© Mohammed Huwais
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In occasione del quinto anniversario dell’inizio del conflitto in Yemen, abbiamo richiamato l’attenzione sull’elevato numero di arresti illegali cui spesso fanno seguito sparizioni forzate, torture e condanne a morte per motivi politici.
Dal marzo 2015 giornalisti, accademici e anche appartenenti alla fede baha’i sono stati arrestati e fatti sparire a causa del loro attivismo in favore dei diritti umani, della loro affiliazione politica o della loro religione.
“Questi cinque anni di incessante conflitto sono stati il terreno di coltura per gravi violazioni dei diritti umani delle persone arrestate, in alcuni casi veri e propri crimini di guerra che chiamano in causa entrambe le parti in conflitto“, ha dichiarato Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche sul Medio Oriente di Amnesty International.
“Le forze huthi hanno arrestato decine e decine di persone, compresi appartenenti alla comunità baha’i, a seguito di accuse fabbricate e molte di loro sono state condannate a morte: è un fatto inaccettabile che molti baha’i rischino di essere messi a morte solo a causa della loro fede e di attività pacifiche“, ha continuato Maalouf.
Solo nell’ultimo anno gli huthi e le forze loro alleate hanno intensificato l’uso dei tribunali antiterrorismo per ottenere vantaggi politici, emettendo frequenti condanne a morte per dubbie accuse di spionaggio e “collaborazione con un paese nemico” al termine di processi profondamente iniqui.
“Chiediamo il rilascio immediato e incondizionato di tutti i prigionieri di coscienza detenuti nello Yemen e pretendiamo verità e giustizia per i molti casi di sparizione forzata e di tortura seguiti ad arresti illegali“, ha sottolineato Maalouf.
Dall’altra parte, le forze degli Emirati Arabi Uniti e i loro alleati nello Yemen meridionale hanno gestito una serie di centri segreti di detenzione, nei quali decine di persone sono sparite e sono state torturate in quelli che costituiscono crimini di guerra.
In occasione del quinto anniversario dell’inizio del conflitto dello Yemen, abbiamo deciso di lanciare una campagna della durata di un anno sugli arresti arbitrari, in particolare quelli che costituiscono violazioni dei diritti alla libertà di espressione, di associazione e di religione.
Il mese scorso, i delegati delle parti in conflitto hanno raggiunto un accordo su quello che potrebbe essere il più ampio scambio di prigionieri patrocinato dalle Nazioni Unite.
Nei giorni scorsi, abbiamo ricordato la vicenda di 66 prigionieri, tutti salvo uno sotto processo dinanzi al Tribunale penale speciale. Questo organismo giudiziario dovrebbe normalmente occuparsi di casi di terrorismo ma negli ultimi cinque anni ha processato giornalisti, difensori dei diritti umani, oppositori politici e appartenenti a minoranze religiose basandosi su prove false e su procedure irregolari.
I 65 prigionieri sono sotto processo per spionaggio, un reato che la legge yemenita punisce obbligatoriamente con la pena di morte.
Ci opponiamo alla pena di morte in tutti i casi, senza eccezione, a prescindere dalla natura o dalle circostanze del reato, dall’innocenza o colpevolezza del condannato o del metodo usato per eseguire la condanna a morte. La pena di morte è l’estrema pena crudele, inumana e degradante.
Dal 2015 tutte le parti coinvolte nel confitto hanno commesso gravi e ripetute violazioni del diritto internazionale umanitario.
Le forze huthi, che controllano buona parte dello Yemen, hanno bombardato indiscriminatamente centri abitati e lanciato missili, in modo altrettanto indiscriminato, verso l’Arabia Saudita.
La coalizione guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, che appoggia il governo yemenita riconosciuto dalla comunità internazionale, continua dal canto suo a bombardare infrastrutture civili e a compiere attacchi indiscriminati, che uccidono e feriscono centinaia di civili.
Tutte le parti in conflitto hanno soppresso la libertà d’espressione ricorrendo a detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate, maltrattamenti e torture.
La popolazione civile è intrappolata nel conflitto e sopporta le conseguenze peggiori. Tra morti e feriti, le vittime di questi cinque anni sono state oltre 233.000. La crescente crisi umanitaria ha portato circa 14 milioni di persone alla fame. La situazione è stata esacerbata da anni di cattivo governo, che hanno favorito la diffusione della povertà e dato luogo a immense sofferenze.
Inevitabilmente, data la natura prolungata del conflitto e l’uso di tattiche militari illegali da parte di tutti i soggetti coinvolti, l’assistenza alla popolazione civile è a un punto di rottura. La sopravvivenza di circa 22 milioni di yemeniti dipende dall’assistenza umanitaria.