Nel 2020 il mondo è stato sconvolto dal Covid-19. La pandemia e alcune delle misure adottate per fronteggiarla hanno avuto un effetto devastante sulla vita di milioni di persone ma hanno anche rivelato, e in alcuni casi aggravato, paradigmi esistenti fatti di abusi e disuguaglianze. Alcuni di questi affondavano le loro radici nella discriminazione basata su razza, genere e altri motivi, spesso intersezionali, che hanno reso determinate fasce della popolazione particolarmente vulnerabili. Quegli abusi e disuguaglianze sono stati messi in evidenza e contestati con forza da movimenti creati da gente comune, come il Black Lives Matter e le campagne per i diritti delle donne, la cui resilienza è riuscita a ottenere alcune vittorie, seppur conquistate con fatica. La pandemia ha messo a nudo l’impatto sui diritti umani di anni di crisi politiche e finanziarie e i punti deboli dei sistemi di governance e cooperazione globali, che alcuni stati hanno reso ancora più evidenti sottraendosi alle loro responsabilità o attaccando le istituzioni multilaterali. Queste dinamiche sono state ben esemplificate dagli andamenti che hanno contraddistinto tre aree: violazioni dei diritti alla vita, alla salute e alla tutela sociale; violenza di genere e minacce ai diritti sessuali e riproduttivi; repressione del dissenso.
Intanto, sia nei conflitti di lunga durata che in quelli più recenti, le forze governative e i gruppi armati hanno compiuto attacchi indiscriminati e deliberati contro i civili, uccidendo migliaia di persone, e hanno causato o prolungato sfollamenti di massa e crisi umanitarie. Nonostante le poche, seppur importanti, condanne per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, l’impunità in tempo di pace e di guerra è rimasta la norma e, in alcuni paesi, c’è stata un’erosione dello stato di diritto. Milioni di persone hanno sofferto per le conseguenze dei disastri naturali causati dalle crisi climatiche.
Il quadro complessivo è quello di un mondo allo sbando. Tuttavia, i leader mondiali hanno l’opportunità di plasmare un futuro post-pandemia più giusto, se metteranno i diritti umani alla base delle misure per la ripresa e la cooperazione internazionale.
Il numero di persone decedute nel 2020 per Covid-19 ha superato nel mondo gli 1,8 milioni. I sistemi sanitari e i programmi di tutela sociale, indeboliti da decenni di sottofinanziamenti e da mancanza di preparazione, si sono trovati mal equipaggiati per reagire alla situazione. I redditi dei lavoratori sono stati colpiti dalla crescente disoccupazione e dai periodi d’inattività, mentre il numero delle persone che versavano in una situazione d’insicurezza alimentare è raddoppiato, arrivando a 270 milioni.
I governi non hanno saputo tutelare adeguatamente gli operatori sanitari e gli altri lavoratori essenziali. A migliaia hanno perso la vita a causa del Covid-19 e molti altri si sono gravemente ammalati a causa della carenza di dispositivi di protezione individuale (Dpi). In 42 dei 149 paesi monitorati, Amnesty International ha documentato casi di vessazioni e intimidazioni da parte delle autorità contro operatori sanitari e altri lavoratori essenziali nel contesto della pandemia; in alcuni casi si trattava di ritorsioni, compresi arresti e licenziamenti, contro chi aveva sollevato problematiche riguardanti la sicurezza o le condizioni di lavoro. A essere particolarmente colpite sono state le donne impiegate come operatrici sanitarie e nei lavori di cura, in quanto a livello globale costituivano il 70 per cento della forza lavoro del settore sanitario e sociale, dove già subivano gli effetti di un significativo divario salariale.
Alcune misure adottate dai governi per contrastare il Covid-19 hanno avuto un impatto discriminatorio sui gruppi marginalizzati. Le misure di lockdown e coprifuoco hanno implicato per un altissimo numero di lavoratori dell’economia informale la perdita della fonte di reddito, senza avere adeguati strumenti di tutela sociale. Questa situazione ha colpito in maniera sproporzionata donne e ragazze, data la loro presenza dominante nel settore. Un’altra delle misure, ovvero l’introduzione della didattica a distanza come unica modalità d’istruzione senza garantire l’accesso a tecnologie adeguate, ha penalizzato molti alunni appartenenti alle fasce più svantaggiate. Il peso dell’istruzione a casa è gravato principalmente sulle donne, così come altri lavori di cura non retribuiti derivanti dall’interruzione dei servizi pubblici, come ad esempio l’assistenza a parenti malati.
