Condanne per tortura nei centri di detenzione per migranti della Libia. “Perché continuare a essere complici?”

31 Maggio 2020

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Dopo le innumerevoli denunce dei gruppi per i diritti umani, le inchieste giornalistiche e le testimonianze dei sopravvissuti, ora anche un giudice italiano afferma che nei centri di detenzione per migranti della Libia si tortura.

Il 28 maggio il tribunale di Messina, con una sentenza storica e innovativa derivante dall’introduzione nel luglio 2017 del reato di tortura nel codice penale italiano, ha condannato a 20 anni di carcere un cittadino della Guinea e due cittadini egiziani  per aver torturato, picchiato e lasciato morire migranti trattenuti in un centro di detenzione di Zawiya. I tre sono stati giudicati colpevoli di associazione a delinquere finalizzata alla tratta di persone, alla violenza sessuale, alla tortura, all’omicidio e al sequestro di persona a scopo di estorsione.

Le domande che Amnesty International Italia pone al governo Conte sorgono spontanee: perché l’Italia, anche attraverso il recente rinnovo del memorandum di cooperazione con la Libia in tema d’immigrazione, continua a collaborare, risultandone effettivamente complice, con questo sistema di aperta violazione dei diritti umani? E quali passi avanti sono stati compiuti per apportare quelle migliorie e quelle necessarie modifiche al memorandum annunciate nei mesi scorsi dall’esecutivo?