“Il sesso senza consenso è stupro”, è un concetto semplice, che dovrebbe mettere d’accordo tutti. Purtroppo non è così.
In Italia il codice penale fa riferimento ad una definizione di stupro basata esclusivamente sull’uso della violenza, della forza, della minaccia di uso della forza o della coercizione. Senza alcun riferimento al principio del consenso, così come previsto dall’articolo 36 della Convenzione di Istanbul, ratificata dal nostro paese nel 2014.
L’introduzione del principio del consenso nella nostra legislazione contribuirebbe a garantire il pieno accesso alla giustizia alle vittime di violenza sessuale.
Chiediamo l’adeguamento della nostra legislazione e una forte spinta ad un cambiamento culturale perché sia chiaro che il sesso senza consenso è uno stupro.
Il consenso è tutto quando si tratta di sesso.
Il concetto di “consenso” richiama alla necessità, in una relazione, di rispettare sempre la volontà dei due partner.
Per fare sesso, devi sapere che anche la persona con cui desideri farlo vuole la stessa cosa.
L’espressione del consenso non è la firma di un contratto, è la comunicazione di una volontà, è assicurarsi che in tutti i momenti del rapporto esista la reciproca voglia di stare insieme.
Essere in silenzio o non dire di “no” non equivale a dare il proprio consenso.
Il consenso ad avere un rapporto sessuale deve essere una scelta volontaria e libera per tutte le parti coinvolte.
La regola generale è: in caso di dubbio sul consenso, chiedilo espressamente. Se sei ancora in dubbio, fermati.
Nel diritto internazionale non esiste una definizione legale di consenso a cui far riferimento. Quando parliamo di “consenso” parliamo di rispetto dell’altro, di rispetto dei limiti fisici e psicologici che ogni persona ha. È importante educare fin da piccoli all’importanza dei limiti del proprio corpo, della privacy e di come rispettare sé stessi e gli altri. Questo vuol dire che ogni governo ha la possibilità di introdurre nel proprio ordinamento la definizione più adatta alla propria società.
Il consenso è una forma di permesso che dai liberamente a qualcuno (in maniera verbale e non verbale) per fare cose* che tu vuoi e che ti vanno bene che riguardano il tuo corpo e il tuo spazio personale.
Il consenso è specifico perché dire sì ad una cosa non vuol dire sì anche ad altre; è variabile perciò chiunque può cambiare idea riguardo cosa desidera fare in ogni momento, anche se l’ha già fatto in passato se lo sta facendo in quell’istante; è informato ovvero non può essere basato su una bugia o l’omissione d’informazione.
Tuttavia, l’articolo 36, paragrafo 2, della Convenzione di Istanbul specifica che il consenso “deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto”. La relazione esplicativa alla convenzione di Istanbul chiarisce inoltre che i procedimenti giudiziari “richiederanno una valutazione sensibile al contesto delle prove per stabilire, caso per caso, se la vittima abbia liberamente acconsentito all’atto sessuale compiuto. Tale valutazione deve riconoscere l’ampia gamma di risposte comportamentali alla violenza sessuale e allo stupro che le vittime manifestano e non deve basarsi su ipotesi di comportamento tipico in tali situazioni.”
Esistono tre modelli giuridici:
In Italia si predilige il “vincolato”, con recenti orientamenti verso il “consensuale limitato”
Analizzando la legislazione sullo stupro in 31 paesi in Europa, solo 16 di questi hanno adottato leggi basate sul consenso.
Questi sono: Belgio, Croazia, Cipro, Danimarca, Finlandia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Islanda, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera.
Negli altri paesi europei, affinché il crimine sia considerato stupro, la legge richiede che ci siano elementi come l’uso della violenza, della forza o la minaccia della forza, ma questo non è ciò che accade nella grande maggioranza dei casi di stupro.
Di conseguenza, molte vittime non sono in grado di chiedere giustizia e scelgono di non denunciare la violenza alla polizia.
Che cosa significa il principio del consenso nel diritto penale in materia di reati sessuali? Un imputato dovrà dimostrare la propria innocenza? È necessario stabilire un contratto prima di fare sesso?
Le risposte a 6 affermazioni sul tema.
Affermazione 1: “L’imputato deve dimostrare la propria innocenza (inversione dell’onere della prova)”.
L’accusato non ha nulla da dimostrare. Spetta al Pubblico ministero provare la colpevolezza dell’autore. Ogni persona è considerata innocente finché il tribunale non ne dimostra la colpevolezza. Il principio “in dubio pro reo” (il dubbio va a vantaggio dell’accusato) non è messo in discussione. Se ci sono dubbi sul corso degli eventi, l’accusato viene assolto. Nessuno chiede di rinunciare alla presunzione di innocenza. La riforma mira semplicemente a garantire che possa essere comminata una pena adeguata nei casi in cui il tribunale ritenga che sia dimostrato che l’imputato ha agito contro la volontà della vittima. Attualmente non è sempre così.
