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Nel 2018 il giro di vite nei confronti del dissenso e della società civile si è significativamente intensificato in Arabia Saudita, Egitto e Iran, tre stati emblematici dell’inadeguatezza della risposta internazionale a clamorose violazioni dei diritti umani da parte dei governi.
Di fronte alle massicce violazioni dei diritti umani negli stati del Medio Oriente e dell’Africa del Nord la vergognosa compiacenza della comunità internazionale ha incoraggiato i governi a commettere spaventose violazioni dei diritti umani e dato loro la sensazione che non verranno mai chiamati a risponderne alla giustizia.
Questo è quanto emerge dalla nostra analisi sui diritti umani negli stati del Medio Oriente e dell’Africa del Nord nel 2018.
Il rapporto illustra come le autorità di tutta la regione abbiano spudoratamente portato avanti brutali campagne repressive per stroncare il dissenso e colpire manifestanti, società civile e oppositori politici, spesso col tacito sostegno di alleati potenti.
“C’è voluto l’omicidio a sangue freddo di Khashoggi all’interno di un consolato perché una manciata di stati maggiormente responsabili sospendessero i trasferimenti di armi a un paese che guida una coalizione responsabile di crimini di guerra e che ha contribuito alla catastrofe umanitaria dello Yemen”, ha dichiarato Heba Morayef, direttrice regionale per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International.
La sconvolgente uccisione di Jamal Khashoggi nell’ottobre 2018 ha provocato un oltraggio senza precedenti a livello globale, costringendo l’Arabia Saudita a indagare e addirittura spingendo alcuni stati a prendere decisioni raramente viste in passato, come la sospensione della fornitura di armi al paese da parte di Danimarca e Finlandia.
Tuttavia gli alleati-chiave come Stati Uniti, Regno Unito e Francia non hanno fatto nulla del genere e nel complesso la comunità internazionale non ha dato seguito alle richieste delle organizzazioni per i diritti umani per un’indagine indipendente delle Nazioni Unite, in grado di fornire giustizia.
Iran
In Iran le manifestazioni, costanti durante tutto l’anno, sono state soppresse violentemente e migliaia di persone sono state arrestate e imprigionate. Tuttavia l’Unione europea, che ha in corso un dialogo sui diritti umani con questo stato, è rimasta muta.
Abbiamo definito il 2018 in Iran come “l’anno della vergogna”.
Le autorità hanno arrestato, spesso in modo arbitrario, oltre 7000 tra manifestanti, studenti, giornalisti, ambientalisti, attivisti, lavoratori, difensori dei diritti umani. Tra coloro che hanno pagato un prezzo elevato per il loro attivismo, le donne che hanno protestato contro la prassi abusiva e discriminatoria dell’obbligo d’indossare il velo.
Egitto
Mai come oggi nella sua storia recente, l’Egitto è diventato un luogo pericoloso in cui esprimere critiche.
Stati come la Francia e gli Stati Uniti hanno continuato a fornire armi anche all’Egitto, che le ha impiegate a scopo di repressione interna nell’ambito di un massiccio giro di vite sui diritti umani.
Le autorità egiziane hanno inasprito la repressione ai danni dei dissidenti alla vigilia delle elezioni presidenziali. Nel corso dell’anno hanno arrestato almeno 113 persone per l’espressione pacifica di opinioni critiche e adottato nuove norme per ridurre ulteriormente al silenzio gli organi d’informazione indipendenti. Due donne sono state arrestate per aver denunciato le molestie sessuali via Facebook: una di loro, Amal Fathy, si è vista confermare in appello una condanna a due anni di carcere.
Arabia Saudita
Sul piano interno, in Arabia Saudita è proseguito il giro di vite contro gli attivisti della società civile e uomini e donne protagonisti di campagne sui diritti delle donne sono stati imprigionati e sottoposti a torture.
