Tempo di lettura stimato: 4'
Sto scrivendo nella cella di una prigione.
Prima di cominciare ad impietosirvi, però, ascoltate ciò che ho da dire.
Sì, sono stato rinchiuso in una prigione di alta sicurezza in mezzo al nulla.
Sì, vivo in una cella le cui porte di ferro si aprono e si chiudono con rumori pesanti.
Sì, i pasti mi vengono serviti attraverso una fessura nella porta.
Sì, anche il piccolo cortile con il suo pavimento di pietra dove cammino avanti e indietro, è coperto da sbarre.
Sì, non posso vedere nessuno tranne il mio avvocato e i miei figli; non mi è nemmeno concesso di scrivere ai miei cari.
Tutto questo è vero, ma non è tutta la verità.
Questi sono alcuni struggenti versi di Ahmet Altan, giornalista e scrittore turco, nato ad Ankara nel 1950.
Ex direttore del quotidiano Taraf, critico nei confronti del presidente Erdogan, è stato condannato all’ergastolo con l’accusa di aver favorito il tentato colpo di stato del luglio 2016.
Una sentenza che ha colpito anche il fratello di Ahmet Altan, Mehmet, economista e intellettuale e il noto volto televisivo Nazli Ilcak, tutti imputati di aver dato sostegno ideologico ai golpisti di Fetullah Gulen, ritenuto la mente del golpe fallito in Turchia.
Ahmet è stato rilasciato 12 giorni dopo, ma solo per essere arrestato nuovamente come presunto “membro di una organizzazione terroristica” e “per aver attentato alla stabilità del governo“.
Anche dal carcere, Ahmet Altan ha continuato a scrivere, a sentirsi libero e mai prigioniero, producendo ben tre volumi e rilasciando numerose interviste.
Ahmet Altan non si è fatto limitare dalle sbarre della propria cella e ha scritto parole toccanti che descrivono la sua sensazione di libertà, nonostante tutto:
Ho amici in tutto il mondo che mi aiutano a viaggiare, anche se non ho mai incontrato la maggior parte di loro.
So di essere uno schizofrenico finché tutte queste persone abitano solo nella mia testa. Ma so anche che sono uno scrittore e che un giorno tutti si ritroveranno tra le pagine di un libro.
Sono uno scrittore. Ovunque voi mi chiuderete, io viaggerò per il mondo sulle ali dei miei pensieri.
Lo scorso 28 febbraio, ad Ahmet Altan, autore tra l’altro di “Scrittore e Assassino” e “Endgame“, è stata inflitta una nuova condanna a cinque anni e 11 mesi di carcere per “offese” al presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
Una decisione, quella del tribunale, che suona quasi beffarda vista la precedente condanna.
“A parte qualche mio articolo e un’unica apparizione in tv, l’imputazione di golpismo nei nostri riguardi si basa sulla seguente asserzione: si ritiene che noi conoscessimo gli uomini accusati di conoscere gli uomini accusati di essere a capo del colpo di stato“, spiega lo scrittore nel suo libro.
Lo stato d’emergenza in Turchia, imposto dopo il tentato colpo di stato del luglio 2016, è rimasto in vigore per tutto l’anno. Questo ha aperto la strada a limitazioni illegittime dei diritti umani e ha permesso al governo di approvare leggi senza il vaglio effettivo del parlamento e dei tribunali.
Oltre 50.000 persone sono state trattenute in custodia preventiva con l’accusa di appartenere all’ “organizzazione terroristica Fethullah Gülen“, che le autorità ritenevano responsabile del tentato colpo di stato.
Oltre 100 giornalisti e operatori dell’informazione da fine 2017 risultano in custodia cautelare.
Giornalisti di organi d’informazione chiusi dai decreti per lo stato d’emergenza hanno continuato ad affrontare azioni giudiziarie, condanne e reclusione.
Come Altan, altri 34 operatori dell’informazione che lavoravano per i quotidiani del gruppo Zaman si trovano in custodia preventiva.