© Marizilda Cruppe/Amnesty International
Già all’inizio del 2020, le Americhe erano la regione più iniqua al mondo e l’impatto della pandemia da Covid-19 ha inasprito questa disuguaglianza. Le comunità marginalizzate sono state tra quelle più colpite e, a fine anno, i livelli di povertà erano destinati a salire. Le risposte dei governi alla crisi hanno avuto un fortissimo impatto sui diritti umani, con conseguenze spesso devastanti per un ampio numero di persone.
Le restrizioni per il Covid-19 hanno colpito duramente la vasta economia informale della regione e le misure dei governi hanno spesso minacciato i diritti sociali, economici e culturali di coloro che si trovavano in situazioni di maggiore precarietà. I confusi messaggi sulla salute, la mancanza di trasparenza e le inadeguate misure di protezione per le comunità marginalizzate hanno peggiorato l’accesso all’assistenza sanitaria, già inconsistente e iniquo, con risultati devastanti. La regione, in cui vive il 13 per cento della popolazione mondiale, ha registrato il 49 per cento delle morti dovute al Covid-19 a livello globale. La mancanza di dispositivi di protezione individuale (Dpi), oltre alle misere e precarie condizioni di lavoro hanno avuto un costo enorme per gli operatori sanitari, ai quali spesso è stato impedito di parlare, se non volevano essere sanzionati.
In tutta la regione, le misure d’isolamento per il Covid-19 hanno portato a un marcato aumento della violenza contro le donne, inclusi violenza domestica e omicidi. Quasi ovunque, le misure per proteggere donne e ragazze sono state inadeguate. In alcuni paesi, i programmi di supporto sono stati tagliati; in altri, erano gli stessi attori statali a commettere violenza. Molti governi non hanno fatto abbastanza per dare priorità alla salute sessuale e riproduttiva come servizio essenziale durante la pandemia.
In almeno una dozzina di paesi, i governi hanno minacciato la libertà d’espressione. Anche i diritti alla libertà di associazione e riunione pacifica sono stati negati o indebitamente limitati da polizia ed esercito, con un uso illegale della forza registrato in oltre una decina di paesi. L’impunità e la mancanza di accesso alla giustizia sono rimasti motivi di grave preoccupazione.
Gli arresti arbitrari sono stati diffusi e spesso collegati all’applicazione delle restrizioni per il Covid-19. In alcuni paesi, le persone sono state messe in quarantena forzata in centri gestiti dallo stato, che non rispettavano gli standard igienici e di distanziamento fisico. Nei sistemi carcerari di circa un terzo dei paesi della regione si è verificato il diniego del diritto alla salute.
Alcuni governi hanno detenuto rifugiati, richiedenti asilo e migranti in condizioni che li esponevano ad alto rischio di contrarre il Covid-19. Altri hanno respinto con la forza persone senza una reale valutazione delle loro domande d’asilo.
Il nuovo Accordo regionale sull’accesso alle informazioni, la partecipazione pubblica e la giustizia in materia ambientale nell’America Latina e nei Caraibi (Accordo di Escazù) era finalmente pronto a entrare in vigore, dopo la ratifica del Messico a novembre. Tuttavia, i diritti delle persone native sono rimasti sotto attacco e le Americhe continuavano a essere una delle regioni più pericolose al mondo per i difensori dei diritti umani, specialmente quelli che si occupavano di questioni relative alla terra, al territorio e all’ambiente.
A ottobre, la Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi delle Nazioni Unite ha stimato che, a fine anno, le economie della regione si erano contratte del 9,1 per cento, con il 37,3 per cento della popolazione in condizioni di povertà: i dati peggiori dal 2006.
In alcuni casi, le difficoltà sono state particolarmente gravi. A giugno, il 40,9 per cento della popolazione argentina viveva nell’indigenza. A luglio, il 96 per cento delle famiglie venezuelane avevano un reddito insufficiente, con il 79 per cento in povertà estrema e impossibilitato a comprare prodotti alimentari di base.
