Le autorità hanno assunto decisioni che hanno aumentato il rischio di contagio da Covid-19 per gli anziani nelle case di riposo, causando decessi che avrebbero potuto essere evitati. L’accesso di rifugiati e migranti al territorio italiano è stato ridotto e i loro diritti sono stati limitati durante il lockdown. È proseguita la cooperazione con le autorità libiche sulla migrazione. Le Ong di soccorso hanno continuato a essere criminalizzate. Si sono verificati numerosi decessi in custodia e segnalazioni di tortura. Le persone indigenti e senza dimora hanno affrontato il lockdown in una condizione di alloggi inadeguati. I casi di violenza domestica sono aumentati durante il lockdown.

 

CONTESTO

I casi di Covid-19 sono cominciati all’inizio dell’anno, colpendo in particolare il nord del paese. A fine marzo, il sistema sanitario e le strutture per la sepoltura della regione Lombardia erano sovraccarichi. Sono state messe in atto misure senza precedenti per isolare alcune città e in seguito tutte le regioni settentrionali prima che, il 9 marzo, le misure di lockdown fossero estese al resto del paese. Il 3 maggio, il governo ha iniziato a revocare le restrizioni. A partire da febbraio sono state adottate per decreto misure d’emergenza che hanno limitato i movimenti e i raduni. Il governo ha iniziato ad allentare le restrizioni al lockdown nazionale il 3 maggio ma più avanti nell’anno sono state imposte altre limitazioni a livello nazionale e regionale.

 

DIRITTO ALLA SALUTE

A fine anno, oltre 74.159 persone erano morte per il Covid-19. Gli anziani rappresentavano l’85,7 per cento del totale.

L’impatto del Covid-19 è stato significativamente diverso nelle varie parti del paese e le persone anziane nelle case di riposo al nord sono state particolarmente colpite. Le decisioni a livello nazionale e locale, insieme alla mancata implementazione di adeguati meccanismi di protezione, hanno aumentato il rischio di esposizione al virus per i residenti. Alcune regioni e aziende sanitarie locali hanno consentito la dimissione di pazienti infetti o potenzialmente infetti dagli ospedali, trasferendoli nelle case di riposo, senza garantire meccanismi adeguati per prendersi cura di loro. Il ministero della Salute, le regioni e le aziende sanitarie locali non sono state in grado di rendere pubblici dati e informazioni cruciali relativi all’impatto del Covid-19 nelle case di riposo.

I lavoratori delle case di riposo non avevano a disposizione dispositivi di protezione individuale (Dpi) e test, circostanza che li ha esposti a un rischio maggiore di infezione da Covid-19.

 

RIFUGIATI, RICHIEDENTI ASILO E MIGRANTI

A fine anno, 34.154 persone, di cui 4.631 minori non accompagnati, erano arrivate irregolarmente via mare.

Il 7 aprile, l’Italia ha chiuso i porti agli sbarchi e ha dichiarato che, a causa della pandemia, il paese non era un luogo sicuro per i soccorsi effettuati da navi battenti bandiera straniera, al di fuori della sua regione di ricerca e soccorso. La misura è sembrata prendere di mira le navi delle Ong che spesso, dopo i soccorsi, sono state lasciate in mare per giorni senza istruzioni. Quando il trasferimento in Italia è stato autorizzato, le persone soccorse sono state poste in quarantena su grandi navi, generalmente per due settimane, prima di essere trasferite a terra. Centinaia di rifugiati e migranti sono arrivati autonomamente, per la maggior parte sull’isola di Lampedusa, provocando un grave sovraffollamento nel centro di accoglienza locale. Per i rifugiati e migranti sull’isola è stato difficile aderire alle norme sul distanziamento fisico e il periodo di quarantena veniva reimpostato a ogni nuovo arrivo.

A ottobre, un ragazzo di 15 anni non accompagnato della Costa d’Avorio è morto in un ospedale di Palermo, dopo aver passato la quarantena su una nave dove i medici avevano richiesto lo sbarco anticipato a causa del peggioramento della sua salute. Secondo quanto riferito, mostrava segni di torture subite in Libia.

