Nigeria: le ragazze fuggite da Boko haram abbandonate dalle autorità

10 Giugno 2024

Tempo di lettura stimato: 12'

In un nuovo rapporto intitolato “Aiutateci a ricostruire le nostre vite”, Amnesty International ha accusato le autorità della Nigeria di aver abbandonato le ragazze che erano riuscite a fuggire dai loro sequestratori di Boko haram: alcune hanno trascorso periodi di detenzione illegale in strutture militari e, in generale, ricevono scarso sostegno nel tentativo di ricostruirsi una vita, dopo aver subito matrimoni forzati, riduzione in schiavitù e violenza sessuale.

Dopo essere riuscite a liberarsi, molte ragazze hanno trascorso lunghi periodi di tempo nelle carceri militari, una prassi che solo negli ultimi anni è risultata meno diffusa. Altre sono state lasciate a sé stesse in campi per sfollati insieme ad altri milioni di persone necessitanti assistenza umanitaria: da quei campi, alcune sono finite in centri di transito dove sono state “riunite” a quei “mariti” di Boko haram che si erano arresi.

I crimini che le ragazze hanno subito sono destinati ad avere conseguenze di lungo periodo, tipiche della loro età e del loro genere: complicazioni di salute, mancato accesso all’istruzione, ostacoli al desiderio di contrarre un vero matrimonio e, per finire, stigma e rifiuto da parte delle famiglie e delle comunità di appartenenza.

Il rapporto si basa su 126 interviste, 82 delle quali a ragazze sopravvissute al rapimento, condotte nel nord-est della Nigeria o da remoto tra il 2019 e il 2024. Il 4 aprile Amnesty International ha scritto alle autorità federali e statali nigeriane e agli uffici delle Nazioni Unite, inviando le principali conclusioni delle sue ricerche. L’esercito ha negato ogni accusa, sostenendo che nelle sue operazioni rispetta i diritti umani, e ha definito “intrinsecamente non credibili” le “fonti” di Amnesty International, che come sopra riportato, erano soprattutto le sopravvissute. L’Unicef ha risposto in via confidenziale.

 

Rapimenti e violenza sessuale

Durante gli attacchi contro la popolazione civile del nord-est della Nigeria, Boko haram ha portato a termine rapimenti di massa di bambine e bambini. Almeno otto ragazze hanno assistito all’uccisione di loro familiari da parte di Boko haram.

“Quelli di Boko haram sono entrati in casa nostra. Hanno detto a mio padre che eravamo dei miscredenti, poi lo hanno ucciso con un colpo alla nuca. Il proiettile è uscito dagli occhi. Abbiamo iniziato a piangere. Ci hanno ordinato di fare silenzio, altrimenti avrebbero ucciso anche mia madre”, ha raccontato CA*, rapita nel 2013 quando aveva 13 anni.

La maggior parte delle ragazze rapite è stata vittima di matrimonio forzato, una prassi comune per Boko haram che considera “età da matrimonio” l’adolescenza o anche il periodo precedente.

Una volta “mogli”, le ragazze sono state usate in molti modi diversi, tra i quali la servitù domestica e la schiavitù sessuale. Almeno 33 sopravvissute hanno denunciato di essere state stuprate dai loro “mariti”. HA* ha raccontato di aver “accettato” il matrimonio per salvare suo padre dalla morte. Il “marito” la picchiava e spesso la stuprava quando lo respingeva.

Ventotto intervistate hanno riferito di aver dato alla luce figli della violenza sessuale. Almeno 20 di loro erano bambine quando sono diventate madri.

Punizioni e attentati suicida

Tutte le ragazze rapite hanno dovuto vivere osservando regole rigide e gravi limitazioni alla libertà di movimento. Ogni infrazione, reale o presunta, alle regole era sanzionata con punizioni fisiche eseguite in pubblico per instillare paura o, a volte, con lunghi periodi di prigionia.

Almeno 31 ragazze sono state costrette ad assistere a frustate, amputazioni e decapitazioni.

“A volte sogno i corpi, le lapidazioni delle ragazze. Poi apro gli occhi e non riesco più a riaddormentarmi”, ha raccontato GH*, che ora ha superato i 20 anni di età, dopo averne trascorsi dieci in prigionia.

Boko haram ha usato numerose volte le ragazze anche per compiere attentati suicidi. Tra la metà del 2014 e il 2019, la maggior parte di quelle azioni è stata portata avanti da ragazze.

 

Violazioni durante la detenzione illegale

Circa 50 ragazze hanno raccontato ad Amnesty International di aver messo a rischio la loro vita e quella dei loro figli pur di scappare. Molte di loro hanno camminato anche per 12 ore, sopravvivendo con poco cibo o con l’acqua che riuscivano a trovare.

Alcune di loro sono state “soccorse” dai militari nigeriani o dai miliziani, armati dallo stato, della Task force congiunta civile, che poi le hanno poste in detenzione. Per tutti gli oltre dieci anni del conflitto con Boko haram, l’esercito nigeriano ha arrestato arbitrariamente migliaia di bambine e bambini.

Trentuno ragazze hanno dichiarato di essere state detenute illegalmente in strutture militari, dal 2015 alla metà del 2023, per periodi di tempo varianti da alcuni giorni a quasi quattro anni, in quanto sospettate di essere associate a Boko haram. Alcune hanno riferito che i soldati le chiamavano “le mogli di Boko haram” e le accusavano di aver commesso omicidi. Molte hanno descritto i pestaggi subiti e le spaventose condizioni di detenzione, equivalenti a torture o altri maltrattamenti.

