Siria: 10 anni dopo l’inizio della crisi, la giustizia è più importante che mai

12 Marzo 2021

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Siria, Amnesty International: 10 anni dopo l’inizio della crisi, la giustizia è più importante che mai

Alla vigilia del 15 marzo, decimo anniversario dell’inizio della crisi della Siria, Amnesty International ha sollecitato il Consiglio di Sicurezza a superare la paralisi causata dall’esercizio del diritto di veto e a chiedere che i responsabili delle violazioni dei diritti umani siano chiamati a rispondere delle loro azioni.

Dopo le proteste pacifiche del 2011, le forze del governo siriano e poi i gruppi armati di opposizione, le prime e i secondi col sostegno dei rispettivi alleati, hanno sottoposto milioni di persone ad attacchi illegali dal cielo e da terra, a massicce e sistematiche detenzioni arbitrarie, a decessi in carcere a seguito di tortura, a sparizioni forzate, ad assedi che hanno costretto alla fame e a sfollamenti forzati.

Nell’ultimo decennio, in almeno 15 occasioni Russia e Cina hanno posto il veto a risoluzioni del Consiglio di sicurezza destinate a contrastare le violazioni dei diritti umani in Siria.

“Gli stati membri del Consiglio di sicurezza avevano il potere e il mandato di aiutare la popolazione della Siria ma hanno completamente fallito l’obiettivo. Dieci anni dopo, i responsabili di terribili violazioni dei diritti umani, tra cui crimini di guerra e crimini contro l’umanità, continuano a infliggere sofferenze infinite ai civili e ad evadere la giustizia”, ha dichiarato Lynn Maalouf, vicedirettrice per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International.

“Russia e Cina hanno approfittato ripetutamente del diritto di veto per limitare la fornitura transfrontaliera di aiuti umanitari indispensabili, fermare il deferimento della situazione della Siria al Tribunale penale internazionale e bloccare risoluzioni che avrebbero imposto embarghi sulle armi e sanzioni mirate nei confronti di singole persone responsabili, in ogni parte coinvolta nel conflitto, di crimini di guerra e crimini contro l’umanità”, ha aggiunto Maalouf.

La Russia, ma anche l’Iran e la Turchia, si sono schierate con l’una o l’altra parte responsabili di atrocità, consentendo loro di proseguire a commetterle. Russia e Stati Uniti hanno preso direttamente parte al conflitto: la prima portando a termine attacchi illegali insieme alle forze governative siriane, i secondi guidando la coalizione che ha combattuto contro lo “Stato islamico” a Raqqa e altrove, mediante attacchi illegali che hanno causato distruzioni di massa.

“Per troppo tempo gli stati hanno dato vergognosamente priorità alle alleanze e agli interessi politici rispetto alla vita di milioni di bambini, donne e uomini siriani, consentendo a questa storia dell’orrore di andare avanti senza una fine all’orizzonte. È davvero giunto il momento che le potenze che schierano le loro forze si rendano conto che, per far minimamente sperare il popolo siriano in un futuro in dignità e sicurezza, non potranno continuare a disinteressarsi della giustizia e dell’accertamento delle responsabilità”, ha commentato Maalouf.

Un barlume di speranza per la giustizia

Nel 2016, dopo ripetuti fallimenti del Consiglio di sicurezza, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha istituito un meccanismo internazionale che consente lo svolgimento di indagini e procedimenti giudiziari su alcuni dei più gravi crimini di diritto internazionale commessi in Siria dal marzo 2011. Si tratta, finora, dell’unica via percorribile per ottenere giustizia, attraverso l’applicazione del principio della giurisdizione universale da parte dei tribunali nazionali.

Solo nel febbraio 2021 è stata emessa, da parte di un tribunale tedesco, la prima condanna di un funzionario del governo siriano: Eyad al-Gharib, un uomo dei servizi di sicurezza, è stato giudicato colpevole di crimini contro l’umanità e condannato a quattro anni e mezzo di carcere per aver collaborato alle torture di persone che avevano preso parte alle proteste di Damasco.