Inoltre, il Covid-19 ha aggravato la già precaria situazione di rifugiati e migranti, in alcuni casi intrappolandoli in campi o strutture di detenzione dalle condizioni squallide e in altri lasciandoli in totale stato di abbandono in seguito alla chiusura delle frontiere. In 42 dei 149 paesi monitorati da Amnesty International, sono stati segnalati casi di rifugiati e migranti sottoposti a refoulement. Mentre alcuni governi sono intervenuti disponendo il rilascio dei detenuti per contenere la diffusione del Covid-19, gli sgomberi forzati (Amnesty International ha ricevuto segnalazioni di questi casi in 42 dei 149 paesi monitorati) hanno esposto ulteriormente al rischio di contagio le persone rimaste senza dimora.
In molti paesi, le minoranze etniche e le popolazioni native hanno registrato percentuali sproporzionalmente elevate di contagi e decessi, dovute in parte a disuguaglianze preesistenti e al mancato accesso all’assistenza sanitaria. Figure politiche e religiose hanno stigmatizzato i gruppi marginalizzati, incolpandoli della diffusione del virus. Persone di fede musulmana in alcuni paesi dell’Asia meridionale e persone Lgbti in diversi paesi africani ed europei sono state ugualmente prese di mira.
Nel momento in cui il Covid-19 è stato dichiarato una pandemia, gli stati hanno fatto costante riferimento all’urgente necessità di contenere, mitigare e sconfiggere la pandemia nel pieno rispetto dei diritti umani. Sebbene Covax, il programma dell’Oms per l’accesso globale al vaccino per il Covid-19, rappresenti una pregevole iniziativa finalizzata a garantire un più ampio accesso degli stati ai vaccini, la sua azione è stata tuttavia compromessa dalla non adesione di Russia e Usa, dall’accaparramento dei vaccini da parte dei paesi ricchi e dalla mancata condivisione da parte delle aziende farmaceutiche della loro proprietà intellettuale. Più di 90 paesi hanno introdotto restrizioni all’esportazione di alcune categorie merceologiche con conseguenti effetti su attrezzature mediche, Dpi, prodotti farmaceutici e generi alimentari.
Gli stati ricchi hanno inoltre bloccato l’adozione di una proposta da presentare all’Organizzazione mondiale del commercio (World Trade Organization – Wto) per una temporanea sospensione dei diritti di proprietà intellettuale su alcuni prodotti per il Covid-19, che avrebbe dovuto facilitarne l’accesso universale. L’aspro scontro tra Usa e Cina in sede di Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in merito al ruolo dell’Oms ha ritardato l’approvazione di una risoluzione per un cessate il fuoco a livello globale della durata di tre mesi per supportare la risposta alla pandemia. Sebbene il G20 abbia raggiunto un accordo per una limitata sospensione del debito dei paesi più poveri, non è tuttavia riuscito a realizzare l’obiettivo dichiarato di coordinare una risposta su vasta scala.
Per riaffermare la cooperazione internazionale e adempiere ai loro obblighi in materia di diritti umani, tutti i governi dovrebbero assicurare che i vaccini per il Covid-19 siano disponibili e accessibili a chiunque e gratuiti nei punti di somministrazione. Dovrebbero inoltre sostenere lo sviluppo di un fondo di tutela sociale globale basato sugli standard dei diritti umani. I paesi ricchi e gli istituti finanziari internazionali dovrebbero assicurare che tutti gli stati dispongano delle risorse necessarie per rispondere alla pandemia e promuovere la ripresa post-pandemia, anche attraverso la sospensione e la cancellazione del debito.
Kuwait, Corea del Sud e Sudan si sono dotati di nuovi strumenti legislativi per contrastare la violenza contro donne e ragazze. Paesi come Croazia, Danimarca, Paesi Bassi e Spagna hanno adottato misure per migliorare le leggi sullo stupro e basarle sul concetto di consenso. In diversi paesi africani ci sono stati sviluppi legislativi senza precedenti, che miravano a porre fine all’impunità per stupro e altre forme di violenza sessuale, in tempo di pace e di guerra. L’Ua sembrava pronta alla stesura di un nuovo trattato regionale per combattere la violenza contro le donne. Tuttavia, l’implementazione del suo equivalente in sede di Consiglio d’Europa, la Convenzione d’Istanbul, è stata ostacolata da tre stati membri.
Nella realtà, gli episodi di violenza di genere, compresi i cosiddetti delitti “d’onore” e basati sulla casta, di violenza domestica e sessuale hanno continuato ad avere un’incidenza drammaticamente elevata in tutto il mondo e le autorità si sono dimostrate generalmente incapaci d’intervenire adeguatamente per prevenirli, perseguirne i perpetratori e garantire l’accesso delle vittime a forme di rimedio legale. Alcune autorità si sono rese a loro volta direttamente responsabili di violenza, per esempio punendo le donne che, secondo la loro visione, trasgredivano la legge islamica o sottoponendo gli uomini a visite anali equiparabili a tortura.
