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Ventinquattro cittadini yemeniti di fede Bahà’ì – tra cui otto donne e una minorenne – rischiano una conadanna a morte nel processo presso il Tribunale penale speciale di Sana’a, la capitale dello Yemen sotto il controllo delle forze Houthi.
La preoccupazione per questi cittadini, colpevoli soltanti di avere un credo religioso diverso, è molto alta.
La fede Bahà’ì, religione monoteista nata in Iran a metà del 1800, che promuove principi come l’unità della razza umana e l’uguaglianza tra uomo e donna, fin dal suo sorgere è stata sottoposta a pesanti persecuzioni in Iran così come nel resto del mondo arabo.
I membri della fede Bahà’ì subiscono da sempre violente discriminazioni. Tuttavia, da quando gli Houthi hanno preso il controllo della capitale la situazione è significativamente peggiorata. Le persecuzioni si sono intensificate: attività e negozi sono stati chiusi e case perquisite. Altri cinque Bahà’ì sarebbero stati incarcerati dagli Houthi. Nel 2016 alcuni uomini armati avrebbero fatto irruzione in un laboratorio della comunità Bahà’ì e arrestato 65 persone.
Dal 2015 abbiamo documentato arresti di baha’i da parte delle autorità huthi. Sei di loro sono in carcere, alcuni dopo aver subito torture, isolamento carcerario e periodi di sparizione.
“Ancora una volta, accuse fabbricate e processi clamorosamente irregolari vengono usati per perseguitare i baha’i yemeniti unicamente a causa della loro fede. È particolarmente agghiacciante che alcuni degli imputati rischino di essere condannati a morte solo per la loro religione e per attività del tutto pacifiche“, ha dichiarato Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche sul Medio Oriente di Amnesty International.
“Gli imputati, tra cui una minorenne, sono accusati di reati gravi, tra cui lo spionaggio per un paese straniero, per alcuni dei quali è prevista la pena di morte. Le autorità huthi devono annullare queste false accuse, rilasciare coloro che sono stati arrestati in modo arbitrario e porre fine all’uso del sistema giudiziario per punire la libertà di fede e perseguitare voci critiche, giornalisti, attivisti e appartenenti alla minoranza baha’i e ad altri gruppi minoritari”, ha proseguito Maalouf.
Nel gennaio 2018, al termine di un processo irregolare, le autorità huthi hanno condannato a morte il 52enne prigioniero di coscienza Hamid Haydara per la presunta collaborazione con Israele e la falsificazione di documenti ufficiali. Haydara era stato arrestato nel dicembre 2013 e sottoposto a maltrattamenti e torture.
In Yemen, oltre alla già preoccupante catastrofe umanitaria, gli scontri tra i ribelli Houthi e la coalizione guidata dall’Arabia Saudita, fedele all’ex presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, non hanno fatto altro che accentuare le divisioni settarie che hanno polarizzato il Paese.
La mancanza di uno stato di diritto, già precario prima dell’inizio della guerra civile, ha creato le condizioni favorevoli per crescenti atti di estremismo religioso.