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Le forze russe dovranno rispondere alla giustizia per una serie di crimini di guerra commessi nella regione a nord-ovest della capitale Kiev. È quanto ha dichiarato oggi Amnesty International, diffondendo le conclusioni di un’ampia ricerca condotta sul terreno in Ucraina.
Attraverso decine di interviste e l’analisi di prove indiziarie, l’organizzazione per i diritti umani ha documentato attacchi aerei illegali su Borodyanka ed esecuzioni extragiudiziali in ulteriori città e villaggi tra cui Bucha, Andriivka, Zdvyzhivka e Vorzel.
La delegazione di Amnesty International, guidata dalla segretaria generale Agnès Callamard, si è recata nelle ultime settimane nell’oblast di Kiev e ha incontrato sopravvissuti, familiari di vittime e alti funzionari ucraini.
“I crimini commessi dalle forze russe, che noi abbiamo documentato, comprendono sia attacchi illegali che uccisioni deliberate di civili”, ha dichiarato Callamard.
“Abbiamo incontrato famiglie che hanno perso i loro cari in orribili attacchi e persone le cui vite sono cambiate per sempre a causa dell’invasione russa. Sosteniamo la loro richiesta di giustizia e chiediamo alle autorità ucraine, al Tribunale penale internazionale e ad altri di assicurare che le prove siano conservate in modo che possano alimentare future indagini sui crimini di guerra. È fondamentale che tutti i responsabili, compresi coloro che sono in cima alla catena di comando, siano portati di fronte alla giustizia”, ha aggiunto Callamard.
A Borodyanka, almeno 40 civili sono stati uccisi a seguito di attacchi sproporzionati e indiscriminati che hanno devastato un intero quartiere e hanno lasciato migliaia di persone senza dimora.
A Bucha e in diversi altri centri a nord-ovest di Kiev, Amnesty International ha documentato 22 casi di uccisioni illegali da parte delle forze russe, la maggior parte delle quali esecuzioni extragiudiziali.
Durante i 12 giorni di ricerche, la delegazione di Amnesty International ha intervistato abitanti di Bucha, Borodyanka, Novyi Korohod, Andriivka, Zdvyzhivka, Vorzel, Makariv e Dmytrivka e si è recata nei luoghi dove erano state commesse numerose uccisioni.
Complessivamente, l’organizzazione per i diritti umani ha intervistato 45 persone che erano state testimoni, o avevano resoconti diretti, di uccisioni illegali di loro parenti o vicini da parte delle forze russe, e altre 39 persone che erano state testimoni, o avevano resoconti diretti, di attacchi aerei che avevano colpito otto palazzi.
A Borodyanka, 60 chilometri a nord-ovest di Kiev, il 1° e il 2 marzo una serie di attacchi aerei russi ha centrato otto palazzi in cui abitavano oltre 600 persone.
Gli attacchi hanno causato la morte di almeno 40 persone e distrutto gli otto palazzi così come altri edifici nelle vicinanze. Nella maggior parte dei casi le vittime sono state uccise nelle cantine dei palazzi, usate come rifugi, altre all’interno dei loro appartamenti.
La mattina del 2 marzo un attacco ha ucciso almeno 23 persone nel palazzo 359 di via Tsentralna. Tra queste, cinque parenti di Vadim Zahrebelny: la madre Lydia, il fratello Volodymyr e sua moglie Yulia e i genitori di quest’ultima Lubov e Leonid Hurbanov.
“Io e mio figlio abbiamo lasciato il palazzo 359 poco dopo le 7 del mattino. Mia madre, mio fratello, sua moglie e i suoi genitori hanno deciso di rimanere nella cantina perché temevano di essere colpiti dagli spari russi se fossero usciti. Venti minuti dopo, il palazzo 359 è stato bombardato e sono stati uccisi, insieme ad altri vicini”, ha raccontato Vadim.
