Tempo di lettura stimato: 2'
“Per quattro anni sono stato un prigioniero politico, rinchiuso nelle terribili carceri egiziane, ma grazie al grande supporto di Amnesty sono stato rilasciato ed è stata provata la mia innocenza”.
Questa è la storia a lieto fine di Ibrahim Halawa, una racconto fatto di tanta sofferenza ma anche di grande speranza per tutti coloro che ancora lottano per la giustizia e la libertà.
Ibrahim, di origine egiziana ma cittadino irlandese, ad agosto del 2013 è stato arrestato in Egitto. Aveva solo 17 anni. Ibrahim è rimasto in prigione per 1.472 giorni. Gli anni più belli e spensierati, la sua giovinezza sono trascorsi dietro le sbarre.
Ma la libertà è arrivata, grazie soprattutto al lavoro incessante dei familiari e degli attivisti che non si sono lasciati scoraggiare: persone normali che sono riuscite a sovvertire un destino che sembrava ormai certo.
“Oggi sono al fianco di Amnesty che si batte per tutti i prigionieri politici e le incarcerazioni ingiuste, specialmente in Egitto. Sono la prova vivente della forza di Amnesty ed è per questo che voglio dare il mio contributo”, ci racconta Ibrahim.
“Voglio parlare soprattutto agli italiani che stanno ancora aspettando giustizia per un caso molto importante, quello di Giulio Regeni. Quindi per favore lavorate sodo per questo caso. Io sono la prova che si può fare”.
Figlio di uno dei più noti imam irlandesi, nell’estate del 2013 era partito da Dublino insieme alle sorelle Somaia, Fatima e Omaima per andare a trovare i parenti al Cairo.
Lì avevano deciso di prendere parte alle proteste di metà agosto della Fratellanza Musulmana contro il colpo di stato di Abdel Fattah al-Sisi. In quelle manifestazioni, caratterizzate anche da numerosi atti di violenza da parte delle persone scese in strada, le forze di sicurezza egiziane fecero una strage.
Le sorelle Halawa, dopo tre mesi di carcere, furono rilasciate ed espulse in Irlanda. Al rientro a Dublino, denunciarono le torture subite dal fratello, confermate anche dal giornalista di al-Jazeera Peter Greste, che aveva condiviso con lui un periodo di detenzione nel carcere di Tora.
Negli oltre quattro anni di carcere, Ibrahim Halawa ha passato molto tempo in isolamento, senza poter incontrare un avvocato. Inoltre, a causa della mancanza di cure mediche, ha riportato una lesione permanente a una mano, colpita da un proiettile al momento dell’arresto.
A differenza delle sorelle, liberate su cauzione, Ibrahim ha trascorso anni e anni di prigionia nelle celle egiziane, tra torture e sofferenze, un incubo che sembrava non avere fine, con oltre 30 rinvii dei processi che lo vedevano coinvolto.
I nostri ricercatori sul campo, presenti al momento dell’arresto, hanno confermato che Ibrahim non avrebbe potuto eseguire gli atti violenti di cui era stato accusato.
Durante tutto il processo, l’accusa non ha prodotto alcuna prova contro di lui. Ibrahim è stato arrestato e detenuto arbitrariamente unicamente per aver esercitato pacificamente il suo diritto alla libertà di espressione e alla libertà di riunione.
Ibrahim ha perso quattro anni della sua giovane vita e nulla potrà mai giustificare quell’ingiustizia.
Per fortuna, il suo incubo è finalmente finito e ora può iniziare ad andare avanti con la sua vita.