciso centinaia di civili.
Attraverso visite a 42 siti teatro dei bombardamenti della coalizione e interviste a 112 abitanti sopravvissuti alla carneficina in cui hanno perso i loro cari, Amnesty International ha redatto il rapporto “Guerra di annichilimento: devastanti perdite di vite umane a Raqqa, Siria” nel quale solleva dubbi sulle dichiarazioni della Coalizione secondo cui le sue forze hanno fatto quanto necessario per ridurre al minimo le perdite civili.
Il rapporto racconta in dettaglio le storie di quattro famiglie devastate dagli incessanti bombardamenti aerei. Complessivamente, tra vicini e parenti, le quattro famiglie hanno perso 90 persone (una sola famiglia ha avuto 39 vittime), in quasi tutti i casi per responsabilità della coalizione.
Questi quattro fanno parte di un numero assai maggiore di attacchi la cui analisi porta alla conclusione che molti di essi, uccidendo e ferendo civili e distruggendo abitazioni e infrastrutture, abbiano violato il diritto internazionale umanitario.
“Quando un così alto numero di civili viene ucciso di attacco in attacco, c’è evidentemente qualcosa che non va. Ciò che rende la tragedia persino peggiore è che molti mesi dopo non ci sono indagini. Le vittime meritano giustizia”, ha dichiarato Donatella Rovera, alta consulente di Amnesty International per le risposte alle crisi.
“L’affermazione della coalizione che la sua campagna di attacchi aerei di precisione abbia permesso di liberare Raqqa causando assai poche vittime civili non sta in piedi. A Raqqa abbiamo visto un livello di distruzione assimilabile a qualsiasi altra situazione vista in decenni di analisi dell’impatto delle guerre”, ha aggiunto Rovera.
“I quattro anni di dominio dello Stato islamico su Raqqa sono stati pieni di crimini di guerra. Ma le violazioni commesse dallo Stato islamico, compreso l’uso degli scudi umani, non solleva la coalizione dai suoi obblighi di prendere tutte le precauzioni possibili per ridurre al minimo le perdite civili. A radere al suolo la città e a uccidere e ferire così tanti civili è stato il ripetuto uso di armi esplosive in zone popolate dove era noto che erano intrappolati dei civili. E le armi di precisione sono precise solo quando lo è l’obiettivo scelto da colpire”, ha sottolineato Rovera.
Una “guerra di annichilimento”
Poco prima dell’inizio della campagna militare, il segretario Usa alla Difesa James Mattis promise una “guerra di annichilimento” contro lo Stato islamico.
Dal 6 giugno al 12 ottobre 2017 le operazioni militari della coalizione per liberare la cosiddetta “capitale” dello Stato islamico uccisero o ferirono migliaia di civili e distrussero buona parte della città. Abitazioni, edifici pubblici e privati e infrastrutture furono rase al suolo o danneggiate in modo da non poter essere più riparate.
Gli abitanti finirono in trappola, nel fuoco incrociato in corso nelle strade di Raqqa tra i militanti dello Stato islamico e i combattenti delle Forze democratiche a guida curda sostenuti dagli incessanti attacchi aerei e di artiglieria della coalizione. Lo Stato islamico minò le strade d’uscita e sparò contro chi cercava la fuga. Centinaia di civili vennero uccisi nelle loro case, nei luoghi in cui avevano cercato rifugio o mentre tentavano di fuggire.
Gli aerei statunitensi, britannici e francesi portarono a termine decine di migliaia di attacchi aerei: le forze Usa hanno ammesso di aver esploso 30.000 colpi di artiglieria e di aver compiuto il 90 per cento degli attacchi aerei.
“Un alto ufficiale statunitense ha dichiarato che a Raqqa sono stati esplosi più colpi di artiglieria dalla fine della guerra del Vietnam. Dato che hanno un margine di errore di oltre 100 metri, non ci si deve meravigliare che il risultato sia stato un massacro di civili”, ha commentato Rovera.
Una carneficina di civili
Le vittime menzionate nel rapporto di Amnesty International appartenevano a ogni strato socio-economico di Raqqa e avevano un’età compresa tra uno e 80 anni. Alcune erano state costrette a rimanere in città non potendo permettersi di pagare un trafficante. Altre, dopo aver lavorato per tutta la vita, temevano di avere troppo da perdere lasciandosi alle spalle le case e i negozi.
Le loro terribili storie e le immense perdite subite contrastano completamente con le ripetute affermazioni della coalizione, secondo le quali sono state utilizzate grandi cautele per ridurre al minimo le perdite civili.
Nel settembre 2017, al culmine del conflitto, il comandante della coalizione generale Stephen Townsend, scrisse che “non c’è[ra] mai stata una campagna aerea più precisa nella storia dei conflitti armati”.
Munira Hashish, sopravvissuta ai bombardamenti, racconta una realtà diversa: “Chi rimaneva moriva, chi cercava di fuggire moriva. Non avevamo i soldi per pagare i trafficanti, eravamo intrappolati a Raqqa”. Alla fine, la donna e i suoi figli sono riusciti a salvarsi passando attraverso un campo minato “camminando sul sangue di coloro che erano saltati in aria prima”.
