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Le azioni in materia di migranti rifugiati e richiedenti asilo messe in atto da molti governi durante la pandemia da Covid-19 sono state guidate da discriminazione e xenofobia.
Con una nota ufficiale abbiamo denunciato il trattamento inumano cui sono sottoposti migranti e rifugiati nel mondo. Se non si agirà con urgenza, il sovraffollamento dei campi e dei centri di detenzione produrrà nuovi focolai della pandemia.
Inoltre, il confinamento e le limitazioni ai movimenti hanno aggravato condizioni già drammatiche di vita, mettendo milioni di persone in pericolo di morire di fame o di malattie.
“Non è possibile contrastare il virus quando così tante persone nel mondo vivono in campi e centri di detenzione incredibilmente sovraffollati e insalubri. In un periodo in cui ci sarebbe bisogno più che mai di compassione e collaborazione, alcuni governi hanno intensificato discriminazioni e violenze: impedendo la fornitura di cibo e acqua, intrappolando le persone o addirittura rimandandole indietro verso la guerra e la persecuzione“, ha dichiarato Iain Byrne, direttore del programma Diritti dei rifugiati e dei migranti di Amnesty International.
Per queste ragioni, sollecitiamo un’azione globale condivisa per assicurare che centinaia di migliaia di migranti e rifugiati abbiano accesso adeguato a cibo, acqua, cure mediche e servizi igienico-sanitari.
“In molti campi il rischio di morire di fame è più grande di quello del coronavirus. Di fronte a questa agghiacciante rinuncia alla responsabilità collettiva di proteggere i rifugiati e i migranti, sollecitiamo tutti gli stati ad agire immediatamente per impedire che accada una catastrofe dei diritti umani“, ha aggiunto Byrne.
A tutti i governi chiediamo di:
“I governi continuano a dire che ci salveremo tutti insieme. Una frase che non ha senso fino a quando non si inizieranno a proteggere milioni di persone che stanno convivendo con la pandemia lontano dalle loro case e dai loro cari. Quei governi che lasceranno morire di fame o di sete i rifugiati avranno affrontato la crisi in modo clamorosamente sbagliato“, ha concluso Byrne.
Le azioni di molti governi sono state guidate in queste settimane da discriminazione e xenofobia.
Ad esempio, le autorità locali della Bosnia ed Erzegovina hanno intenzionalmente smesso di fornire acqua al campo di Vucjak per costringere gli abitanti a spostarsi altrove.
Molti rifugiati vivono in condizioni economiche precarie e l’isolamento e il coprifuoco hanno reso ancora più difficile trovare di che sopravvivere.
In Giordania, nel campo di Zaatari, l’isolamento ha impedito alle persone di svolgere qualsiasi tipo di lavoro e queste non sono più in grado di pagare anche i servizi minimi essenziali.
In Francia ad aprile, nel campo informale di Calais, cibo e acqua hanno iniziato a scarseggiare e il confinamento ha impedito di muoversi per comprare qualcosa da mangiare anche a coloro che avevano il denaro per farlo.
Molti governi hanno proseguito a imprigionare senza motivo persone che avevano chiesto asilo, ponendoli così a rischio di contrarre il virus. Ovunque, manca un numero sufficiente di tamponi e dispositivi di protezione, tanto per i detenuti quando per il personale dei centri.
Le persone che si trovano nei centri di detenzione per migranti dell’Australia hanno supplicato di essere rilasciate perché temono che il personale, privo di dispositivi di protezione, possa contagiarli.
Altri governi hanno violato il diritto internazionale rimandando indietro persone con la scusa delle misure di contenimento della pandemia.
Gli Usa, dove continua a vigere un’agenda politica anti-immigratoria e opportunistica, tra il 20 marzo e l’8 aprile sono state rimandate indietro 10.000 persone neanche due ore dopo il loro arrivo.
Le autorità della Malesia hanno rifiutato l’approdo a un’imbarcazione di rifugiati rohingya alla deriva da due mesi, alla fine soccorsa dalla Guardia costiera del Bangladesh; nel frattempo però erano morte almeno 30 persone che si trovavano a bordo. Diverse centinaia di rohingya sono in disperato bisogno di un intervento di ricerca e soccorso in mare.
Costringere le persone a tornare in paesi dove è presumibile che subiranno persecuzione e tortura è una violazione del principio di non respingimento, al cui rispetto non è prevista alcuna eccezione.