Molti governi hanno fallito nel tentativo di mitigare gli effetti sociali ed economici del Covid-19 sui più vulnerabili. In Brasile, gli aiuti finanziari alle persone a basso reddito sono stati insufficienti e l’implementazione del programma di assistenza federale è stato viziato da irregolarità. In Guatemala, interi quartieri e comunità sono stati lasciati senza accesso all’acqua, impedendo alle persone di adottare pratiche igieniche appropriate durante la pandemia.
Le misure adottate da alcuni governi hanno portato a pratiche discriminatorie che hanno minacciato i diritti sociali, economici e culturali. Per esempio, il governo colombiano ha incrementato lo sradicamento forzato della produzione di coca, nonostante i suoi effetti sulle comunità campesino, che dipendono da questa coltivazione come mezzo di sussistenza. In Venezuela, il governo ha ritardato il pieno accesso al World Food Programme, mentre i sistemi di distribuzione del cibo a livello nazionale continuavano a operare secondo criteri politicamente discriminatori. I governi di Ecuador e Messico hanno applicato misure di austerità nel picco della pandemia, senza una tutela sufficiente delle esigenze sociali ed economiche di base delle persone e dei gruppi svantaggiati.
I governi devono garantire l’accesso ai diritti economici, sociali e culturali senza discriminazione. I piani per la ripresa economica dovrebbero includere tutte le misure necessarie per affrontare gli effetti sproporzionati che la pandemia e la crisi hanno avuto su alcune persone storicamente svantaggiate a causa di fattori etnico-razziali, di genere e di condizioni legali e socioeconomiche. Prima d’intraprendere misure di austerità, gli stati devono esaminare esaustivamente tutte le altre possibilità e fare una valutazione dell’impatto sui diritti umani, oltre che dare priorità alle persone svantaggiate nell’allocazione delle risorse.
La pandemia ha avuto un impatto devastante in molti paesi dove l’accesso alle cure sanitarie è stato limitato e iniquo. Durante l’anno, oltre 750.000 persone sono morte a causa del Covid-19 nelle Americhe. In termini di decessi per Covid-19 registrati per milione di abitanti, i paesi più colpiti sono stati Argentina, Brasile, Cile, Messico, Perù e Usa.
Molti governi hanno ampiamente seguito le linee guida dell’Oms nelle loro risposte alla pandemia. Tuttavia, i governi di Brasile, Nicaragua, Usa e Venezuela hanno spesso dato messaggi confusi su temi sanitari, senza implementare politiche per proteggere coloro che erano più a rischio e mostrando una mancanza di trasparenza.
In Brasile, i messaggi sulle regole sanitarie delle autorità federali e statali sono stati spesso contraddittori e le misure per contenere l’impatto del Covid-19 tra le popolazioni native sono state inefficaci. Secondo l’Articolazione delle popolazioni native del Brasile, 158 popolazioni native sono state colpite dal virus e, all’8 ottobre, risultavano 840 morti tra i nativi.
In Nicaragua, le autorità hanno promosso raduni di massa in cui non era possibile mantenere il distanziamento fisico e le informazioni ufficiali riguardo alla risposta al Covid-19 sono state tutt’altro che trasparenti.
Negli Usa, le risposte inadeguate e incostanti del governo alla pandemia hanno avuto un impatto sproporzionato e discriminatorio su molte persone sulla base della loro razza, status socioeconomico e altri fattori. Gli Usa hanno anche avviato un processo di ritiro dall’Oms.
In Venezuela, c’è stata una mancanza di trasparenza da parte delle autorità riguardo ai test, ai livelli di contagio e alle morti dovute al Covid-19. Ci sono state anche segnalazioni di donne incinte che si sospettava avessero contratto il Covid-19, alle quali è stata negata un’assistenza adeguata dai servizi sanitari pubblici.
Operatori sanitari
Nella regione, la pandemia ha avuto conseguenze devastanti sugli operatori sanitari: almeno 8.000 sono morti a causa del Covid-19. Il 2 settembre, l’Organizzazione panamericana della sanità ha denunciato che nelle Americhe circa 570.000 operatori sanitari avevano contratto il Covid-19, “il più alto numero di operatori sanitari contagiati nel mondo”.