Radicate forme di discriminazione nella legge e nella prassi hanno alimentato questa violenza e si sono manifestate in altri modi. Amnesty International ha raccolto le testimonianze di persone Lgbti che sono state arrestate o trattenute in custodia nel 2020 a causa del loro orientamento sessuale o dell’identità di genere, in 24 dei 149 paesi monitorati.
La situazione è stata esacerbata dalle misure di contenimento del Covid-19. I centri antiviolenza presenti in varie parti del mondo hanno riportato un marcato aumento della violenza di genere e domestica; durante il lockdown, molte donne e persone Lgbti sono rimaste confinate dentro casa insieme ai loro aguzzini. Alcuni governi hanno adottato interventi d’emergenza per aiutare le vittime sopravvissute a questi episodi. Tuttavia, molti altri hanno classificato come non essenziale l’assistenza prevista in questi casi, così come i vari servizi di consulenza e salute sessuale e riproduttiva, decretandone la sospensione durante i periodi di lockdown.
Alcune giurisdizioni hanno categorizzato allo stesso modo i servizi d’interruzione della gravidanza, con conseguenti effetti sproporzionalmente negativi sulle donne appartenenti a gruppi marginalizzati. Altre, al contrario, hanno adottato politiche progressiste che hanno permesso l’accesso alla contraccezione d’emergenza attraverso la telemedicina, per ridurre i rischi di contagio. Con alcuni sviluppi positivi registrati fuori dal contesto della pandemia, l’aborto è stato depenalizzato in Argentina, Irlanda del Nord e Corea del Sud. Ciononostante, nella maggior parte dei paesi delle Americhe è rimasto un reato e nell’Ue una sentenza giudiziaria ne ha ulteriormente limitato l’accesso in uno dei suoi stati membri.
A livello internazionale, gli stati membri delle Nazioni Unite hanno celebrato il 25° anniversario della Dichiarazione e Piattaforma d’azione di Pechino, adottando una dichiarazione politica positiva in cui hanno riaffermato il loro impegno a far avanzare i diritti umani delle donne ed eliminare “ogni forma di violenza e pratica lesiva contro tutte le donne e le ragazze”. Tuttavia, il testo della risoluzione non conteneva alcuno specifico riferimento ai diritti e alla salute sessuali e riproduttivi. Alcuni governi hanno invece cercato di compromettere l’attuale consenso che supporta i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere, reiterando i loro tentativi di eliminare i “diritti sessuali e riproduttivi” dagli storici impegni raggiunti a livello internazionale.
I governi devono intraprendere con urgenza azioni coordinate per fermare i violenti attacchi contro i diritti delle donne e delle persone Lgbti e implementare misure concrete in grado di realizzare la giustizia di genere. Devono inoltre tradurre le iniziative globali come la Dichiarazione e Piattaforma d’azione di Pechino e l’agenda Donne, pace e sicurezza in interventi concreti che riescano a eliminare la violenza di genere, affrontarne le cause radicate, compresa la discriminazione, e garantire i diritti e la salute sessuali e riproduttivi per tutte le donne.
Molti governi hanno represso il dissenso e ridotto in altro modo lo spazio per l’attivismo della società civile. In risposta alle proteste contro l’impunità dei governanti, l’erosione dei diritti socioeconomici e un razzismo strutturale (come quelle guidate dal movimento Black Lives Matter), le forze di sicurezza hanno fatto un uso improprio delle armi da fuoco e delle armi “meno letali”, come gas lacrimogeni, uccidendo illegalmente centinaia di persone e ferendone molte altre. Hanno anche preso di mira difensori dei diritti umani, giornalisti e oppositori politici, ricorrendo a intimidazioni e detenzioni arbitrarie. Alcuni di loro avevano fatto emergere casi di corruzione o violazioni dei diritti umani. Altri sono stati perseguiti nel contesto di elezioni segnate da accuse attendibili di brogli o restrizioni delle libertà fondamentali. Le donne impegnate nella difesa dei diritti umani hanno dovuto affrontare ulteriori rischi legati al genere.
In alcuni paesi, in particolare in Asia e nella regione del Medio Oriente e Africa del Nord, le autorità hanno perseguito e anche incarcerato difensori dei diritti umani e giornalisti, utilizzando imputazioni dalla formulazione vaga come diffusione di disinformazione, divulgazione di segreti di stato e insulti verso le autorità, o li hanno etichettati come “terroristi”. Alcuni governi hanno investito in software di sorveglianza digitale per prenderli di mira. Altri hanno intralciato le attività delle organizzazioni per i diritti umani, compresa Amnesty International. In America Latina e nei Caraibi, ancora la regione più violenta per chi difende i diritti umani, decine di attivisti sono stati uccisi da gruppi criminali in operazioni collegate a interessi di stato o economici.
