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In un rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha denunciato l’intensificarsi della repressione nei confronti di chi si occupa di diritti umani in Russia. Dal ritorno di Vladimir Putin alla presidenza del paese, nuove leggi e politiche repressive e azioni di rappresaglia hanno avuto un effetto rovinoso sul lavoro in favore dei diritti umani nel paese.
“Nella Russia di oggi occuparsi di diritti umani equivale a camminare su un terreno minato. Ogni giorno c’è una nuova minaccia: un pestaggio da aggressori ‘sconosciuti’, un procedimento giudiziario seguito da una condanna per un reato mai commesso, un congelamento dei conti bancari che paralizza le attività, una multa sproporzionata, un ‘attenzionamento’ dei media statali nei confronti di parenti prossimi“, ha dichiarato Natalia Prilutskaya, ricercatrice di Amnesty International sulla Russia.
Il rapporto di Amnesty International illustra gli strumenti che le autorità russe usano da sette anni per limitare, ostacolare o interrompere le attività in favore dei diritti umani: adozione di leggi restrittive, persecuzione di difensori dei diritti umani, impunità per le aggressioni e le minacce agli attivisti.
Secondo Amnesty International, tra le persone più prese di mira vi sono coloro che difendono i diritti umani in Cecenia e gli attivisti per i diritti delle persone Lgbti, vittime di numerose aggressioni violente.
Igor Kochetkov, attivista di una rete di organizzazioni per i diritti delle persone Lgbti che aveva denunciato la persecuzione degli omosessuali in Cecenia, ha ricevuto minacce di morte tramite un video circolato sui social media all’inizio del 2019. Ad oggi non vi è il minimo segnale che la polizia abbia svolto indagini approfondite.
La persecuzione giudiziaria di Oyub Titiev, direttore del Centro per i diritti umani “Memorial” – condannato nel 2018 a quattro anni di colonia penale per motivi politici, con una pretestuosa incriminazione di possesso di droga e posto in libertà condizionata nel giugno 2019 – dimostra che lavorare per i diritti umani in Cecenia è diventato quasi impossibile: molti attivisti hanno cessato le loro attività e i pochi rimasti lavorano da zone isolate. Tutto questo ha avuto gravi ripercussioni anche in altre zone del Caucaso settentrionale.
“Chiediamo alle autorità di porre fine alle rappresaglie e alle campagne diffamatorie, diventate ormai il loro modus operandi, e di indagare in modo efficace e indipendente su tutti i reati commessi ai danni di attivisti e difensori dei diritti umani. Chiediamo inoltre al governo russo di annullare le leggi eccessivamente restrittive che pregiudicano il lavoro delle organizzazioni non governative e di rispettare l’obbligo assunto a livello internazionale di proteggere coloro che proteggono i diritti degli altri“, ha concluso Prilutskaya.