Nel Paese le autorità hanno arrestato e incriminato persone che avevano espresso critiche, accademici e difensori dei diritti umani. Nel mese di maggio almeno sono state arrestate, senza essere formalmente accusate, almeno otto difensore dei diritti delle donne che avevano svolto campagne per l’abolizione del divieto di guida per le donne e del sistema del tutore maschile. Praticamente tutte le persone che difendono i diritti umani in Arabia Saudita sono ora dietro le sbarre o in esilio.
Nel 2018 il giro di vite nei confronti del dissenso e della società civile si è significativamente intensificato in Arabia Saudita, Egitto e Iran: il nostro report
Nel corso del 2018 Danimarca, Finlandia, Norvegia e Olanda hanno sospeso le forniture di armi alla coalizione guidata dall’Arabia Saudita. Al contrario Stati Uniti, Regno Unito e Francia hanno proseguito, tra gli altri, a esportare armi che hanno consentito alla coalizione di colpire civili, scuole e ospedali in Yemen, in violazione del diritto internazionale.
Stiamo chiedendo a tutti gli stati di sospendere immediatamente la vendita o il trasferimento di armi sia a tutte le parti coinvolte nel conflitto dello Yemen che a Israele fino a quando non vi sarà più il concreto rischio che tali armi potranno essere usate per compiere o facilitare gravi violazioni del diritto internazionale dei diritti umani o del diritto internazionale umanitario.
Stiamo anche sollecitando tutti gli stati a dare maggiore sostegno ai meccanismi internazionali atti ad assicurare la giustizia alle vittime, come le inchieste dell’Onu sulle uccisioni a Gaza, sulle violazioni nello Yemen e su quelle in Siria così come il Tribunale penale internazionale.
Nel 2018 il giro di vite nei confronti del dissenso e della società civile si è significativamente intensificato in Arabia Saudita, Egitto e Iran: il nostro report
Tra le massicce repressioni e violazioni dei diritti umani che hanno contrassegnato il 2018, vanno segnalati alcuni piccoli miglioramenti nei campi dei diritti delle donne e delle persone Lgbti.
Nel Maghreb sono entrate in vigore leggi per contrastare la violenza sulle donne e la Palestina ha seguito il cammino di altri stati abolendo la norma che consentiva alle persone sospettate di stupro di evitare la condanna sposando le loro vittime.
In Arabia Saudita è stato finalmente annullato il divieto di guida per le donne, anche se coloro che avevano svolto campagne proprio per questo obiettivo sono state arrestate.
Sebbene le relazioni omosessuali restino un reato nella regione, vanno segnalate due piccole vittorie per i diritti delle persone Lgbti negli stati in cui la mobilitazione della società civile è stata particolarmente forte: in Tunisia è stata presentata una proposta di legge per decriminalizzare le relazioni tra persone dello stesso sesso e in Libano un tribunale ha stabilito che il sesso tra persone omosessuali consenzienti non è un reato.
In un contesto regionale contrassegnato dall’impunità, quegli stessi due stati hanno fatto passi avanti per accertare le responsabilità per le violazioni dei diritti umani del passato: in Libano, dopo anni di campagne della società civile, il parlamento ha approvato una legge che istituisce una commissione d’inchiesta sulle migliaia di sparizioni avvenute durante la guerra civile, mentre in Tunisia la Commissione per la verità e la dignità è riuscita a superare i ripetuti tentativi delle autorità di ostacolarne il lavoro.
“Di fronte a uno scenario di schiacciante repressione, alcuni governi hanno fatto piccoli passi avanti. Questi miglioramenti sono il risultato del coraggioso lavoro dei difensori dei diritti umani del Medio Oriente e dell’Africa del Nord e sono un tributo nei confronti di coloro che mettono regolarmente a rischio la loro libertà per opporsi alla tirannia e per far sapere a coloro che hanno il potere che si stanno piantando semi concreti di cambiamento per gli anni a venire”, ha concluso Morayef.