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Chiediamo al Tribunale penale internazionale di aprire un’indagine urgente sull’orribile attacco contro il centro di detenzione per migranti di Tajoura, nella zona orientale di Tripoli, in cui sono morti almeno 40 migranti e rifugiati e oltre 80 sono rimasti feriti.
Si è trattato del più grave attacco contro una struttura del genere da quando, il 4 aprile, l’Esercito nazionale libico del generale Haftar ha lanciato l’attacco per strappare la capitale libica alle forze del Governo di accordo nazionale.
Dopo il pesante attacco, siamo riusciti a parlare con tre rifugiati eritrei detenuti nel centro di Tajoura. Secondo le testimonianze, un primo colpo ha centrato un hangar adiacente, il successivo cinque minuti dopo ha raggiunto la zona centrale dov’erano detenuti gli uomini. Circa 300 migranti e rifugiati, diversi dei quali erano stati riportati in Libia dopo essere stati intercettati in mare, sono ora nelle strade di Tajoura, impauriti e in attesa di assistenza.
Abbiamo inoltre analizzato video e fotografie pubblicate dopo l’attacco. Una fotografia mostra un cratere largo sette metri, un danno compatibile con l’uso di una bomba aerea. Anche se non è stato ancora accertato chi sia dietro l’attacco, questa settimana varie fonti hanno segnalato che l’Esercito nazionale libico aveva recentemente ricevuto degli jet F-16, in grado di compiere attacchi notturni e di fare danni del genere.
“Questo attacco mortale, contro un centro di detenzione in cui erano intrappolate senza via di fuga oltre 600 persone e la cui ubicazione era nota a tutte le parti in conflitto, dev’essere indagato in modo indipendente come crimine di guerra. Il Tribunale penale internazionale dovrebbe valutare immediatamente l’ipotesi che si sia trattato di un attacco diretto contro civili“, ha dichiarato Magdalena Mughrabi, direttrice per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International.
Dalle nostre ricerche è emerso che nei pressi del centro di detenzione di Tajoura era ubicato un deposito di armi.
Dopo che il 7 maggio era stato colpito un veicolo distante 100 metri dal centro di detenzione, avevamo segnalato alle autorità libiche che esse stavano mettendo in pericolo la vita dei migranti e dei rifugiati trattenendoli arbitrariamente presso obiettivi militari.
Anche l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati aveva chiesto il trasferimento dei migranti e dei rifugiati trattenuti nei centri situati nelle vicinanze delle zone interessate dal conflitto.
Il brutale massacro è un maledetto esempio delle conseguenze mortali delle ciniche politiche della Libia e dell’Europa in materia d’immigrazione.
“La cooperazione reciproca per fermare i flussi di migranti e rifugiati significa che, anziché avere a disposizione percorsi legali e sicuri per lasciare la Libia, migliaia di persone intercettate nel Mediterraneo centrale vengono riportate indietro, arrestate arbitrariamente e trasferite nei centri in cui sono esposte alla tortura e a pericoli mortali“, ha aggiunto Mughrabi.
“Molte delle vittime dell’attacco erano migranti e rifugiati fuggiti da bagni di sangue, persecuzioni e povertà in cerca di una vita migliore e che invece si sono trovati incarcerati a tempo indeterminato in un centro di detenzione libico vicino alle zone di combattimento“, ha proseguito Mughrabi.
“Questo attacco deve suonare come un richiamo agli stati dell’Unione europea affinché pongano fine alle loro vergognose politiche di esternalizzazione alla Libia dei controlli sull’immigrazione nel tentativo di ridurre gli approdi di migranti e rifugiati sulle coste europee. Non è più possibile che questi stati chiudano gli occhi di fronte alle condizioni inumane, agli stupri, alla tortura e ad altre atrocità che i migranti e i rifugiati subiscono in quei centri, così come di fronte al loro stesso rifiuto di aiutare i rifugiati a raggiungere luoghi sicuri attraverso una idonea politica di ricollocamenti“, ha ammonito Mughrabi.
“Gli stati membri dell’Unione europea devono assicurare urgentemente percorsi legali e sicuri per i migranti e i rifugiati intrappolati in Libia e garantire che le persone partite da questo paese e intercettate in mare non siano riportate indietro“, ha concluso Mughrabi.