Dall’inizio della pandemia da Covid-19, migliaia di anziani hanno perso la vita all’interno delle strutture di residenza sociosanitarie e socioassistenziali in Italia. Amnesty International, ricostruendo il contesto operativo e raccogliendo oltre 80 interviste tra personale sanitario e famigliari degli ospiti delle strutture, rappresentanti di organizzazioni del settore e sindacalisti, esperti e giornalisti, ha analizzato e rilevato le violazioni e la mancata tutela del diritto alla vita, alla salute e alla non discriminazione dei pazienti anziani di tali strutture da parte delle istituzioni a livello nazionale, regionale e locale, illustrandole nel rapporto “Abbandonati” e lo ha fatto soffermandosi su tre regioni: Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto.
“Mi hanno raccontato di ospiti affetti da demenza pesantemente sedati e addirittura legati ai letti, per impedire loro di girare per la struttura dal momento che non c’erano le condizioni per l’isolamento” – Parente di un’ospite di una struttura in Emilia-Romagna
“Vedevamo persone che si spegnevano, che non venivano mandate in ospedale se non quando stavano per morire” – Operatrice sanitaria di una struttura in Emilia-Romagna
“A me il primo tampone lo hanno fatto a fine maggio-inizio giugno” – Operatore sanitario di una struttura in Lombardia
“Per i Dpi abbiamo dovuto fare i salti mortali all’inizio. Realizzando persino le mascherine in casa, di tutto e di più” – Direttore di una fondazione che gestisce alcune strutture in Veneto
“Ci avevano detto di non usare le mascherine per non creare panico a utenti e famiglie ed è continuato così fino all’inizio di marzo” – Operatrice sanitaria di una struttura in Lombardia.
Il rapporto “Abbandonati”, frutto di una ricerca condotta da Amnesty International Italia sulle violazioni dei diritti nelle strutture di residenza sociosanitarie e sociosanitarie durante la pandemia da Covid-19 in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, ha messo in luce le lacune delle istituzioni italiane a livello nazionale, regionale e locale nell’adottare misure tempestive per proteggere la vita e la dignità delle persone anziane nelle case di riposo nel corso dell’emergenza sanitaria da Covid-19.
Il ritardo nell’emanazione di provvedimenti adeguati, o la loro totale mancanza, si sono spesso tradotti in violazioni del diritto alla vita, alla salute e alla non discriminazione degli ospiti anziani delle strutture di residenza sociosanitarie e socioassistenziali italiane e degli operatori che vi lavorano.
Scarica il rapporto “Abbandonati”
In Italia, migliaia di ospiti anziani delle strutture hanno perso la vita dall’inizio della pandemia da Covid-19. La ricerca che abbiamo condotto ha evidenziato le principali criticità legate alla gestione della pandemia nei presidi residenziali per anziani, favorendo la diffusione del virus al loro interno.
L’intempestiva chiusura alle visite esterne delle strutture, il mancato o tardivo sostegno delle istituzioni nella fornitura di dispositivi di protezione individuale (Dpi) alle stesse, il ritardo nell’esecuzione di tamponi sui pazienti e sul personale sanitario, sono alcuni degli elementi che hanno contribuito al tragico esito e che dimostrano la de-prioritizzazione di questa tipologia di presidi rispetto a quelli ospedalieri, nonostante la popolazione anziana fosse stata dichiarata dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) tra le più vulnerabili al virus fin dall’inizio della pandemia.
A oggi ancora non esistono indicazioni che impongano, a livello uniforme sul territorio nazionale, una cadenza regolare e frequente per l’effettuazione di tamponi nell’ambito di uno screening continuativo all’interno delle strutture di residenza sociosanitarie e socioassistenziali.
I trasferimenti di pazienti dimessi dagli ospedali verso le strutture di residenza sociosanitarie e socioassistenziali, sia con Covid-19, sia con possibili sintomi riconducibili alla malattia, in assenza dell’applicazione dei requisiti operativi, fisici e relativi al personale sanitario che potessero garantire una concreta limitazione del contagio al loro interno e di approfondite attività ispettive per verificarne la sussistenza, hanno a loro volta contribuito alla diffusione del Covid-19 in questi ambienti.
Il rapporto di Amnesty International Italia contiene anche numerose testimonianze di operatori sanitari e di familiari dei pazienti anziani delle strutture che hanno riferito dell’impossibilità o dei gravi ostacoli incontrati nel tentativo di far ospedalizzare gli ospiti con Covid-19 o con sintomi simil-influenzali.
In particolare, in Lombardia gli ospiti over 75 in tali condizioni di salute sono stati oggetto di una delibera regionale che stabiliva come opportuno continuare a prestare cure e assistenza presso le strutture sociosanitarie e socioassistenziali dove risiedevano, limitandone di fatto le possibilità di accesso ai presidi ospedalieri. In assenza di valutazioni cliniche individuali volte a individuare la migliore soluzione per ogni paziente, questo ha comportato la mancata tutela del diritto alla vita, alla salute e alla non discriminazione.
L’emergenza sanitaria ha, inoltre, acuito problemi sistemici che affliggono le strutture oggetto della ricerca. Tra queste, la carenza di personale – aggravata dall’alto numero di operatori sanitari in malattia e dai reclutamenti straordinari dei presidi ospedalieri – ha comportato un grave abbassamento del livello di qualità dell’assistenza e della cura degli ospiti e ha fatto sì che si realizzassero condizioni di lavoro terribili per gli operatori stessi, sottoposti a un grave stress fisico e psicologico e che fossero sovraesposti al rischio di contagio.
