Conflitto in Yemen, una crisi dimenticata

23 Marzo 2018

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Vi sono ampie prove che trasferimenti irresponsabili di armi alla coalizione a guida saudita hanno causato danni enormi alla popolazione civile yemenita. Ma questo non ha indotto Usa, Regno Unito e altri paesi – tra cui Francia, Italia e Spagna – a porre fine alle loro sistematiche forniture, del valore di miliardi di dollari, che hanno devastato le vite civili facendosi beffe del Trattato globale sul commercio delle armi”.

Queste sono le parole di Lynn Maalouf, direttrice di Amnesty International per le ricerche sul Medio Oriente, che fa il bilancio dei primi tre anni della campagna militare condotta dalla coalizione a guida saudita contro il gruppo armato huthi in Yemen.

Tre anni dopo, il conflitto dello Yemen non dà segni di regressione e tutte le parti continuano a infliggere orribili sofferenze alla popolazione civile. Scuole e ospedali sono in macerie, centinaia di persone hanno perso la vita e milioni sono gli sfollati con un disperato bisogno di aiuti umanitari”, ha dichiarato Lynn Maalouf.

Dal 25 marzo 2015, giorno in cui è iniziata la campagna militare della coalizione a guida saudita, abbiamo registrato violazioni del diritto internazionale umanitario da parte di tutti i partecipanti al confitto.

Secondo dati forniti nel febbraio 2018 dall’Ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, dal marzo 2015 in Yemen sono stati uccisi almeno 5.974 civili e ne sono stati feriti altri 9.493.

L’Ufficio per il coordinamento degli aiuti umanitari delle Nazioni Unite (Ocha) ha dichiarato che oltre 20 milioni di persone, ossia l’80 per cento della popolazione yemenita, hanno bisogno di aiuti umanitari.

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Conflitto in Yemen: gli effetti delle bombe prodotte da Usa e Regno Unito

Dall’inizio del conflitto, abbiamo documentato 36 attacchi aerei della coalizione a guida saudita che paiono aver violato il diritto internazionale umanitario e che nella maggior parte dei casi possono costituire crimini di guerra.

Questi attacchi hanno causato 513 morti – tra cui almeno 157 bambini – e 379 feriti tra la popolazione civile.

La mattina del 27 gennaio 2018 un attacco aereo della coalizione a guida saudita ha centrato l’abitazione della famiglia Naji ad al-Rakab, nella provincia meridionale di Ta’iz. Roweyda e i suoi figli, di 10 e sei anni, sono rimasti uccisi. Riyad e suo figlio di tre anni sono stati colpiti allo stomaco dalle schegge e un’altra figlia di un anno ha riportato ferite lievi.

@ Amnesty

L’abitazione era ad almeno tre chilometri da qualsiasi obiettivo militare e in quel momento nella zona non c’erano combattenti. Analizzando un video girato poco dopo l’attacco aereo, abbiamo verificato che era stato portato a termine con una bomba da circa 1/4 di tonnellata, la GBU-12 a guida laser, prodotta negli Usa dalla Lockheed Martin.

Nell’agosto 2017, un attacco notturno della coalizione a guida saudita in una zona residenziale della capitale Sana’a aveva ucciso 16 civili e ne aveva feriti altri 17, in maggioranza bambini. In quel caso a provocare la strage era stata un’altra bomba made in Usa fabbricata dalla Raytheon.

Conflitto in Yemen: le sparizioni forzate, gli arresti e i processi iniqui

In questi anni, il gruppo armato huthi e le forze anti-huthi hanno effettuato lanci indiscriminati di armi esplosive contro i centri abitati, causando morti e feriti tra i civili. Sotto tiro, in particolare, la città di Ta’iz, colpita da colpi di mortaio e di artiglieria a gennaio e febbraio del 2018.

Nella capitale Sana’a e in altre zone sotto il loro controllo, gli huthi e i loro alleati si sono resi responsabili di arresti arbitrari e imprigionamenti di persone percepite come dissidenti.

Decine di uomini e donne sono stati vittime di sparizioni forzate e molti di loro hanno poi subito pesanti condanne al termine di processi gravemente irregolari.

Conflitto in Yemen: colera e povertà

Lo Yemen sta affrontando una delle più grandi crisi umanitarie al mondo: almeno 22,2 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria ed è stato registrato oltre un milione di casi di colera.

Questa crisi è un risultato delle azioni umane e di una guerra in cui le parti in conflitto hanno impedito l’arrivo degli aiuti umanitari.

In un rapporto pubblicato nelle ultime settimane, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha affermato che i profughi interni sono più di due milioni.

In uno sviluppo positivo, nel settembre 2017 il Consiglio Onu dei diritti umani ha approvato una risoluzione che chiede a un gruppo di esperti di indagare sulle violazioni commesse da tutte le parti coinvolte nel conflitto dello Yemen e di identificarne ove possibile i responsabili.

Il 15 marzo 2018 il Consiglio di sicurezza ha adottato una Dichiarazione presidenziale sulla situazione umanitaria in Yemen. La Dichiarazione rappresenta un passo avanti per accertare le responsabilità di tutte le parti in conflitto nelle violazioni commesse e chiede, tra l’altro, il pieno accesso degli aiuti umanitari e delle importazioni commerciali così come il rispetto degli obblighi previsti dal diritto internazionale umanitario.

Tuttavia, la Dichiarazione non ha previsto l’istituzione di alcun meccanismo di monitoraggio sull’attuazione delle sue disposizioni.

Conflitto in Yemen: le responsabilità dell’Italia

Dall’Italia continuano a partire verso l’Arabia Saudita bombe prodotte nello stabilimento della RWM Italia Spa (controllata da un gruppo industriale tedesco) di Domusnovas, in Sardegna.

Nel corso degli ultimi due anni, insieme ad altre associazioni, abbiamo portato avanti molte azioni di pressione per chiedere al parlamento e al governo italiano di sospendere l’invio di materiali militari alla coalizione a guida saudita.

Il 19 settembre 2017, con 301 voti contrari e 120 a favore, la Camera dei deputati ha respinto una mozione che chiedeva al governo di bloccare la vendita di armi a paesi in guerra o responsabili di violazioni dei diritti umani come disposto dalla legge 185/1990, dalla Costituzione italiana e dal Trattato internazionale sul commercio delle armi.

Ci auguriamo che il futuro governo intraprenda un percorso nuovo nella difesa dei diritti umani e del rispetto del diritto internazionale sospendendo l’invio di materiali militari all’Arabia Saudita, come fatto recentemente dalla Svezia.