I professionisti sanitari di quasi tutti i paesi hanno protestato per il fallimento dei governi nel fornire sufficienti Dpi e condizioni lavorative sicure, che per molti sono stati la causa degli alti livelli di decessi e contagi. Il presidente di El Salvador ha posto il veto sul decreto 620, che mirava a garantire l’assicurazione sanitaria ed equipaggiamenti di sicurezza biologica per gli operatori sanitari; la camera costituzionale ha in seguito dichiarato la costituzionalità del decreto. L’Associazione brasiliana della salute collettiva e la Società brasiliana della medicina per la famiglia e la comunità hanno criticato la mancanza di protezione sociale per le famiglie degli operatori sanitari e i contratti di lavoro precari. In Messico, i lavoratori del settore hanno dovuto lavorare con contratti irregolari e senza malattie retribuite e altri sussidi.
Gli operatori sanitari che parlavano apertamente delle inadeguate prestazioni mediche e delle condizioni di lavoro inadeguate hanno subìto sanzioni. In diversi ospedali dell’Honduras, agli operatori sanitari è stato chiesto di firmare un accordo confidenziale che impediva loro di esprimere pubblicamente le loro preoccupazioni. In Nicaragua, almeno 31 operatori sanitari sono stati licenziati per aver espresso timori riguardo a condizioni lavorative, mancanza di Dpi e in generale alla risposta dello stato alla pandemia. In Venezuela, gli operatori sanitari che facevano dichiarazioni pubbliche critiche sulla risposta del governo alla pandemia hanno affrontato brevi periodi di detenzione e successive restrizioni.
Condizioni carcerarie
Le carenti condizioni igieniche e il sovraffollamento hanno caratterizzato molte delle prigioni della regione, incluse quelle di Brasile, Cile, El Salvador, Nicaragua, Paraguay, Trinidad e Tobago e Usa. Le misure statali inadeguate hanno di fatto negato ai reclusi il diritto alla salute e li hanno messi a rischio di essere contagiati dal Covid-19 e di morirne.
Migliaia di prigionieri, compresi quelli in attesa di processo, sono stati trattenuti in condizioni insalubri e di sovraffollamento in Uruguay, paese che ha uno dei più alti tassi d’incarcerazione della regione.
Secondo il Consiglio nazionale di giustizia del Brasile, a ottobre, nelle carceri brasiliane erano stati registrati oltre 39.000 casi e 199 morti causate dal Covid-19.
Tra marzo e maggio, ci sono state 90 rivolte in diverse carceri della regione, per protestare contro le condizioni precarie e per la crescente preoccupazione relativa al Covid-19. In due degli episodi più gravi, 73 persone sono morte, 50 a Los Llanos in Venezuela e 23 nella prigione di Modelo, a Bogotà, in Colombia.
I governi hanno il dovere di garantire il diritto alla salute delle persone in custodia. Questo significa assicurare che cure preventive, beni e servizi siano disponibili per tutti. I piani riguardo a vaccini, trattamenti e test per il Covid-19 dovrebbero essere accessibili, inclusivi e non discriminatori. Gli stati dovrebbero tenere in considerazione fattori che possono aumentare il rischio di contagio per un singolo o una comunità e porre attenzione ai gruppi marginalizzati e a coloro che hanno identità intersezionali.
Il diritto alla libertà d’espressione è stato sotto minaccia in Bolivia, Brasile, Cuba, Messico, Uruguay e Venezuela, a volte a causa delle restrizioni relative al Covid-19.
In Messico, almeno 19 giornalisti sono stati uccisi durante l’anno. Con una lettera aperta, 650 giornalisti e intellettuali hanno accusato il presidente di azioni dannose per il diritto alla libertà d’espressione. Sono anche emerse informazioni che hanno svelato il coinvolgimento di agenzie d’informazione statali in campagne diffamatorie sui social media contro diversi giornalisti, secondo le accuse, finanziate con soldi pubblici.