Vasyl Yaroshenko era nei pressi di uno dei palazzi colpiti: “Ho lasciato l’appartamento per fare alcune cose nel garage, che dista 150 metri dal palazzo. Mia moglie si stava preparando a portare in cantina una coppia di anziani nostri vicini. Quando sono arrivato al garage c’è stata una forte esplosione. Mi sono riparato e dopo, quando ho alzato gli occhi, ho visto un grande buco nel palazzo. Era crollata l’intera parte centrale, sotto la quale si trovava la cantina. Mia moglie Halina è morta. Avevamo vissuto in quell’appartamento per 40 anni”.
Il 1° marzo una serie di attacchi aerei ha colpito altri palazzi nei dintorni, tra cui il 371, sempre a via Tsentralna. Sono morte almeno sette persone, tra le quali Vitali Smishchuk, un chirurgo di 39 anni, la moglie Tetiana e la loro figlia Yeva, di quattro anni.
“Le cose stavano peggiorando ed era diventato troppo pericoloso spostarsi da una parte all’altra della città. C’erano i carri armati nelle strade e avevamo paura di restare all’aperto. Dicevo a mio figlio che doveva andare via ma aveva troppa paura di uscire. Così si sono riparati nella cantina. La bomba ha distrutto la parte centrale del palazzo, sotto la quale si trovava la cantina”, ha raccontato Ludmila, la madre di Vitali.
Nei palazzi e nelle loro vicinanze non si è a conoscenza di alcun obiettivo militare ucraino identificato, sebbene a volte uomini armati che appoggiavano le forze ucraine sparassero da lì contro i veicoli militari russi di passaggio. Lanciare volutamente attacchi diretti contro obiettivi civili o attacchi sproporzionati è un crimine di guerra.
Amnesty International ha creato una nuova rappresentazione interattiva a 360 gradi degli ingenti danni causati dai bombardamenti su Borodyanka.
Bucha, circa 30 chilometri a nord-ovest di Kiev, è stata occupata dalle forze russe alla fine di febbraio. Tra il 4 e il 19 marzo cinque uomini sono stati vittime di esecuzioni extragiudiziali in un comprensorio composto da cinque palazzi e un cortile interno situato nelle vicinanze dell’incrocio tra via Yablunska e via Vodoprovidna.
Yevhen Petrashenko, 43 anni, padre di due figli, è stato ucciso il 4 marzo nel suo appartamento di via Yablunska.
Sua moglie Tatiana era nella cantina del palazzo mentre l’uomo era rimasto sopra. Stava dando una mano a un vicino quando i soldati russi hanno iniziato a fare perquisizioni porta a porta. Tatiana ha perso i contatti col marito. Il suo corpo è stato trovato, il giorno dopo, all’interno dell’appartamento.
“Yevhen giaceva in terra, in cucina. Gli avevano sparato alla schiena. Il corpo è rimasto lì fino al 10 marzo quando abbiamo potuto seppellirlo nel cortile”, ha raccontato la donna.
I ricercatori di Amnesty International hanno rinvenuto sul luogo due proiettili e tre cartucce. Il modello dei proiettili è stato poi identificato: si tratta del 7N12 di 9×39 millimetri perforante a punta nera, che può essere esploso solo da armi particolari in dotazione ad alcune unità speciali delle forze russe, comprese quelle che operavano a Bucha in quel periodo.
Da alcuni documenti militari recuperati a Bucha e analizzati da Amnesty International è stato possibile risalire alle unità coinvolte. Tra queste, il 104° reggimento delle Forze aviotrasportate. Alcune di queste unità sono equipaggiate con fucili particolari che usano i proiettili rinvenuti nell’appartamento.