A dicembre, il parlamento ha riformato le due leggi sulla sicurezza, note come “decreti sicurezza”, approvate nel 2018 e nel 2019. La nuova legge 173/2020 ha reintrodotto la protezione umanitaria, che era stata abolita nel 2018 e aveva privato di uno status regolare circa 37.000 persone. Ha inoltre ridotto la durata massima della permanenza nei centri di detenzione per rimpatrio, da 180 a 90 giorni. Nelle strutture più piccole sono state reintrodotte anche una migliore assistenza e accoglienza per i richiedenti asilo, facilitando l’integrazione.

Criminalizzazione della solidarietà

Le autorità hanno continuato a penalizzare le Ong per le loro attività di soccorso in mare. Le navi sono state ispezionate e sequestrate e sono state ripetutamente inflitte ammende.

Ci sono stati alcuni sviluppi positivi per le Ong di soccorso. A febbraio, la Corte di cassazione di Roma ha stabilito l’illegittimità dell’arresto della capitana della Sea Watch 3, Carola Rackete, nel giugno 2019, dopo che era entrata nelle acque territoriali nonostante il divieto delle autorità. La corte ha stabilito che stava adempiendo al suo dovere di soccorrere le persone in mare e che un’operazione di salvataggio si conclude con lo sbarco in un luogo sicuro. A novembre, il tribunale di Ragusa ha respinto le accuse di traffico di esseri umani nei confronti di due membri dell’equipaggio della nave dell’Ong Proactiva Open Arms, in relazione a un salvataggio del 2018, riconoscendo che avevano agito in “stato di necessità”.

I 10 membri dell’equipaggio della nave di soccorso Iuventa erano ancora in attesa della chiusura di un’indagine per facilitazione d’ingresso irregolare, avviata nel 2017 dalla procura di Trapani.

La legge 173/2020, approvata a dicembre, ha abolito il divieto di entrare nelle acque territoriali per le navi di soccorso e le pesanti sanzioni amministrative associate, a condizione che i soccorsi fossero condotti secondo il diritto internazionale, coordinati dalle autorità marittime competenti e che lo stato di bandiera della nave di soccorso fosse informato. Tuttavia, le violazioni sono rimaste punibili con sanzioni penali fino a 50.000 euro e con la reclusione fino a due anni. Il ministro dell’Interno avrebbe potuto comunque vietare l’ingresso nelle acque territoriali per motivi di ordine pubblico e sicurezza e nei casi di tratta di esseri umani.

Cooperazione con la Libia

È continuata la cooperazione con la Libia sul controllo delle frontiere, che ha portato all’intercettazione da parte delle autorità libiche di oltre 11.265 persone, fatte poi sbarcare in Libia, dove rifugiati e migranti hanno continuato a subire torture e altri abusi sistematici (cfr. Libia).

A gennaio, il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa ha chiesto all’Italia di sospendere le attività di cooperazione che si traducevano, direttamente o indirettamente, nel rientro in Libia di persone intercettate in mare. Tuttavia, il memorandum d’intesa del 2017 con la Libia, a sostegno della collaborazione tra i due paesi in materia di controllo delle frontiere, è stato automaticamente prorogato per altri tre anni. A febbraio, il governo italiano ha proposto alcune leggere modifiche, sottolineando la necessità di migliorare le garanzie sui diritti umani per rifugiati e migranti ma queste non sono state accettate dal governo libico d’intesa nazionale. L’Italia ha comunque continuato a sostenere le autorità marittime libiche, anche protraendo il dispiegamento di personale militare italiano in Libia.

A maggio, il tribunale di Messina ha condannato in primo grado tre cittadini stranieri a 20 anni di reclusione per tortura di rifugiati e migranti in un centro di detenzione a Zawiya, in Libia.

Ad agosto, cinque richiedenti asilo eritrei sono sbarcati a Roma, muniti di visti concessi dalle autorità italiane per consentire loro di chiedere asilo in Italia. Il rilascio dei visti era stato ordinato nel 2019 da un tribunale italiano, che aveva stabilito che il gruppo era stato illegalmente respinto in Libia 10 anni prima.