In Brasile, tra gennaio 2019 e settembre 2020, membri del parlamento federale hanno attaccato i giornalisti e il loro lavoro 449 volte. In Venezuela, le organizzazioni della società civile hanno denunciato che, tra gennaio e aprile 2020, ci sono stati oltre 400 attacchi a giornalisti e operatori dell’informazione, tra cui intimidazioni, arresti arbitrari e aggressioni fisiche. Operatori sanitari e giornalisti che riportavano notizie sulla pandemia sono stati vessati, minacciati o accusati di incitamento all’odio.
Tra marzo e luglio, l’Osservatorio sulle aggressioni contro la stampa indipendente del Nicaragua ha denunciato 351 attacchi, tra cui azioni penali ingiuste, detenzioni arbitrarie e molestie ai danni di operatori dei media e delle loro famiglie.
I governi dovrebbero riconoscere l’importanza del ruolo dei giornalisti nella società e garantire che possano portare avanti il loro lavoro, liberi dalla minaccia di vessazioni e violenza.
In oltre una decina di paesi della regione è stato segnalato l’uso eccessivo della forza da parte di agenti di polizia e militari. Questi metodi sono stati spesso impiegati per negare alle persone il diritto alla libertà di riunione pacifica e hanno colpito in modo sproporzionato le comunità marginalizzate.
In Brasile, nei primi sei mesi dell’anno, almeno 3.181 persone sono state uccise dalla polizia, con un aumento del 7,1 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019. Secondo il Forum brasiliano per la sicurezza pubblica, nel 79,1 per cento dei casi le persone uccise dalla polizia erano nere.
In Venezuela, l’uso illegale della forza da parte di polizia, esercito e gruppi armati contro i manifestati è stato diffuso. L’Ohchr ha riportato che nel paese almeno 1.324 persone sono state uccise nel contesto di operazioni di sicurezza, tra il 1° gennaio e il 31 maggio.
Negli Usa, almeno 1.000 persone sono state uccise dalla polizia con armi da fuoco. In 40 stati e nel Distretto federale di Columbia, solo tra il 26 maggio e il 5 giugno, sono stati documentati 125 episodi separati di uso illecito della forza da parte della polizia, ai danni di persone che protestavano contro le uccisioni illegali di persone nere.
Anche in altri paesi ci sono stati esempi di uso eccessivo e non necessario della forza nel contesto dell’applicazione del lockdown per il Covid-19. In Argentina, la polizia è stata coinvolta in aggressioni fisiche a membri delle comunità native, durante operazioni relative a supposte violazioni delle restrizioni per il Covid-19. In Messico, un muratore di 30 anni è stato picchiato a morte dalla polizia, dopo che era stato arrestato nello stato di Jalisco, a quanto pare perché non indossava la mascherina. In Cile, il governo ha intentato oltre 1.000 cause contro manifestanti pacifici, ricorrendo alla legge per la sicurezza dello stato, che non era in linea con le norme internazionali sui diritti umani e poteva aprire la strada ad accuse politicamente motivate.
Tutti i governi dovrebbero garantire protocolli e prassi che siano in linea con gli standard internazionali, inclusi i Principi di base delle Nazioni Unite sull’uso della forza e delle armi da fuoco da parte della polizia.
Sono stati segnalati casi di detenzioni arbitrarie in Guatemala, Messico, Nicaragua, Repubblica Dominicana, Venezuela e nella base navale statunitense di Guantánamo Bay. In alcuni paesi, le detenzioni arbitrarie sono state collegate alle misure adottate per frenare la diffusione del Covid-19.
L’organizzazione per i diritti umani venezuelana Forum penale ha riferito che le detenzioni arbitrarie politicamente motivate sono aumentate in seguito alla dichiarazione dello stato d’emergenza, introdotto a marzo in risposta alla pandemia da Covid-19. Fino a ottobre aveva registrato 413 detenzioni arbitrarie. Almeno da aprile in avanti, i venezuelani che tornavano nel paese sono stati messi in quarantena obbligatoria in centri gestiti dallo stato. Ad agosto, secondo i dati ufficiali, 90.000 persone erano passate per i così detti punti di servizio sociale integrale.
In Messico, gli agenti di polizia hanno trattenuto arbitrariamente almeno 27 persone durante le proteste nella città di Guadalajara, a giugno. I manifestanti sono stati portati via su veicoli senza contrassegni e la loro ubicazione è rimasta sconosciuta per diverse ore.