Affermazione 2: “In ogni caso, sarà sempre una testimonianza contro un altro – un tale atto è impossibile da provare”.
Attualmente, nel caso di reati a sfondo sessuale, la testimonianza delle vittime è spesso la principale e talvolta anche l’unica prova. Giudicare la credibilità delle dichiarazioni fa parte della quotidianità professionale delle autorità giudiziarie. Le autorità incaricate delle indagini per tali reati hanno stabilito dei metodi per svolgere questo compito. A tal fine, utilizzano le conoscenze e i metodi della psicologia della testimonianza. In casi particolarmente difficili, è anche possibile ricorrere a specialisti. E se non è possibile chiarire a sufficienza cosa sia successo esattamente, si applica ancora il principio del “in dubio pro reo“. Questo significa che il difficile compito di raccogliere le prove non andrà mai a svantaggio dell’imputato. Già attualmente si procede in questo modo: anche l’uso della violenza non sempre lascia tracce evidenti, per non parlare di una minaccia, eppure crediamo che le autorità giudiziarie penali siano in grado di risolvere e perseguire i reati.
Affermazione 3: “La messa in atto di questa richiesta segnerà la fine dello stato di diritto”.
Chi si pronuncia in questo senso dovrebbe quindi anche essere del parere che lo Stato di diritto sia stato abolito in paesi come la Gran Bretagna, il Belgio, la Germania e la Svezia. In nove paesi dell’Unione europea, i rapporti sessuali senza il consenso reciproco o contro la volontà del partner sono già definiti come stupro. In altri paesi (tra cui Danimarca e Spagna, tra gli altri), sono in corso riforme analoghe. L’obiettivo di tali riforme è di garantire maggiore giustizia alle vittime di violenza sessuale e di ridurre l’impunità per i reati sessuali. Inoltre, la modifica della legge mira a chiarire che la società non tollera gli atti sessuali non consensuali e li considera una grave ingiustizia.
Affermazione 4: “Ci sarà un aumento delle false accuse”.
Anche questa è un’affermazione che non è stata provata empiricamente. Si basa su un falso mito particolarmente persistente basato su stereotipi di genere (“le donne amano la vendetta“) che porta ad una diffidenza quasi sistematica nei confronti delle vittime di violenza sessuale. In realtà, le vittime devono dimostrare molto coraggio e forza per denunciare un’aggressione alla polizia. Il procedimento penale rappresenta spesso un onere enorme per la vittima: non è raro che l’imputato, o addirittura l’autorità giudiziaria, metta in discussione la sua persona, la sua reputazione e la sua credibilità in modo offensivo. Attraverso domande e rimproveri, le vittime di reati sessuali hanno spesso l’impressione di essere esse stesse colpevoli dell’aggressione o almeno corresponsabili. Questo è dovuto in parte alla natura stessa dell’azione penale, ma a volte esercita una pressione inutile sulle vittime a causa dei falsi miti radicati nella nostra società in merito allo stupro.
L’argomento del pericolo di false accuse viene sempre addotto quando si tratta di rivedere il diritto penale in materia di reati sessuali, il più delle volte senza alcun riferimento a basi empiriche a sostegno di tali affermazioni. Sì, ci sono false accuse, non ci sono dubbi al riguardo. Ma questo rischio esiste per tutti i tipi di reati e le dichiarazioni false sono punibili. Il “pericolo” (chiaramente sovrastimato) di false accuse dipende in ogni caso solo in parte dal modo in cui è formulato il reato. Gli studi dimostrano che le (presunte) false accuse sono spesso basate sullo stereotipo dello stupro “reale” e riflettono l’uso della violenza. In altre parole, false accuse descrivono un comportamento che viene considerato stupro anche nei sistemi giuridici più rigorosi. Le false accuse sono sempre possibili, indipendentemente dal fatto che la definizione di reato sia o meno restrittiva.
La testimonianza delle vittime di violenza sessuale dovrebbe essere trattata allo stesso modo della testimonianza delle vittime di altri reati. Non chiediamo che le vittime siano sistematicamente credute, che la presunzione di innocenza sia abolita o che sia stabilita l’inversione dell’onere della prova. Chiediamo semplicemente che le vittime di stupro siano trattate con rispetto. Ciò significa, innanzitutto, ascoltare le persone interessate senza pregiudizi, esaminare attentamente le loro dichiarazioni e accuse, e dare loro il sostegno cui hanno diritto. Niente di più, niente di meno.
Affermazione 5: “Prima di fare sesso devi fare un contratto, meglio se con una App”.
