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Al terzo mese della battaglia per Tripoli abbiamo denunciato il grave pericolo per un milione e 200 mila abitanti della capitale libica poiché le parti in conflitto continuano a usare una vasta gamma di armi importate in violazione dell’embargo disposto delle Nazioni Unite con la risoluzione 1970 del 2011.
La violenza scoppiata il 4 aprile ha costretto finora oltre 100.000 civili ad abbandonare le loro abitazioni e ha causato lunghe interruzioni quotidiane della fornitura di energia elettrica, compromettendo il funzionamento dei servizi sanitari e di altri di prima necessità in molte zone della città. I razzi e i colpi d’artiglieria hanno raggiunto aree residenziali distanti della linea del fronte e hanno frequentemente interrotto le operazioni dell’unico aeroporto attivo della città.
“Il tragico impatto della battaglia di Tripoli è visibile anche dallo spazio: le immagini satellitari mostrano ampie parti della città avvolte dall’oscurità; nelle fotografie e nei video che abbiamo esaminato e verificato si vedono aree residenziali, abitazioni e infrastrutture civili danneggiate”, ha dichiarato in una nota ufficiale Magdalena Mughrabi, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.
“L’embargo sulle armi avrebbe dovuto proteggere la popolazione civile della Libia. Ma stati come la Giordania, gli Emirati Arabi Uniti e la Turchia lo stanno violando clamorosamente fornendo armi sofisticate, veicoli blindati, droni e missili teleguidati. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite deve agire con urgenza per far rispettare l’embargo e le parti in conflitto devono rispettare il diritto internazionale e cessare di mettere in pericolo i civili”, ha aggiunto Mughrabi.
Dall’inizio della battaglia per Tripoli Amnesty International ha denunciato violazioni del diritto internazionale umanitario – compresi possibili crimini di guerra – da parte sia dell’Esercito nazionale libico del generale Haftar che delle forze del governo di accordo nazionale riconosciuto dalla comunità internazionale. Oltre alle aree residenziali, sono stati colpiti anche centri di detenzione per migranti e rifugiati.