Nella Repubblica Dominicana, tra il 20 marzo e il 30 giugno, la polizia ha effettuato circa 85.000 fermi per presunte violazioni del coprifuoco serale, imposto in risposta alla pandemia. Alcuni sono stati arrestati mentre andavano a comprare cibo e altri beni essenziali. Dopo che il Guatemala ha introdotto il coprifuoco obbligatorio a marzo, più di 40.000 persone sono state incarcerate, compresi lavoratori dell’economia informale.
In alcuni paesi, le autorità hanno messo decine di migliaia di persone in centri per la quarantena gestiti dallo stato. Questi spesso non rispettavano standard minimi sul piano dell’igiene e del distanziamento fisico per tutelare le persone dal Covid-19. In El Salvador, più di 2.000 persone sono state detenute in questi centri per presunte violazioni della quarantena obbligatoria imposta a marzo; alcuni sono stati trattenuti fino a 40 giorni. In Paraguay, a fine giugno, erano circa 8.000 le persone in quarantena obbligatoria, per lo più paraguaiani che tornavano dal vicino Brasile.
I governi delle regioni non devono usare la pandemia come scusa per giustificare l’uso eccessivo della forza o le detenzioni arbitrarie. La repressione non è protezione.
L’impunità per le violazioni dei diritti umani e per i crimini di diritto internazionale è rimasta motivo di grave preoccupazione in diversi paesi, tra cui Brasile, Bolivia, Cile, El Salvador, Guatemala e Venezuela, così come per le violazioni commesse nel programma di detenzione segreta gestito in passato dagli Usa.
Coloro che si sono resi responsabili di violazioni dei diritti umani durante la crisi scoppiata in Bolivia dopo le elezioni, cominciata a ottobre 2019, non sono stati portati davanti alla giustizia. Almeno 35 persone sono state uccise e 833 ferite a causa dell’uso eccessivo della forza da parte della polizia nazionale e dell’esercito per reprimere le proteste. A novembre è stato finalmente creato il gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti per indagare su questi eventi, che era stato annunciato dal governo ad interim già a gennaio.
L’Istituto nazionale dei diritti umani del Cile ha espresso preoccupazione per la lentezza delle indagini sulle violazioni dei diritti umani commesse durante le poteste di ottobre 2019; alcuni poliziotti coinvolti sono stati formalmente incriminati quasi un anno dopo i fatti. Le indagini e le sanzioni amministrative della polizia nazionale cilena sono state inefficaci e basate su reati amministrativi meno gravi.
A settembre, la Missione delle Nazioni Unite di accertamento dei fatti in Venezuela ha chiesto che i sospettati di crimini contro l’umanità venissero portati davanti alla giustizia. La Missione ha indagato su 53 esecuzioni extragiudiziali e 5.094 uccisioni da parte di membri delle forze di sicurezza e ha concluso che “questi crimini sono stati coordinati e commessi in conformità con le politiche statali, con la consapevolezza o il diretto supporto di comandanti e alti funzionari governativi”.
I governi devono garantire rimedio e riparazione alle vittime di violazioni dei diritti umani, condurre indagini immediate e imparziali e portare i responsabili di crimini di rilevanza penale davanti alla giustizia in processi equi, per spezzare il circolo vizioso di violazioni favorito dall’impunità.
In tutta la regione, le misure d’isolamento per il Covid-19 hanno causato un marcato aumento della violenza contro le donne, compresa violenza domestica, stupro, omicidio e femminicidio.
Uno dei paesi più colpiti è stato il Messico: nel 2020 sono state denunciate le uccisioni di 3.752 donne, 969 delle quali sono state indagate come femminicidi. Durante l’anno, le segnalazioni di episodi di violenza contro le donne nel paese hanno superato le 197.693 del 2019.
In Brasile, nei primi sei mesi dell’anno sono stati denunciati circa 120.000 casi di violenza fisica nell’ambito domestico. Tra marzo e maggio, il tasso dei femminicidi è salito in 14 dei 26 stati, con un incremento che in alcuni casi è stato tra il 100 per cento e il 400 per cento.
