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“Milioni di persone nel mondo conoscono il nome di mio marito, Raif Badawi. Questa attenzione è confortante, ma il motivo che l’ha generata mi sconvolge.”
Ensaf Haidar, moglie di Raif Badawi, rifugiata politica in Canada
Raif Badawi è un attivista e blogger saudita, fervido sostenitore della libertà di pensiero e di espressione.
Nel 2002, si sposò con Ensaf Haidar, con cui ebbe tre figli: Terad, Najwa e Miriam. La loro era una vita felice, normale, tranquilla. Almeno fino al 2006.
Quell’anno, infatti, Badawi fondò “Free Saudi Liberals”, un forum online di dibattito su temi politici e religiosi. L’obiettivo era creare uno spazio aperto, dove le persone potessero parlare in modo pacifico del liberalismo e di idee diverse. In un paese conservatore e repressivo come l’Arabia Saudita, questa idea era una rivoluzione.
In poco tempo, infatti, il blog divenne molto conosciuto, apprezzato dalle persone ma considerato troppo pericoloso dal governo saudita.
La risposta delle autorità non si fece attendere. Nel 2012, Raif venne arrestato con l’accusa di aver insultato l’Islam attraverso canali di comunicazione digitale.
Portato in tribunale con diverse accuse, tra cui l’apostasia, la prima condanna di Badawi era di sette anni di carcere e 600 frustate nel 2013, punizione successivamente aumentata.
Il 7 maggio 2014, infatti, Raif Badawi è stato condannato in via definitiva: 10 anni di carcere e a 1000 frustate. Giudicato colpevole di “offesa all’Islam”, la sua vera “colpa” era di aver fondato uno spazio online per parlare liberamente di temi politici e religiosi.
La punizione era feroce. Oltre al carcere, all’ingiusta detenzione, alla lontananza dalla sua famiglia, il 9 gennaio 2015 Badawi fu frustato pubblicamente davanti alla moschea di al-Jafali a Gedda: 50 frustate, una pena disumana, una tortura. E solo per aver espresso le proprie opinioni.
Il 6 giugno del 2015 la Corte suprema dell’Arabia Saudita ha confermato la condanna, senza possibilità di appello. Come Raif, anche altri prigionieri di coscienza stanno scontando condanne solo per aver avuto il coraggio di esprimere il loro pensiero.
La fustigazione è una punizione corporale che viola il diritto internazionale, che proibisce la tortura e i trattamenti o le punizioni crudeli inumane o degradanti. Questa durissima e disumana sentenza contro Raif non era casuale: è stata infatti un monito nei confronti di tutti coloro che osano sfidare l’estremismo religioso saudita.
L’importanza dell’attivismo di Badawi è stata riconosciuta anche dalle istituzioni europee. Per il suo attivismo, infatti, nel 2015 Raif Badawi ha ricevuto il premio Sakharov per la libertà di pensiero, il massimo riconoscimento che l’Unione europea conferisce agli sforzi compiuti a favore dei diritti umani. Tale riconoscimento metteva in evidenza ancora una volta l’ampiezza della repressione che l’Arabia Saudita sta attuando nei confronti di blogger, attivisti e difensori dei diritti umani, anche attraverso il ricorso a pene crudeli e inumane.
La sua famiglia, gli amici e gli attivisti di Amnesty International non lo hanno mai abbandonato, chiedendo più volte di annullare la condanna e di liberare Badawi.
“Il giorno in cui Raif è stato portato in carcere ho deciso che avrei avuto due scelte davanti a me: essere debole, arrendermi e mettermi a piangere in un angolo o essere forte e combattere per la sua libertà. Sono una persona che ha sempre nutrito grandi speranze, nonostante gli ostacoli”, ha detto la moglie Ensaf.
Dopo le prime 50 frustate, che suscitarono proteste internazionali, gli attivisti e le attiviste di Amnesty International si mobilitarono per denunciare l’ingiustizia nei confronti di Badawi, chiedendo che venisse rilasciato insieme a tutti gli altri prigionieri di coscienza. Nel corso degli anni, più di un milione di messaggi di attivisti di Amnesty International sono stati inviati a sostegno di Raif Badawi.
Il 1° marzo Raif Badawi verrà finalmente liberato dopo 10 anni di carcere ingiusto. Ma Raif, in carcere, non ci sarebbe mai dovuto andare.
Anche se rilasciato, a Badawi verrà imposto un divieto di viaggio di 10 anni, il che significa che per molto tempo non potrà raggiungere la moglie e i figli che vivono in Canada.
L’incubo di Raif non è ancora finito.