Nigeria, causa persa contro Shell ma la lotta per la giustizia andrà avanti

23 Marzo 2022

Tempo di lettura stimato: 6'

Un tribunale dei Paesi Bassi ha dato torto alla difensora dei diritti umani Esther Kiobel nella causa intentata contro il gigante petrolifero Shell, accusato di complicità nell’esecuzione del marito, nel 1995, da parte della giunta militare nigeriana.

Esther Kiobel ha dedicato 27 anni, e continuerà a dedicarne altri, alla ricerca della giustizia per l’impiccagione di suo marito, Barinel Kiobel e di altri otto uomini che avevano denunciato l’inquinamento da petrolio nella regione del Delta del fiume Niger.

In un’udienza del processo, nel 2019, tre testimoni avevano dichiarato di aver ricevuto denaro da Shell e dal governo nigeriano per incriminare i cosiddetti “nove ogoni”. Il tribunale ha tuttavia stabilito che non vi sono prove sufficienti per dimostrare un coinvolgimento di Shell.

Con Esther Kiobel, altre tre donne si erano rivolte al tribunale dei Paesi Bassi: Victoria Bera, Blessing Eawo e Charity Levula, i cui mariti erano stati a loro volta messi a morte nel 1995.

Le ricerche di Amnesty International su questa storica vicenda di ingiustizia sono giunte alla conclusione che la richiesta di “assistenza” da parte di Shell per gestire le proteste degli ambientalisti si tradusse in una brutale repressione da parte della giunta militare dell’epoca, culminata nell’arresto e nell’esecuzione dei “nove ogoni”, tra cui il famoso attivista Ken Saro-Wiwa.

“Il verdetto di oggi è deludente ma queste straordinarie donne non demorderanno. Le loro voci sono state ascoltate. Dobbiamo lodare la loro resilienza e il loro indefesso impegno per raccontare la verità. Hanno portato alla luce la cultura globale d’impunità di cui godono le multinazionali per le violazioni dei diritti umani, e questo non ha prezzo”, ha dichiarato Mark Dummett, direttore del programma Imprese e diritti umani di Amnesty International.

“Ci sono voluti anni di dispute legali prima che Esther Kiobel riuscisse a portare Shell in tribunale. Shell le ha tentate tutte per sottrarsi al giudizio, dalla contestazione della competenza dei giudici fino al rifiuto di consegnare documenti assai rilevanti. Il fatto che ci siano voluti oltre 20 anni perché un tribunale ascoltasse le argomentazioni di Esther Kiobel la dice lunga su quanto le multinazionali riescano a farla franca per i terribili crimini commessi. Nonostante questa sentenza, la lotta di Esther Kiobel per la giustizia non è stata vana: la sua tenacia rappresenta un grande motivo per il cambiamento. I governi devono fare di più per chiamare le grandi aziende a rispondere delle violazioni dei diritti umani e per far ottenere giustizia alle vittime”, ha aggiunto Dummett.

Dopo l’impiccagione del marito, Esther Kiobel è fuggita dalla Nigeria e si è trasferita negli Usa.

La sua prima azione giudiziaria contro Shell, presso un tribunale di New York, risale al 2002. Nel 2013 la Corte suprema federale stabilì che gli Usa non erano competenti a esaminare il caso.

Nel 2017, appoggiate da Amnesty International, Esther Kiobel, Victoria Bera, Blessing Eawo e Charity Levula si sono rivolte al tribunale distrettuale dell’Aia, nei Paesi Bassi, dove ha sede Shell, sostenendo che il gigante petrolifero aveva avuto un ruolo nell’arresto illegale e nella detenzione dei loro mariti, nella violazione dei loro diritti all’integrità fisica, a un giusto processo e alla vita, e nella violazione del diritto a una vita familiare. La causa è rimasta ferma a causa del rifiuto di Shell di fornire documenti importanti e solo nel 2019 il tribunale ha iniziato a esaminare gli argomenti dell’accusa.

Amnesty International ha ampiamente documentato il ruolo di Shell nella repressione nelle terre degli ogoni. In un rapporto del 2017, l’ha accusata di aver ripetutamente incoraggiato la giunta militare nigeriana dell’epoca a occuparsi delle proteste, pur sapendo che ciò avrebbe dato luogo ad atrocità quali uccisioni, stupri, torture e incendi di villaggi. Durante quell’orribile periodo, Shell fornì alla giunta militare sostegno materiale e, in almeno un caso, pagò un comandante militare noto per aver commesso violazioni dei diritti umani.

Amnesty International ha anche evidenziato la grave condotta negligente di Shell, la cui irresponsabile gestione delle fuoriuscite di petrolio nel Delta del fiume Niger ha aggravato una crisi ambientale e ha causato un devastante inquinamento nei territori delle comunità degli ogoni.

“Una delle tante tragedie in questa vicenda è che le fuoriuscite dagli oleodotti di Shell sono ancora una tragica realtà nel Delta del fiume Niger. L’azienda dice che intende lasciare la zona e che in cerca di un acquirente. Prima che ciò accada, dovrà accogliere le richieste delle comunità locali e ripulire la sua sporca eredità”, ha sottolineato Dummett.

“Shell ha già investito milioni nelle molteplici cause che le sono state intentate, ma i soldi non serviranno a ripulire il suo nome”, ha concluso Dummett.