Sorveglianza: Ue mette a rischio i difensori dei diritti umani

29 Ottobre 2018

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Diversi stati dell’Unione europea, in particolar modo Svezia e Finlandia, stanno spingendo per alleggerire le protezioni sui diritti umani in relazione all’esportazione di tecnologia europea per la sorveglianza.

La notizia è emersa tramite un documento diffuso dal portale netzpolitik.org e da Reporter senza frontiere.

I documenti trapelati oggi rivelano come diversi stati membri stiano attivamente annacquando le garanzie sui diritti umani proposte dalla Commissione e dal Parlamento dell’Unione europea.

È per questo motivo che insieme ad Access Now e Reporter senza frontiere abbiamo lanciato un appello agli stati membri dell’Unione europea, chiedendo di contrastare i tentativi di mitigare gli attuali limiti alle esportazioni di materiali di sorveglianza verso regimi che violano i diritti umani.

Abbiamo inoltre sollecitato gli stati membri dell’Unione europea a garantire che la tecnologia per la sorveglianza sia esportata unicamente se la sua vendita rispetta rigidi criteri sui diritti umani.

“L’attuale sistema europeo già non riesce a chiamare governi e aziende a rispondere del loro comportamento. Ora è sconvolgente vedere che la protezione della privacy delle persone e le garanzie sulla libertà d’espressione nel mondo non siano tra le priorità del Consiglio dell’Unione europea”, ha dichiarato Lucie Krahulcova, Policy analyst di Access Now.

“Queste rivelazioni ci dicono che, mentre in pubblico l’Unione europea parla di diritti umani, dietro le quinte i suoi stati membri sono pronti a vendere i loro obblighi riguardo alla protezione dei difensori dei diritti umani per favorire i propri interessi economici. In questo modo, le aziende avrebbero via libera per vendere tecnologie a regimi che violano i diritti umani per consentire a questi ultimi di ascoltare le conversazioni e rintracciare coloro che parlano contro di loro”, ha affermato Nele Meyer, dell’Ufficio di Amnesty International presso l’Unione europea.

La tecnologia per la sorveglianza disponibile sul commercio è usata da governi di ogni parte del mondo per spiare attivisti, giornalisti e dissidenti.

“L’intenzione di alcuni stati di continuare a fare affari fornendo a regimi dispotici tecnologia per violare i diritti umani è scioccante. La morte di Jamal Khashoggi ha dimostrato il livello di pressione e sorveglianza cui sono sottoposti i giornalisti. L’Unione europea deve impedire la vendita di strumenti usati per spiare, intimidire e arrestare giornalisti. Queste tecnologie minacciano la sicurezza tanto dei giornalisti quanto delle loro fonti e di conseguenza costringono all’autocensura”, ha aggiunto Elodie Vialle, direttrice del programma Giornalismo e tecnologia di Reporter senza frontiere.

Un gruppo di stati membri ha aggirato la cosiddetta clausola “omnibus”, una garanzia cruciale che richiede alle aziende di informare la Commissione nei casi in cui identifichino rischi per i diritti umani connessi alle loro esportazioni di tecnologia di sorveglianza.

Il regime sempre più stringente della sorveglianza

Dopo che la tecnologia per la sorveglianza è stata usata per colpire le proteste della cosiddetta “primavera araba”, le organizzazioni internazionali della società civile e i parlamentari europei hanno chiesto una significativa modifica dei controlli sulle esportazioni in modo da impedire che aziende europee potessero fornire a regimi repressivi tecnologia per violare i diritti umani.

Nel 2016 la Commissione europea ha proposto una riforma dell’attuale sistema “per impedire violazioni dei diritti umani associate a determinate tecnologie per la cyber-sorveglianza”.

Ad agosto 2018, Access Now aveva rivelato che il malware di produzione europea FinSpy era stato usato per colpire la società civile in Turchia, Indonesia, Ucraina e Venezuela. Finti account Twitter erano stati creati per prendere di mira attivisti e oppositori politici in Turchia, paese dove è in corso un giro di vite che ha portato in carcere centinaia di persone tra cui difensori dei diritti umani, esponenti di Amnesty International, attivisti politici e giornalisti.

Molte di queste riforme sono contenute, in qualche modo, nella proposta adottata dal Parlamento europeo all’inizio del 2018. Ma affinché la riforma abbia effetto, le tre istituzioni europee dovranno trovare l’accordo su un testo condiviso al termine dei negoziati inter-istituzionali chiamati “trialogo”, dopo che gli stati membri all’interno del Consiglio adotteranno una posizione comune.