A ottobre è iniziato, dinanzi al tribunale di Catania, il processo contro l’ex ministro dell’Interno per l’illegittima privazione della libertà di oltre 100 persone soccorse sulla nave della guardia costiera italiana Gregoretti, nel luglio 2019.

 

DIRITTO ALLA VITA

Sono stati registrati numerosi decessi in custodia nelle carceri e nei centri di rimpatrio, in un contesto di maggiore isolamento dei detenuti dalla società e di riduzione dei servizi, compresa l’assistenza sanitaria psicologica, a causa della pandemia da Covid-19. A marzo si sono verificati 13 decessi nelle carceri a seguito di disordini in alcuni istituti. Diverse morti sono state dovute a overdose, dopo che i detenuti avevano ottenuto accesso alle forniture mediche delle infermerie.

Due uomini, di nazionalità georgiana e albanese, sono morti rispettivamente a gennaio e a luglio nel centro di rimpatrio di Gradisca d’Isonzo, in Friuli-Venezia Giulia. A fine anno le indagini erano ancora in corso.

 

TORTURA E ALTRI MALTRATTAMENTI

Sono pervenute numerose segnalazioni di torture e altri trattamenti crudeli, disumani o degradanti da parte di personale carcerario e agenti di polizia.

Erano in corso le indagini sulle denunce dei pestaggi di detenuti da parte di agenti penitenziari, che hanno provocato diversi feriti gravi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, vicino a Napoli, avvenuti il 6 aprile, quando circa 300 agenti penitenziari sono stati fatti entrare per un’ispezione.

A luglio, i pubblici ministeri di Torino hanno accusato 25 persone, tra cui il direttore del carcere e molti agenti, di aver commesso o facilitato la tortura e altri maltrattamenti contro i detenuti, tra marzo 2017 e settembre 2019.

A fine anno era in corso il processo a cinque agenti penitenziari e un medico, accusati di tortura in relazione a un caso del 2018 nel carcere di San Gimignano, Siena. Altri 15 agenti penitenziari sono rimasti sotto inchiesta.

 

DIRITTO ALL’ALLOGGIO E SGOMBERI FORZATI

A marzo, il governo ha sospeso gli sgomberi e successivamente ha prorogato il provvedimento fino alla fine dell’anno. Nonostante ciò, ad agosto, le autorità locali hanno sgomberato con la forza l’insediamento rom al Foro Italico, a Roma. La maggior parte dei residenti aveva abbandonato le abitazioni nei giorni precedenti. Molte famiglie sono rimaste senza casa.

Le autorità locali non sono riuscite a garantire che i lavoratori migranti impiegati per raccogliere frutta, spesso in condizioni di sfruttamento, nella Piana di Gioia Tauro, in Calabria, avessero accesso a un’adeguata protezione contro il Covid-19, compresi alloggi adeguati. Centinaia di migranti hanno vissuto la pandemia in insediamenti informali privi di elettricità e servizi igienici e con un accesso inadeguato ad acqua potabile e cibo.

Molti senza dimora in tutto il paese non hanno potuto accedere ad alloggi sicuri durante il lockdown e hanno avuto difficoltà a trovare cibo e assistenza a causa della chiusura di cucine pubbliche e dormitori, in cui erano stati registrati casi di Covid-19.

 

DIRITTI DELLE DONNE

Le Ong per i diritti delle donne hanno segnalato un aumento della violenza domestica durante il lockdown. I dati ufficiali hanno registrato oltre 23.000 chiamate al numero nazionale per l’assistenza, che nel 2019 ne aveva ricevute circa 13.400.

A ottobre, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, incaricato della supervisione dell’attuazione della sentenza della Corte europea dei diritti umani nella causa Talpis vs. Italia, ha espresso preoccupazione per l’alto tasso d’interruzione nella fase preprocessuale dei procedimenti per violenza domestica. Il Comitato ha chiesto che entro il 31 marzo 2021 le autorità fornissero informazioni e dati sugli ordini di protezione e sulle valutazioni dei rischi per le vittime.

La prevalenza di ginecologi che si oppongono all’aborto per motivi di coscienza è rimasta un ostacolo significativo all’accesso al diritto all’aborto. Ad agosto, il ministero della Salute ha approvato nuove linee guida per estendere l’accesso all’aborto medico.

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