“Quando i soldati ci portavano da mangiare, ci davano una porzione [di cibo solido] in una mano e una scodella di brodo da dividere. Per fare i bisogni, ci davano una busta di plastica”, ha raccontato NV*, che è riuscita a liberarsi nel 2021, all’età di 20 anni, dopo essere stata sotto sequestro per otto anni per poi essere trattenuta due mesi in un carcere dell’esercito a Madagali, nello stato di Adamawa.

Molte ragazze sono state detenute insieme ai loro figli. Due hanno partorito in quelle strutture, altre hanno visto dei bambini morire.

In violazione del diritto internazionale dei diritti umani, nessuna delle ragazze intervistate da Amnesty International ha avuto accesso a un avvocato o è stata accusata di un reato.

“Nessuno ci spiegava niente. Ci avevano portato lì e basta”, ha riferito BZ*, detenuta dal 2017 al 2020 nella famigerata base militare di Giwa, nello stato di Borno.

Dal 2016, la maggior parte delle persone illegalmente detenute a Giwa è stata trasferita nel centro di accoglienza provvisorio di Bulumkutu, dove è stato possibile avere accesso ad alcuni servizi.

“Abbiamo bisogno di sostegno”: le aspirazioni delle ragazze

Molte delle ragazze intervistate sono state riunite, dalle autorità governative e dai loro partner, alle famiglie e vivono in sovraffollati campi per profughi interni o nelle comunità degli stati di Borno e Adamawa. Hanno bisogno di sostegno specialistico, lo chiedono al governo ma sentono di essere state abbandonate.

“Molte persone nel governo non si preoccupano di noi. Abbiamo bisogno di sostegno”, ha detto AV*, tornata libera nel 2021 all’età di 15 anni e che ora vive a Madagali, nello stato di Adamawa.

Lo stigma di essere considerate “le mogli di Boko haram” resta ancora un forte ostacolo alla reintegrazione delle ragazze anche se, negli ultimi anni, la situazione è migliorata. Molte ragazze hanno raccontato che i membri delle loro comunità le insultavano, le guardavano con sospetto e mettevano in giro la voce che li avrebbero uccisi o li avrebbero infettati con malattie.

“La comunità che ci ospita usa violenza nei nostri confronti, non ci dà nulla. Ci fanno sentire sempre un peso per loro”, ha detto ZC*, 19 anni, che vive in un campo per profughi interni con suo “marito”, un ex membro di Boko haram.

Dopo anni di oppressione da parte di Boko haram, seguiti dalla detenzione illegale nelle strutture militari e dal disinteresse delle autorità di governo, molte delle ragazze intervistate considerano la ritrovata libertà il bene supremo. Hanno poi espresso il desiderio di essere economicamente indipendenti per poter mantenere sé stesse e le loro famiglie e di iscrivere i figli a scuola.

Per molte, l’istruzione è una priorità importante. Vogliono diventare dottoresse, infermiere, insegnanti, avvocate o lavorare nelle organizzazioni non governative.

“Voglio ricominciare da capo. Ci sono così tante cose di cui ho bisogno che non so da dove iniziare!”, ha detto SB* che ha trascorso quasi dieci anni nelle mani di Boko haram.

L’accesso ai servizi di salute mentale e di sostegno psicosociale è estremamente limitato in tutto il nord-est della Nigeria. Il governo ha l’obbligo di assicurare che quei servizi siano disponibili.

“Il governo nigeriano è venuto meno ai suoi obblighi di diritti umani di proteggere e sostenere adeguatamente queste ragazze. Insieme ai loro partner internazionali, le autorità nigeriane devono aiutare queste ragazze a reintegrarsi completamente nella società dando priorità all’accesso alle cure mediche, all’educazione e alla formazione. Le ragazze devono ricevere l’assistenza di cui hanno bisogno per ricostruire le loro vite in condizioni di dignità e di sicurezza”, ha dichiarato Samira Daoud, direttrice di Amnesty International per l’Africa occidentale e centrale.

Amnesty International chiede al governo nigeriano, alle agenzie delle Nazioni Unite e ai governi donatori di mettere urgentemente a disposizione servizi di reintegrazione specifici per le ragazze, assicurando al contempo che altri gruppi vulnerabili non siano lasciati indietro.

Amnesty International chiede inoltre alle autorità nigeriane di assicurare che le ragazze nigeriane abbiano un’alternativa concreta al ritorno dai loro “mariti” di Boko haram e ricevano il sostegno necessario per ricostruire le loro vite.

 

Ulteriori informazioni

Il conflitto armato non internazionale tra Boko haram e le forze nigeriane, iniziato oltre dieci anni fa, ha avuto un impatto sulla vita di milioni di persone nel nord-est della Nigeria e ha prodotto una crisi umanitaria di vaste proporzioni, con milioni di sfollati interni. Tutte le parti in conflitto hanno commesso crimini di guerra, crimini contro l’umanità e altre violazioni dei diritti umani, in particolare ai danni delle donne, delle bambine e dei bambini e delle persone anziane.

 

*Iniziali di nomi e cognomi di fantasia.