25 novembre: occorre un cambiamento radicale

24 Novembre 2023

Tempo di lettura stimato: 4'

In Italia, dall’inizio dell’anno, 106 donne hanno perso la vita: un femminicidio ogni 72 ore. Sono dati spaventosi, che delineano una realtà catastrofica che Amnesty International Italia combatte da anni attraverso campagne e mobilitazioni.

Come sancito dalla Convenzione di Istanbul più di 10 anni fa, la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, è una violazione dei diritti umani ed è una forma di discriminazione contro le donne. É così in Italia, è così in Europa, è così nel resto del mondo.

La situazione in Italia e la necessità di un cambiamento radicale

La violenza di genere in Italia è persistente, nonostante siano stati fatti alcuni sforzi legislativi, come la modifica del diritto di famiglia nel 1975, l’abrogazione del delitto d’onore e del matrimonio riparatore nel 1981, il riconoscimento dello stupro come delitto contro la persona anziché contro la moralità pubblica nel 1996 e l’introduzione del reato di stalking nel 2009.

Sulla carta sono stati fatti passi avanti: una legge sul femminicidio, un piano nazionale antiviolenza, una commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, la ratifica della Convenzione di Istanbul e della Convenzione delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne. Il percorso però è ancora lungo e la violenza contro le donne continua a esistere.

Eppure, in Italia una donna su tre subisce una forma di violenza sessuale. Questo vuol dire che la cultura del consenso è ancora lontana dal nostro quotidiano; vuol dire che una donna non ha ancora l’autonomia di decidere in che modo gestire il suo corpo e le sue scelte. Sono quasi sette milioni le donne che nel corso della propria vita hanno subito una forma di violenza fisica, più di due milioni hanno subito stalking, milioni hanno subito abusi psicologici o economici*.

Una donna in Italia viene ancora uccisa perché ha detto no, perché ha avuto la forza e la volontà di autodeterminarsi e di sentirsi indipendente rispetto all’uomo che è al suo fianco. È essenziale quindi lavorare sulla cultura del consenso, sfidando la cultura dello stupro, educando all’affettività e alla gestione del rifiuto e promuovendo il rispetto reciproco.

“Per fermare la violenza contro le donne serve una nuova coalizione tra lo stato e la società civile. Bisogna avere il coraggio di affrontare processi complessi che devono smantellare la cultura patriarcale che ha creato un sistema privilegiato a misura di un unico genere, quello maschile.  Bisogna imparare il rispetto reciproco. Le leggi non bastano e, sicuramente, seppur importanti, non bastano neanche le panchine rosse, le scarpe rosse, le sedie vuote o i minuti di silenzio. É arrivato il momento di fare rumore, di alzare la voce, donne e uomini insieme e pretendere un cambiamento radicale”, ha dichiarato Alba Bonetti, presidente di Amnesty International Italia.

 

cifre

 

Una rivoluzione culturale, sociale e politica necessaria

Il femminicidio è frutto di un sistema che necessita di una rivoluzione culturale, oltre che politico-legislativa. La disuguaglianza di genere persiste e i dati allarmanti riguardo alla violenza devono essere scardinati con azioni concrete.

La violenza di genere si intreccia con problematiche sociali ed economiche. Il lavoro delle donne è spesso considerato accessorio, con un sistema che non offre adeguato supporto attraverso servizi pubblici, contribuendo al persistente divario salariale. La cultura patriarcale continua a influenzare la percezione del ruolo delle donne nella società.

La violenza contro le donne, manifestata in varie forme, da abusi fisici a stalking, deve finire. È necessario un cambio di mentalità che coinvolga uomini e donne in una lotta comune.

Amnesty International Italia sottolinea la necessità di un approccio sistemico che comprenda la revisione delle politiche sul lavoro, l’istruzione e la salute riproduttiva. È cruciale smantellare gli stereotipi culturali che perpetuano la disuguaglianza di genere.

Educazione e prevenzione

L’urgenza di intervenire sulla prevenzione con azioni di impatto e di lunga durata è evidente dalle statistiche che ci raccontano stereotipi e credenze che danno vita alle diseguaglianze di genere. Oggi più di un quarto della popolazione mondiale ritiene giustificabile che un uomo picchi la moglie. In Italia solo il 29% dei ragazzi non concorda sul fatto che il controllo sia inaccettabile in una relazione e solo il 33% dei ragazzi compresi tra i 18 e i 19 anni ritiene inaccettabile che un ragazzo possa diventare violento a seguito di un tradimento, a differenza del 79% delle ragazze**. Dati che spiegano la violenza, che fanno paura.

L’educazione è fondamentale per cambiare atteggiamenti e comportamenti. Le campagne di sensibilizzazione devono coinvolgere ogni individuo, promuovendo il rispetto reciproco e la consapevolezza delle dinamiche di potere diseguali.

Gli sforzi per sradicare la violenza di genere e il rispetto dei diritti delle donne richiedono un impegno continuo e risorse adeguate.

 

La violenza sessuale è un fenomeno diffuso e sistemico in tutto il mondo. Le vittime spesso non conoscono i propri diritti e si trovano di fronte a molteplici ostacoli nell’accesso alla giustizia e ai risarcimenti, compresi stereotipi di genere dannosi, idee sbagliate su violenza sessuale, accuse di colpevolezza, dubbi sulla propria credibilità, sostegno inadeguato e legislazione inefficace.

In Italia, in particolare, persiste il pregiudizio che addebita alla donna la responsabilità della violenza sessuale subita.

Un pregiudizio che trova conferma nel codice penale italiano, dove all’articolo 609-bis, si prevede che il “reato di stupro” sia necessariamente collegato agli elementi della violenza, o della minaccia o dell’inganno, o dell’abuso di autorità.

Tuttavia, come stabilito dalla Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia nel 2013, lo stupro è un “rapporto sessuale senza consenso“. L’articolo 36, paragrafo 2, della Convenzione specifica che il consenso “deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto“.

Per questi motivi chiediamo al Ministro della Giustizia la revisione dell’articolo 609-bis del codice penale, in linea con gli impegni presi nel 2013, affinché qualsiasi atto sessuale non consensuale sia punibile.

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