Perché il linguaggio che utilizziamo quando parliamo di rifugiati è importante

13 Marzo 2020

© Osman Orsal / Getty Images

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Il romanzo distopico di George Orwell, 1984, si apre con Winston Smith che racconta sul suo diario di un film che ha visto: “Uno ottimo di una nave piena di rifugiati bombardata, da qualche parte nel Mediterraneo. Il pubblico si divertiva un mondo a vedere un grassone che cercava di svignarsela con un elicottero che lo inseguiva, prima lo si vedeva sguazzare come una focena, poi lo si vedeva attraverso l’apparecchio di puntamento dell’elicottero, poi era pieno di buchi e il mare attorno a lui diventava rosa e affondava all’improvviso, come se l’acqua fosse entrata nei buchi“.

Qualche settimana fa è apparso un video in cui una nave della guardia costiera greca sembrava cercare di capovolgere in mare un’imbarcazione piena di rifugiati e la guardia costiera sparava in acqua vicino al loro gommone.

Questa non è l’Oceania del 1984. Questa è l’Europa del 2020.

Secondo quanto riferito l’episodio è avvenuto a largo delle coste turche lunedì e giunge nel mezzo del crescente stallo tra Turchia e Unione europea in seguito alla decisione del presidente Erdogan di permettere a rifugiati e migranti di dirigersi verso il territorio europeo della Turchia e i confini con Grecia e Bulgaria.

E come il pubblico del cinema di Orwell, alcune persone si sono “molto divertite”. Una famigerata commentatrice di destra ha twittato il video commentando: “Adoro quella guardia costiera greca. Forza prodigioso popolo della Grecia. Cosce unte d’oblio. Anfibi stretti. Rabbia contro l’invasione“.

Questo linguaggio dell’invasione è stato ripreso nei titoli di tutto il mondo con i giornali che descrivevano la Grecia presa d’assalto da “schiere” o “ondate” di migranti. Persino il New York Times martedì ha riportato un’immagine con la didascalia “Le autorità greche utilizzano gas lacrimogeni e proiettili di gomma per respingere la folla“.

Portando l’analogia militare a un livello superiore, Stelios Petsas, portavoce del governo greco, ha descritto il Paese come se stesse affrontando una “minaccia asimmetrica” per la propria sicurezza e ha annunciato che Atene aveva provveduto all’invio di velivoli d’assalto nelle sue isole dell’Egeo orientale.

Il linguaggio dell’invasione è diventato sempre più popolare perché è anche facile da usare per i leader politici populisti di tutto il mondo, che alimentano la xenofobia e un pericoloso nazionalismo per ottenere e conservare potere, innalzare barricate e muri come materializzazioni fisiche del proprio pregiudizio.

Come recentemente osservato da Filippo Grandi, Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, un tale linguaggio non è solo profondamente sbagliato ma anche estremamente pericoloso. “Questo è il tipo di linguaggio che stigmatizza rifugiati, migranti e tutte le altre persone che si spostano, che legittima parole di razzismo, odio e xenofobia“, ha dichiarato.

Sull’isola greca di Lesbo, al largo delle cui coste è annegato un bambino, un piccolo gruppo di residenti ha impedito alle imbarcazioni dei rifugiati di attraccare. È stato riferito che medici, giornalisti e soccorritori sono stati attaccati con violenza dai gruppi di vigilantes. Questa settimana Medici Senza Frontiere è stata costretta a sospendere le proprie attività per due giorni a causa delle tensioni in aumento sull’isola.

La crescente frustrazione greca ha origine dal fallimento dei sistemi europei di asilo e dal fatto che non esista un sistema di condivisione delle responsabilità tra gli stati europei per i richiedenti asilo. Ne deriva che Paesi costieri come Italia, Grecia e Malta sono stati lasciati in larga misura a far fronte alla situazione. I tentativi del Parlamento europeo di riformare il regolamento di Dublino sono stati fermati da alcuni paesi.

Invece di cercare di mettere mano a questo sistema inadeguato che tradisce sia gli stati d’arrivo dell’Unione europea sia  le persone in cerca di salvezza, i principali leader europei stanno facendo finta di niente e questo  ha creato un vuoto che i populisti hanno riempito con avidità.

Se li lasceremo fare, le nostre conversazioni e la lingua che usiamo saranno filtrati dalla paura e trasformeranno il pregiudizio in un’arma.

Ma la fortezza che l’Europa sta costruendo attorno a sé stessa invece di isolare queste “forze oscure” ci sta lasciando sempre più intrappolati in una prigione populista di paura.  

A settant’anni dalla pubblicazione di 1984, molti aspetti della visione di Orwell, dall’onnipresente sorveglianza di massa alla strisciante influenza della Neolingua, sono diventati luoghi comuni. Dobbiamo agire per garantire che il modo in cui trattiamo i rifugiati che scappano da guerra e povertà non divenga a sua volta distopico.

Il presente articolo è apparso per la prima volta su Newsweek.