Il 22 o il 23 marzo è stato ucciso anche Leonid Bodnarchuk, un operaio di 44 anni che viveva nello stesso palazzo di Yevhen Petrashenko. Gli abitanti che si erano riparati nella cantina hanno raccontato ad Amnesty International che i soldati russi hanno sparato a Bodnarchuk mentre stava salendo le scale, poi hanno lanciato una granata nella tromba delle scale. Il corpo dell’uomo è stato ritrovato in seguito lungo le scale, in una pozza di sangue.
I ricercatori di Amnesty International hanno rinvenuto ampie macchie di sangue sugli scalini che portavano alla cantina, così come danni compatibili con l’esplosione di una granata.
In città e villaggi della zona, Amnesty International ha raccolto ulteriori prove e testimonianze di uccisioni illegali, anche ai danni di persone con le mani legate dietro la schiena. Altri corpi presentavano segni di tortura.
Nel villaggio di Novyi Korohod è stato ucciso un operaio di 46 anni, Viktor Klokun. La sua fidanzata, Olena Sakhno, ha raccontato che alcuni abitanti del villaggio hanno recuperato e le hanno portato il corpo il 6 marzo:
“Aveva le mani legate dietro la schiena con della plastica bianca e un foro di proiettile alla testa”, ha raccontato.
Olha, 32 anni, e Olexandr, 62 anni, rispettivamente moglie e padre di Oleksii Sychevky, sono stati uccisi mentre il convoglio di automobili con cui stavano viaggiando è stato colpito dal fuoco di quelle che secondo loro erano forze russe:
“In quel convoglio c’erano solo civili in fuga. Quasi tutte le automobili avevano dei bambini a bordo. La nostra aveva appena raggiunto un punto dove c’erano degli alberi quando ho sentito gli spari: prima uno singolo, poi raffiche. Il primo veicolo è stato colpito e si è fermato. Noi eravamo a bordo del secondo e ci siamo a nostra volta fermati. In quel momento ci hanno colpito, sei o sette spari. Mio padre è morto all’istante, colpito alla testa. Mia moglie è stata colpita dalle schegge, così come mio figlio”.
I ricercatori di Amnesty International che hanno visitato Bucha, Borodyanka e altri centri durante il mese di aprile, dopo che i corpi delle vittime erano stati recuperati dalle macerie o riesumati dai luoghi temporanei di sepoltura, hanno appurato che molti familiari sono scontenti del modo in cui sono stati trattati i resti delle vittime: in alcuni casi non sono stati correttamente identificati, in altri le informazioni non sono state condivise in modo appropriato e in generale le procedure sono state assai caotiche.
Le esecuzioni extragiudiziarie commesse in un conflitto armato internazionale costituiscono uccisioni intenzionali e dunque sono crimini di guerra. Lo stesso vale per gli attacchi indiscriminati e sproporzionali lanciati con intento criminale.
Tutti i responsabili di crimini di guerra devono essere chiamati a rispondere delle loro azioni sul piano penale. Sulla base della dottrina della responsabilità di comando, i superiori in linea gerarchica – compresi i comandanti e i leader civili, dunque anche i ministri e i capi di stato – che sapevano o avevano ragione di essere a conoscenza di crimini di guerra commessi dalle loro forze ma che non hanno fatto alcun tentativo per fermarli o per punirne i responsabili devono essere a loro volta considerati penalmente responsabili.
Ogni procedimento o meccanismo giudiziario dovrebbe essere includente nella massima misura possibile e assicurare che siano portati di fronte alla giustizia, secondo una procedura equa e senza ricorso alla pena di morte, tutti i perpetratori di crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio e crimine di aggressione in Ucraina, a qualsiasi fronte appartengano.
Inoltre, è fondamentale che i diritti delle vittime siano al centro delle indagini e dei processi per crimini internazionali e che i meccanismi giudiziari adottino un approccio centrato sui sopravvissuti.
La documentazione sin qui prodotta da Amnesty International sulle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario commesse durante la guerra in Ucraina è disponibile all’indirizzo https://www.amnesty.it/conflitto-ucraina-russia/