No, non è assolutamente necessario. Si può lasciare tranquillamente l’avvocato nel suo ufficio. Né una App né un contratto hanno senso. Questo perché il consenso a un atto sessuale deve essere revocabile in qualsiasi momento – cosa che ovviamente non può essere fatta con una App. Inoltre, questo non sarebbe comunque l’approccio giusto: si tratta di comunicazione, sia verbale che non verbale. Niente cambia nel gioco erotico tra partner adulti. Se entrambi (o più) i partner tacciono prima o durante il rapporto, ma vi partecipano pienamente, si parla di un comportamento che segnala un tacito accordo. A quel punto, le persone coinvolte vogliono fare sesso e non si può parlare di aggressione. Se una delle persone cambia idea durante l’atto, deve comunicarlo in un modo o nell’altro al proprio partner e dimostrare che il suo “sì” iniziale non è più valido.
Il punto essenziale – che dovrebbe essere dato per scontato – è che solo il sesso pienamente consentito è accettabile. Fortunatamente, per la maggior parte delle persone, questo è già abbastanza chiaro e la cosa più normale del mondo. Ma purtroppo ci sono delle eccezioni. Uno studio condotto nell’Ue ha rilevato che più di un intervistata/o su quattro ritiene che il rapporto sessuale senza consenso reciproco possa essere giustificato in determinate circostanze – ad esempio, quando la vittima è ubriaca o sotto l’effetto di droghe, ritorna volontariamente a casa con qualcuno, è vestita in abiti succinti, non dice chiaramente “no” o non resiste fisicamente. Per questo motivo abbiamo bisogno di un cambiamento di mentalità nella società e di un diritto penale moderno che fissi chiari limiti.
Affermazione 6: “Amnesty, in qualità di organizzazione per i diritti umani, non ha niente a che fare con questo problema”.
Il fatto è che lo stupro e altre aggressioni sessuali sono delle gravi violazioni dell’integrità fisica e dell’autodeterminazione sessuale delle vittime. Le norme internazionali e regionali in materia di diritti umani impongono all’Italia di adottare misure per proteggere le donne e le ragazze dalla violenza di genere, di indagare e punire tutte le violazioni dell’integrità sessuale e di risarcire le vittime. Questo spiega il nostro impegno per questa causa.
Il codice penale italiano (risalente al 1930 e tuttora in vigore nonostante le numerose modifiche adottate), all’articolo 609-bis, introdotto con la legge n 66 del 1996, punisce la condotta di chi, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringa l’altra persona a subire atti sessuali e quella di chi che induce l’altra persona a compiere o subire atti sessuali abusando delle sue condizioni di inferiorità fisica o psichica. L’articolo 609-ter c.p., invece, prevede delle circostanze (dette aggravanti).
In nessun caso, il reato di stupro è definito esplicitamente come un “rapporto sessuale senza consenso”.
È inoltre prevista un’aggravante della pena se i fatti sono commessi nei confronti di una persona che ha fatto uso di alcool. In nessuna di queste norme è richiamato l’elemento del consenso così come indicato nella Convenzione di Istanbul.
L’Italia ha sottoscritto la Convenzione di Istanbul nel settembre del 2012 e il 27 giugno 2013 il Parlamento l’ha ratificata. Si tratta del primo strumento internazionale giuridicamente vincolante sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica. La violenza viene riconosciuta come forma di violazione dei diritti umani e di discriminazione. Qui la Convenzione di Istanbul contro la violenza nei confronti delle donne e l’attuazione nel nostro ordinamento interno
I dati
I dati sulla violenza sessuale, probabilmente sottostimati, dipingono una realtà terribile. I risultati di un sondaggio a livello dell’Unione Europea mostrano che:
La stupro è una forma di violenza diffusa e sistemica in tutto il mondo. Non ci sono paesi in cui le persone vivano libere dalla sua minaccia e nessun genere o gruppo di persone sono esenti dai suoi effetti distruttivi.
Lo stupro e altri reati sessuali costituiscono un grave attacco all’integrità fisica, mentale e all’autonomia sessuale della vittima. Sono violazioni dei diritti umani in sé stesse e compromettono anche il godimento da parte della vittima di una serie di altri diritti umani, come il diritto alla vita, la salute fisica e mentale, la sicurezza personale, la libertà, l’uguaglianza all’interno della famiglia e davanti alla legge, indipendentemente dall’identità di genere, il diritto di essere liberi da discriminazioni e torture e altri maltrattamenti. Le vittime spesso non conoscono i propri diritti e si trovano di fronte a molteplici ostacoli nell’accesso alla giustizia e ai risarcimenti, compresi stereotipi di genere dannosi, idee sbagliate su violenza sessuale, accuse di colpevolezza, domande di credibilità, sostegno inadeguato e legislazione inefficace.
In Italia, nel febbraio 2018 i dati della commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio e violenza contro le donne hanno evidenziato che circa il 50 per cento dei processi per questo tipo di reati si conclude con l’assoluzione degli imputati e che, elemento ulteriore di preoccupazione, esistono profonde differenze nelle valutazioni dei giudici e delle conseguenti sentenze emesse dai tribunali italiani.
Il nostro ufficio di educazione ai diritti umani ha lavorato a risorse educative, approfondimenti e proposte di azione sul tema del consenso.