In Colombia, secondo la Ong No es Hora de Callar, nei primi sei mesi del 2020 sono stati denunciati 99 femminicidi, inclusi casi in cui le donne sono state impalate, bruciate, abusate sessualmente, torturate e smembrate.
In Argentina, le chiamate d’emergenza relative alla violenza contro le donne fatte ai numeri che forniscono aiuto sono aumentate di oltre il 18 per cento rispetto al 2019; secondo i gruppi di monitoraggio della società civile si sono verificati almeno 298 femminicidi.
In alcuni paesi, i leader di governo hanno sminuito la violenza contro le donne e tagliato i programmi di supporto. In altri, sono stati proprio attori statali a perpetrare la violenza. Per esempio, nella Repubblica Dominicana, che ha uno dei tassi di uccisioni di donne collegate al genere più alti al mondo, le autorità non hanno implementato un protocollo nazionale per indagare sulla tortura, nonostante prove schiaccianti che la polizia commetteva stupri, pestaggi e umiliazioni contro le donne che svolgevano un lavoro sessuale, con atti che potrebbero costituire tortura o altro maltrattamento.
Le misure per proteggere donne e ragazze sono state inadeguate in tutta la regione e i casi di violenza contro le donne non sono stati indagati a fondo. Per esempio, il governo canadese non si è impegnato a garantire la giustizia alle sopravvissute alla sterilizzazione forzata e coercitiva di donne e ragazze native, come richiesto dalle raccomandazioni della Comitato contro la tortura delle Nazioni Unite.
Negli Usa, dove i negozi di armi sono stati classificati come attività essenziali durante la pandemia, un incremento esponenziale nell’acquisto di armi da fuoco ha aumentato i rischi della violenza contro donne e bambini, per la presenza di armi non protette nelle case, dove le persone erano costrette a stare in quarantena con familiari abusanti.
La pandemia ha messo in evidenza e intensificato la crisi globale della violenza contro donne e ragazze. Le loro voci devono essere centrali nei piani dei governi per la ripresa dopo il Covid-19, nei quali dovrebbe essere data priorità all’eliminazione della violenza di genere e delle cause alla radice.
Molti governi, tra cui Argentina, Cile, Paraguay, Perù, Uruguay e Venezuela, non hanno fatto abbastanza per dare priorità alla salute sessuale e riproduttiva come servizio essenziale durante la pandemia. Questa è stata una conseguenza indiretta di sistemi sanitari messi a dura prova, dell’interruzione delle prestazioni e del dirottamento delle risorse nella gestione della pandemia.
Ad agosto, il ministero della Salute del Paraguay aveva registrato 339 nascite da ragazze che avevano tra i 10 e i 14 anni e 9.382 da adolescenti tra i 15 e i 19 anni. A giugno, l’ufficio del difensore civico del Perù ha messo in luce casi in cui, durante la pandemia, non sono stati forniti i kit di emergenza per le vittime di violenza sessuale a ragazze e donne.
A dicembre, il congresso argentino ha approvato un disegno di legge per legalizzare l’aborto.
Nonostante alcuni segnali positivi, l’aborto era ancora reato nella maggior parte dei paesi della regione, ponendo un grave ostacolo al diritto alla salute. In Repubblica Dominicana, El Salvador, Haiti, Honduras, Giamaica e Nicaragua c’era un divieto totale di aborto, mentre in paesi come Brasile, Guatemala e Paraguay era permesso solo per salvare la vita della donna. A El Salvador, 18 donne erano in carcere per accuse legate a emergenze ostetriche.
I governi devono assicurare l’accesso ai diritti sessuali e riproduttivi, incluso l’aborto, e abrogare le leggi che lo criminalizzano.
In diversi paesi della regione, le persone Lgbti sono state soggette a violenza e uccisioni, come in Colombia, Honduras, Paraguay, Portorico e Usa. Almeno 287 persone trans o di genere non conforme sono state uccise nel continente. Il maggior numero di morti in un solo paese si è avuto in Brasile.
