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La Rete nazionale per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d’odio denuncia il fenomeno, sempre più diffuso, di disaggregare i dati quotidiani sulla pandemia da Covid-19 indicando la provenienza dei nuovi o degli attuali contagiati.
Nel rapporto quotidiano che accompagna il bollettino della Regione Calabria, oltre alla disaggregazione per province, dal 12 luglio appare una sesta grafica indicante inizialmente il numero dei migranti contagiati e ultimamente il numero dei contagiati da sbarco, ossia lo stesso gruppo di persone.
Questo modo di dare informazioni sul Covid-19, si legge nella nota ufficiale, così come l’introduzione, da parte di altre regioni, della categoria “casi d’importazione” e dichiarazioni come quella recente dell’ex ministro dell’Interno Marco Minniti sulla “evidente correlazione” tra immigrazione e pandemia rischiano d’innescare lo stigma sociale, intesa come l’associazione negativa tra una specifica malattia e un gruppo di persone che hanno in comune determinate caratteristiche, nei confronti di quanti vengono colpiti dalla malattia, con gravi conseguenze per le persone prese di mira.
Nel caso di una pandemia come quella da Covid-19, lo stigma sociale può comportare, come ha dichiarato l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che “le persone vengono etichettate, stereotipate, discriminate, allontanate e/o sono soggette a perdita di status a causa di un legame percepito con una malattia“.
Per evitare questo pericolo l’Oms, in collaborazione con la Federazione internazionale della Croce rossa e Mezzaluna rossa e l’Unesco, ha elaborato una guida per prevenire e affrontare lo stigma sociale associato a Covid-19, mettendo in guardia, in particolare le istituzioni governative dall’utilizzo di parole che possono avere un forte impatto negativo su gruppi che vengono associati alla malattia ma anche sulla gestione dell’epidemia nelle comunità locali.
La Rete nazionale per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d’odio chiede alla Regione Calabria e a ogni altra istituzione pubblica di evitare di associare il Covid-19 ai migranti o a qualsiasi altro gruppo nella società non solo perché ciò violerebbe la dignità delle persone, ma anche per il grave rischio di esclusione, anche a carattere violento, delle persone immigrate, rifugiate o richiedenti asilo, se venissero percepite come “untori”.