Le quattro famiglie di cui parla il rapporto hanno sofferto l’indicibile.
Gli Aswad erano una famiglia di commercianti che avevano lavorato duro per potersi costruire una casa. Alcuni di loro erano rimasti lì, rifugiati nella cantina, per proteggere i loro beni dai saccheggi. Ma il 28 giugno un bombardamento della coalizione distrusse l’edificio, uccidendo otto civili, quasi tutti bambini. Un altro parente morì saltando su una mina collocata dallo Stato islamico mentre stava cercando di rientrare in città per recuperare i corpi.
Nonostante ripetuti tentativi di fuga, gli Hashish hanno perso 18 parenti, soprattutto donne e bambini, nel corso di tre settimane dell’agosto 2017. Un attacco aereo ne uccise nove; sette morirono sulle mine dello Stato islamico e altri due a seguito di un colpo di mortaio esploso dalle Forze democratiche siriane.
La storia della famiglia Badran spiega meglio di tutte quanto fosse drammatica la situazione dei civili intrappolati a Raqqa. Nel corso di alcune settimane, 39 parenti restarono uccisi in quattro distinti attacchi aerei della Coalizione, mentre si spostavano da un luogo all’altro cercando disperatamente di stare lontano dalla mutevole linea del fronte.
“Pensavamo che le forze che erano venute ad espellere Daesh [lo Stato islamico] avrebbero dovuto sapere cosa fare, prendere di mira Daesh e risparmiare i civili. Ci siamo resi conto di quanto fossimo ingenui. Quando capimmo quanto fosse pericoloso spostarsi da un posto all’altro, era troppo tardi. Eravamo già in trappola”, ha raccontato ad Amnesty International Rasha Badran. Dopo diversi tentativi di fuga, lei e suo marito riuscirono finalmente nell’intento, lasciando alle spalle la loro intera famiglia, compreso il loro unico figlio Tulip, di un anno, che poi dovettero seppellire accanto a un albero.
Durante le ultime ore della battaglia, il 12 ottobre 2017 un raid della coalizione nel quartiere di Harat al-Badu, dove era noto che lo Stato islamico usasse civili come scudi umani, eliminò l’intera famiglia Fayad. La morte di Mohammed “Abu Saif” Fayad e di 15 tra vicini e parenti fu tanto più insensata dato che, solo poche ore dopo, un accordo tra le Forze democratiche siriane e la coalizione con lo Stato islamico consentì ai combattenti dello Stato islamico ancora in città di uscire liberamente da Raqqa.
“Se la coalizione e i loro alleati delle Forze democratiche siriane erano pronti a garantire un passaggio sicuro d’uscita e di conseguenza l’impunità ai combattenti dello Stato islamico quale possibile vantaggio militare sarebbe stato ottenuto distruggendo praticamente un’intera città e uccidendo così tanti abitanti?”, si è chiesto Benjamin Walsby, ricercatore di Amnesty International sul Medio Oriente.
Potenziali crimini di guerra
Quelli descritti nel rapporto sono un esempio di un modello più ampio di attacchi da parte della coalizione. Vi sono prove consistenti che i bombardamenti e gli attacchi con l’artiglieria hanno ucciso e ferito migliaia di civili, anche a seguito di attacchi sproporzionati o indiscriminati in violazione del diritto internazionale umanitario e che dunque devono essere considerati potenziali crimini di guerra.
Amnesty International ha scritto a funzionari della Difesa di Usa, Regno Unito e Francia – gli stati che hanno compiuto attacchi aerei su Raqqa – chiedendo ulteriori informazioni sugli attacchi riportati nel rapporto e su ulteriori attacchi del genere. L’organizzazione per i diritti umani ha chiesto dettagli sulle tattiche della coalizione, sui metodi d’attacco, sulla scelta degli obiettivi, delle precauzioni prese in vista degli attacchi e su eventuali indagini svolte.
Amnesty International sollecita gli stati e le forze della coalizione a indagare in modo imparziale e approfondito sulle denunce di violazioni e di vittime civili e a rendere pubbliche la dimensione e la gravità delle perdite di vite civili e della distruzione di proprietà civili a Raqqa.
Questi soggetti dovrebbero rendere noti i risultati delle loro indagini e ogni informazione-chiave sugli attacchi in modo da poter valutare se sia stato rispettato il diritto internazionale umanitario. Essi dovrebbero inoltre rivedere le procedure sulla base delle quali verificano l’attendibilità delle denunce di vittime civili, assicurare giustizia e riparazione alle vittime delle violazioni e assumersi una maggiore responsabilità nel collaborare all’immane opera di rimozione delle mine e di ricostruzione di Raqqa.
“I civili stanno tornando a Raqqa in mezzo alle rovine, ancora intenti a tirare fuori i loro cari dalle macerie e col costante rischio di morire o rimanere feriti a causa delle mine, di ordigni rudimentali e congegni esplosivi. Il rifiuto della coalizione di riconoscere il suo ruolo in questa catastrofica situazione aggiunge beffa al danno”, ha concluso Walsby.