I pochi Dpi a disposizione, le indicazioni scorrette circa il loro uso – o addirittura istruzioni relative al riutilizzo di dispositivi monouso – l’inadeguata formazione, l’esecuzione dei tamponi con frequenza irregolare e solo a partire da una fase avanzata dall’emergenza, quando il picco dei decessi della prima ondata era stato superato, la mancata attuazione di protocolli appropriati a contenere la circolazione del virus nelle strutture, hanno accresciuto le possibilità che gli operatori contraessero il Covid-19.
La risposta del governo italiano alla pandemia Covid-19 non è stata adeguata a proteggere e a garantire i diritti umani degli ospiti anziani delle strutture residenziali sociosanitarie e socioassistenziali. È imperativo che non si risparmino sforzi per dimostrare che la lezione è stata appresa, i processi decisionali errati devono essere immediatamente rivisti e corretti.
Amnesty International auspica che sia condotta un’inchiesta pubblica totalmente indipendente per esaminare in profondità la preparazione generale e la risposta alla pandemia per quanto riguarda i presidi residenziali sociosanitari e socioassistenziali per persone anziane.
Inoltre, Amnesty International chiede al ministero della Salute di assicurare che vengano messi tempestivamente in atto i meccanismi necessari a livello nazionale per garantire:
Amnesty International ha documentato come le autorità, durante la pandemia, non siano riuscite a intraprendere misure tempestive per tutelare la vita e i diritti delle persone anziane nelle strutture residenziali sociosanitarie e a proteggere la sicurezza degli ospiti e degli operatori sanitari. È quanto mai urgente e importante che le istituzioni garantiscano l’applicazione di quelle misure che consentono il contenimento della diffusione del virus all’interno delle strutture, tutelando gli ospiti, le loro famiglie e il personale.
Firma anche tu l’appello rivolto al ministero della Salute e alle direzioni generali competenti delle Regioni Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto affinché proteggano il diritto alla vita, alla salute e alla non discriminazione all’interno delle strutture di residenza sociosanitarie e socioassistenziali.
Firma ora per il diritto alla salute degli anziani nelle Rsa.
Il diritto alla vita, alla salute e alla non discriminazione nelle case di riposo, è stato tutelato a pieno dalle istituzioni nel resto d’Europa? Progetti di ricerca analoghi a quello italiano, sono stati portati avanti anche dalle sezioni di Amnesty International in Belgio, Regno Unito e Spagna.
Allarmante la situazione in Belgio, che ha uno dei tassi più alti di mortalità a livello globale, in gran parte dovuto al numero elevato di decessi nelle case di riposo. Il rapporto “Le case di riposo a un punto cieco. I diritti umani delle persone anziane durante la pandemia Covid-19 in Belgio” indica che ben il 61,3 % dei decessi attribuibili al Covid-19 nel paese sono avvenuti nelle case di riposo, con 6.467 residenti deceduti al 23 ottobre. Oltre alle lacune strutturali del sistema e alla mancanza di preparazione delle strutture alla pandemia, i mancati trasferimenti negli ospedali hanno giocato un ruolo cruciale. Solo il 57% dei casi gravi sono stati ospedalizzati durante la fase emergenziale, rispetto ad una media precedente dell’86%.
Nel Regno Unito il rapporto “Come se fossero sacrificabili. Il fallimento del governo inglese nel proteggere le persone anziane nelle case di riposo durante la pandemia di Covid-19” rileva 18.562 decessi di anziani residenti in case di riposo con Covid-19 tra il 2 marzo e 12 giugno, ossia il 40% di tutte le morti legate al Coronavirus nello stesso periodo. Responsabili di questo quadro i trasferimenti massivi di pazienti infetti o potenzialmente infetti dagli ospedali alle case di riposo, senza obbligatorietà di tampone, in parallelo a forti restrizioni per l’ospedalizzazione degli anziani. Di particolare gravità è la disposizione generalizzata di non rianimare gli anziani imposta in molte strutture inglesi.
Il diniego di ospedalizzazione per le persone anziane residenti applicato in maniera generalizzata e in assenza di valutazioni cliniche individualizzate è stata una delle criticità principali anche nelle comunità autonome della Catalogna e di Madrid, focus principale del rapporto “Abbandonati alla propria sorte. Mancata protezione e discriminazione delle persone anziane in residenza durante la pandemia Covid-19 in Spagna”, insieme alla mancanza di trasparenza delle autorità nella trasmissione di dati relativi ai decessi nelle strutture.
“Abbandonati” ha rilevato le violazioni e la mancata tutela del diritto alla vita, del diritto di ogni individuo a godere dei più elevati standard di salute mentale e fisica che sia possibile raggiungere, del diritto alla non-discriminazione – compresa quella fondata sull’età, sulla disabilità o sullo stato di salute, del diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti e il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Diritti umani dei quali l’Italia, in conformità con gli obblighi derivanti dal diritto internazionale, si impegna a garantire il rispetto, la protezione e l’applicazione.
Scarica il rapporto “Abbandonati”
La maggior parte di questi diritti è sancita dalla Convenzione europea per i diritti umani (Cedu) ed è direttamente applicabile nell’ordinamento giuridico italiano. Sebbene la protezione del diritto alla salute non sia espressamente menzionata nella Cedu, gli obblighi che ricadono sugli stati aderenti alla Convenzione sono stati ribaditi più volte dalla giurisprudenza.
Inoltre, l’Italia è tenuta a proteggere il diritto alla salute, come sancito dalla Carta sociale europea riveduta, nonché dagli strumenti internazionali di tutela dei diritti umani ratificati, in particolare la Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (Cdesc) e la Convenzione per i diritti delle persone con disabilità (Crpd).