Il Covid-19 ha avuto un impatto negativo anche sulle persone Lgbti. Mentre i sistemi sanitari si concentravano sulla pandemia, è stato difficile accedere ad altri servizi chiave per le persone Lgbti, come consulenze sessuali e sulla salute mentale. In molti paesi sono stati sospesi i test per l’Hiv.
Nonostante alcune sentenze giudiziarie positive in Bolivia e Cile, le unioni civili e i matrimoni omosessuali non erano riconosciuti in molti paesi.
I governi devono assicurare meccanismi per proteggere le persone Lgbti da tutte le forme di violenza e discriminazione e includere i loro bisogni specifici nelle misure per contenere le conseguenze sociali ed economiche della pandemia.
Nelle Americhe, le popolazioni native sono state pesantemente colpite dalla pandemia da Covid-19, a causa di un accesso inadeguato ad acqua potabile, impianti sanitari e sussidi sociali, così come per la mancanza di meccanismi culturalmente appropriati per proteggere il loro diritto alla salute e ai mezzi di sussistenza. La situazione è stata particolarmente grave in Argentina, Bolivia, Cile, Colombia, Ecuador, Paraguay, Perù e Venezuela.
In molti casi, i governi hanno fallito nell’assicurare un consenso libero, anticipato e informato delle popolazioni native prima di autorizzare grandi progetti estrattivi, agricoli e infrastrutturali che avevano conseguenze su di loro. In Argentina, hanno continuato a destare preoccupazione progetti per la possibile estrazione del litio nelle terre delle popolazioni native senza il consenso delle comunità colpite. In diversi paesi, il settore minerario è stato dichiarato essenziale durante la pandemia, esponendo persone native al contagio.
In Brasile, i diritti delle popolazioni native e di altre comunità tradizionali hanno continuato a essere minacciati da attività estrattive illegali, incendi boschivi e dall’acquisizione di territori per l’allevamento di bestiame e per attività agroindustriali illegali. Secondo i dati dell’Istituto nazionale di ricerca spaziale, tra agosto 2019 e luglio 2020, si è registrato un aumento del 9,5 per cento nella distruzione di foreste, rispetto allo stesso periodo di un anno prima.
In Canada, ci sono stati alcuni passi avanti nel riconoscimento dei diritti alla terra delle popolazioni native. Tuttavia, la corte d’appello federale ha archiviato un ricorso presentato da gruppi nativi, che contestavano la costruzione dell’oleodotto Trans Mountain.
I governi devono assicurare il diritto delle popolazioni native a un consenso libero, anticipato e informato su tutti i progetti che hanno conseguenze sostanziali sui loro diritti.
Decine di migliaia di persone hanno continuato a scappare da violenza, povertà e disuguaglianza, per lo più da Cuba, El Salvador, Honduras e Venezuela.
Alcuni governi, tra cui Canada, Perù e Usa, hanno proibito l’ingresso a rifugiati, richiedenti asilo e migranti, come parte delle misure di controllo alle frontiere per il Covid-19. Molti paesi, tra cui Colombia, Guatemala, Messico, Trinidad e Tobago e Usa, hanno respinto con la forza persone senza una reale valutazione delle loro domande per ottenere asilo o status di rifugiati.
Le autorità statunitensi hanno bloccato tutti i procedimenti dei richiedenti asilo al confine tra Usa e Messico e, tra marzo e settembre, hanno illegalmente detenuto ed espulso circa 330.000 migranti e richiedenti asilo, compresi circa 13.000 minori non accompagnati. In Messico, migranti, rifugiati e richiedenti asilo hanno continuato a essere soggetti a uso eccessivo della forza e detenzioni arbitrarie da parte delle autorità, oltre che da rapimenti, aggressioni e uccisioni commessi da attori non statali. Le autorità messicane hanno detenuto 87.260 migranti, inclusi oltre 11.000 minori, ed espulso 53.891 persone.