Alcune autorità nelle Americhe e in Medio Oriente e Africa del Nord hanno emanato legislazioni che criminalizzavano i commenti critici riguardanti la pandemia e hanno conseguentemente avviato azioni penali contro persone accusate di avere diffuso notizie false od ostacolato le decisioni del governo. Altre in Europa hanno messo insieme la crisi sanitaria con questioni di sicurezza nazionale, affrettandosi a varare norme in materia di sicurezza interna o a rafforzare misure di sorveglianza o minacciando di farlo.
Per far rispettare le misure restrittive contro gli assembramenti durante la pandemia, molti governi hanno imposto drastici divieti contro ogni tipo di manifestazione o hanno fatto ricorso all’uso illegittimo della forza, in particolare in Africa e nelle Americhe. Inoltre, le autorità hanno punito coloro che criticavano l’azione del governo contro il Covid-19, fatto emergere gli abusi compiuti nel contesto della risposta all’emergenza o messo in discussione la narrativa ufficiale sul tema, in particolare in Asia e in Medio Oriente e Africa del Nord. Centinaia di persone sono state arbitrariamente arrestate e, in alcuni casi, incriminate e perseguite. In altri paesi, il governo ha usato il pretesto della pandemia per reprimere opinioni critiche su altri temi.
A livello internazionale, sono stati registrati progressi in sede di Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite per affrontare crisi dei diritti umani come quelle in Libia, Venezuela e Yemen, attraverso la creazione e il rafforzamento di meccanismi investigativi, che potrebbero contribuire all’avvio di procedimenti giudiziari. Gli stati membri delle Nazioni Unite si sono tuttavia dimostrati incapaci di fornire una risposta credibile alla repressione del dissenso e ad altri esempi di gravi violazioni dei diritti umani, in paesi come Cina, Egitto e India. Alcuni governi hanno alimentato i problemi continuando a vendere equipaggiamenti e munizioni per il controllo della folla a stati che li avrebbero con ogni probabilità utilizzati per commettere violazioni del diritto internazionale in situazioni di mantenimento dell’ordine pubblico, oltre che di conflitto armato. Diversi altri hanno palesemente violato gli embarghi sulle armi stabiliti dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
L’Icc ha aperto indagini sull’Afghanistan e proseguito quelle già avviate su Myanmar e Bangladesh. Dopo avere completato le indagini preliminari su Nigeria e Ucraina, la procuratrice dell’Icc ha annunciato l’intenzione di richiedere l’autorizzazione a procedere per presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Ha anche cercato di ottenere un pronunciamento in merito alla giurisdizione territoriale dell’Icc sui Territori Palestinesi Occupati, in vista dell’apertura di un’indagine.
Tuttavia, gli stati più potenti hanno continuato a cercare di bloccare il processo di accertamento delle responsabilità e di compromettere le risposte collettive ad altre gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani. Gli Usa hanno imposto sanzioni ai dipendenti dell’Icc. L’ostruzionismo del Regno Unito è stato un fattore dominante nella deplorevole decisione dell’ufficio del procuratore di non aprire un fascicolo sulle accuse che coinvolgevano l’esercito britannico in Iraq. Cina e Russia hanno attaccato il sistema internazionale dei diritti umani e i meccanismi di monitoraggio indipendente sui diritti umani delle Nazioni Unite. Le continue battute d’arresto politiche registrate in sede di Consiglio di sicurezza hanno contrastato la sua capacità di rispondere in modo tempestivo e incisivo alle crisi dei diritti umani.
In maniera più ampia, vari governi hanno ostacolato l’impegno di membri della società civile presso le Nazioni Unite, tramite ritorsioni e intimidazioni. I meccanismi e le istituzioni per i diritti umani delle Nazioni Unite hanno inoltre dovuto affrontare crisi di finanziamento e liquidità, causate da ritardi o dal mancato pagamento dei contributi da parte degli stati membri. Problematiche che sono state complicate dalla pandemia.
Per costruire un futuro in cui le istituzioni incaricate di proteggere il diritto internazionale siano concretamente in grado di prevenire, rispondere e ottenere giustizia per la repressione del dissenso e altri esempi di gravi violazioni dei diritti umani, tutti gli stati dovrebbero rafforzare e offrire il loro pieno sostegno economico ai meccanismi e alle istituzioni sui diritti umani delle Nazioni Unite. Dovrebbero anche stabilire una completa cooperazione con l’Icc sui casi aperti ed escludere ogni interferenza politica.