A un anno da Cutro urgente un cambio delle politiche

23 Febbraio 2024

Photo by STRINGER/ANSA/AFP via Getty Images

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Nella notte tra il 25 e il 26 febbraio di un anno fa, un’imbarcazione di legno, la “Summer Love”, veniva travolta dalle onde e distrutta a pochi metri da Steccato di Cutro, in Calabria. A bordo c’erano 180 persone; avevano preso il mare da Çeşme, in Turchia, ma il loro viaggio iniziava da più lontano: Iran, Afghanistan, Pakistan, Siria.

Meno di 80 i superstiti, 94 i morti accertati, tra cui 34 minorenni.

Di queste persone sono rimasti i vestiti impigliati nelle assi di legno della barca, qualche scarpa sulla spiaggia, i peluche dei bambini e il dolore dei familiari, residenti in Italia, accorsi nella speranza di non trovare i propri cari distesi sulla sabbia coperti da un telo bianco. Il naufragio che si è consumato un anno fa a poche decine di metri dalla riva di Steccato di Cutro poteva essere evitato. Sono tanti i nodi aperti sulle responsabilità delle istituzioni, a partire dai mancati soccorsi, su cui la procura di Crotone ha aperto un’indagine.

Amnesty International Italia ha accolto con favore la decisione della procura, auspicando che sia fatta luce sulle responsabilità a tutela del diritto internazionale marittimo, che, va ricordato, impone agli stati obblighi in materia di ricerca e soccorso. A un anno dal naufragio, oltre alle responsabilità specifiche legali, è necessario ancora una volta evidenziare quelle politiche legate a leggi e prassi introdotte dai governi italiani che si sono succeduti e che hanno minato sempre di più l’integrità del sistema di ricerca e soccorso. Un approccio non solo nazionale ma anche europeo, che, invece di tutelare i diritti umani, predilige fermare le partenze delle persone migranti tramite accordi di esternalizzazione con paesi terzi, come ad esempio la Libia, in cui sono note situazioni di gravi violazioni, e ostacolare le ong e i difensori dei diritti umani impegnati in azioni di ricerca e soccorso.

All’indomani della strage di Steccato di Cutro, Amnesty International aveva chiesto una rapida revisione delle procedure di ricerca e salvataggio e delle politiche sui visti. Si è andati nella direzione opposta: pochi giorni dopo il naufragio, il governo italiano ha elaborato il decreto legge 20/2023, convertito in Ddl 591/2023, che, dietro la retorica della lotta al traffico di esseri umani, getta in realtà le basi per un peggioramento di una situazione già molto grave. Il testo non aggredisce infatti le reali cause dei viaggi che le persone sono costrette a intraprendere in mancanza di alternative sicure e regolari. Al contrario, restringe lo spazio di protezione e aumenta le vulnerabilità, smantellando l’istituto della protezione speciale, gettando in uno stato di irregolarità molte persone da tempo in Italia e prevedendo, tra le altre cose, nuove procedure di inammissibilità e l’aumento delle procedure accelerate di frontiera e della detenzione amministrativa. L’accordo stretto tra Italia e Albania si inserisce in questo solco.

Il 2023 si è chiuso con oltre 2500 persone morte nella sola rotta del Mediterraneo centrale, la più pericolosa al mondo. Un dato terribile che segna un record da brividi. Nei primi due mesi del 2024, sono già quasi 100 le persone morte: una media di quattro persone al giorno ha perso la vita lungo la rotta del Mediterraneo centrale. I governi nazionali e le istituzioni europee devono con urgenza intraprendere un cambiamento politico, nel rispetto del diritto internazionale e a garanzia dei diritti umani, a partire dall’abolizione del reato di ingresso irregolare e delle misure che ostacolano le attività di soccorso delle ong. I morti, i dispersi, i familiari delle vittime del naufragio di Cutro e di tutte le evitabili stragi nel Mediterraneo, meritano maggiore coraggio e responsabilità istituzionali.