Rifugiati, richiedenti asilo e migranti trattenuti in centri per l’immigrazione in Messico, Trinidad e Tobago e Usa sono stati esposti a un alto rischio di contrarre il Covid-19, a causa delle mediocri condizioni igieniche e dell’impossibilità di mantenere il distanziamento fisico. Per esempio, nonostante l’insorgenza di gravi focolai di Covid-19 nelle strutture di detenzione amministrativa per l’immigrazione, l’agenzia degli Stati Uniti per l’immigrazione e le dogane si è rifiutata di rilasciare decine di migliaia di migranti e richiedenti asilo, oltre 8.000 dei quali hanno contratto il virus in detenzione.
I governi dovrebbero rilasciate tutte le persone trattenute in detenzione solamente per ragioni legate all’immigrazione e garantire protezione a rifugiati e richiedenti asilo, come previsto dal diritto internazionale.
Le Americhe sono rimaste una delle regioni più pericolose al mondo per chi difende i diritti umani.
Difensori dei diritti umani sono stati uccisi in Brasile, Colombia, Messico, Perù e Venezuela. Un rapporto dell’Ong Global Witness descrive la Colombia come il paese più letale al mondo per chi lavora in difesa dei diritti umani e dell’ambiente. L’Ohchr ha registrato fino ad agosto 97 uccisioni di difensori dei diritti umani e ha verificato 45 omicidi nel paese.
Difensori dei diritti umani e giornalisti hanno anche subìto attacchi, minacce, azioni legali, detenzioni arbitrarie e sorveglianza illegale in Bolivia, Brasile, Colombia, Cuba, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Honduras, Messico, Nicaragua, Perù, Usa e Venezuela.
In Venezuela, il Centro per i difensori e la giustizia ha denunciato che, fino a giugno, si erano verificati oltre 100 attacchi a difensore dei diritti umani, tra cui criminalizzazione, molestie, attacchi digitali e detenzioni arbitrarie.
I governi devono creare un clima sicuro per i difensori dei diritti umani. Devono garantire che le misure di protezione siano complete, inclusi aspetti di tutela individuale e collettiva, tenendo conto degli aspetti intersezionali delle violazioni e dei bisogni specifici delle difensore dei diritti umani.
Una serie di eventi collegati al clima ha continuato a pregiudicare il godimento dei diritti umani nelle Americhe. A novembre, l’America Centrale ha dovuto affrontare un susseguirsi di uragani senza precedenti, che ha colpito 5,2 milioni di persone. L’Argentina, le aree al confine occidentale del Brasile e il Paraguay sono stati colpiti da una grave siccità che ha causato vaste perdite nell’agricoltura. Gli Usa hanno registrato il più alto numero d’incendi boschivi di sempre, come conseguenza della siccità diffusa e del caldo estremo.
Tuttavia, l’azione sul cambiamento climatico è rimasta limitata. Anche se il Cile è stato il primo paese della regione, e uno dei primi a livello mondiale, a sottoscrivere l’obiettivo di riduzione delle emissioni entro il 2030, paesi più ricchi e principali responsabili delle emissioni non ne hanno seguito l’esempio. Il governo canadese ha proposto un disegno di legge per raggiungere le emissioni zero di carbonio entro il 2050 ma le Ong hanno fatto presente che non stava dimostrando di fare tutti i passi possibili per raggiungere l’obiettivo.
L’Argentina ha presentato un piano di riduzione delle emissioni entro il 2030, migliorato ma ancora insufficiente; all’inizio del 2020, il governo ha cercato di emendare la legge sulla protezione della foresta nativa, con un possibile passo indietro. Il Brasile ha significativamente indebolito i suoi obiettivi sul clima e il suo impegno a livello internazionale per fermare la deforestazione illegale e ripristinare le foreste.
Un importante segnale positivo è stata l’entrata in vigore dell’Accordo di Escazú. Tuttavia, molti governi, tra cui quelli di Bolivia, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua e Paraguay non avevano ancora accettato le politiche e i protocolli per la protezione dei difensori dei diritti umani che lavorano su tematiche ambientali.
I governi devono adottare e implementare con urgenza obiettivi di riduzione delle emissioni e strategie per proteggere i diritti umani dalla crisi climatica e garantire una transizione giusta e in linea coi diritti umani verso un’economia a zero emissioni di carbonio e una società resiliente. Dovrebbero anche ratificare e implementare l’Accordo di Escazú.