Il 4 marzo 2021 il Canada ha chiesto l’apertura di negoziati formali, ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, per chiamare lo stato della Siria a rispondere delle violazioni dei diritti umani. Analoga richiesta avevano fatto i Paesi Bassi nel 2020.

“In assenza di giustizia, il ciclo di sangue e sofferenza in Siria non s’interromperà. Un piccolo gruppo di stati ha indicato la direzione verso la giustizia, ora tocca agli altri intraprenderla”, ha sottolineato Maalouf.

La situazione odierna in Siria rimane drammatica. Nel nordovest del paese (Idlib, Aleppo Ovest e parte del governatorato di Hama) sui civili incombe la minaccia dalla possibile ripresa delle ostilità mentre l’insicurezza e la repressione dominano nelle zone meridionali di Daraa e Sweida e sono causa di arresti, sparizioni forzate e uccisioni illegali.

Il governo siriano continua a limitare alle organizzazioni umanitarie l’ingresso nelle aree sotto il suo controllo, esasperando una già disperata crisi economica e umanitaria. Dall’altro lato del conflitto, nel nord del paese i gruppi armati di opposizione sostenuti dalla Turchia e il gruppo “Hay’at Tahrir al-Sham” (Organizzazione per la liberazione del Levante”) proseguono a compiere arresti arbitrari, torture e sequestri di persona.

Un decennio di crimini di guerra

Per tutta la durata del conflitto, sia il governo siriano che i gruppi armati di opposizione hanno ripetutamente violato il diritto internazionale umanitario.

Le forze governative siriane, responsabili di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità, hanno compiuto attacchi illegali uccidendo e ferendo decine di migliaia di civili e danneggiando strutture civili quali abitazioni, scuole e ospedali; hanno usato armi esplosive imprecise come i barili bomba, le bombe a grappolo, vietate a livello internazionale, e persino le armi chimiche. In alcuni casi, gli attacchi aerei illegali sono stati compiuti dall’aviazione russa o col suo appoggio.

La coalizione militare diretta dagli Usa ha condotto attacchi aerei durante la campagna di bombardamenti, durata quattro mesi, per strappare la città di Raqqa al controllo dello “Stato islamico”. Questi attacchi, che in alcuni casi hanno violato il diritto internazionale umanitario, hanno ucciso e ferito centinaia di civili e distrutto abitazioni e infrastrutture.

Il governo siriano ha anche arrestato arbitrariamente e sottoposto a sparizione forzata migliaia di persone che si erano limitate a esercitare pacificamente i loro diritti, tra le quali avvocati, difensori dei diritti umani, giornalisti, operatori umanitari e attivisti politici. Le persone arrestate sono detenute in condizioni inumane e subiscono regolarmente la tortura, che è stata la causa di migliaia di morti nelle prigioni del paese.

I gruppi armati di opposizione hanno compiuto sequestri di persona nelle aree sotto il loro controllo, sottoponendo gli scomparsi a tortura e rifiutando di rivelare il luogo di detenzione o il loro destino.

Tutte le parti coinvolte nel conflitto hanno commesso uccisioni illegali

Amnesty International continua a chiedere al governo siriano e a tutti i gruppi armati di opposizione di rilasciare immediatamente tutte le persone soggette a detenzione arbitraria e a fornire informazioni sulle persone scomparse, sequestrate o sottoposte ad altra forma di detenzione, garantire il completo accesso nei luoghi di detenzione agli osservatori indipendenti e incontri tra i detenuti e i loro familiari e avvocati.

Il gruppo armato “Stato islamico”, “Hay’at Tahrir al-Sham” e altri gruppi armati sostenuti dalla Turchia e dagli stati del Golfo hanno a loro volta commesso crimini di guerra e altre violazioni dei diritti umani. Le coalizioni di gruppi armati appoggiate dalla Turchia hanno condotto attacchi nelle zone sotto il controllo delle Unità curde di protezione popolare (Ypg). Queste ultime, ora integrate nelle Forze democratiche siriane sostenute dagli Usa, sono state a loro volta responsabili di sfollamenti forzati di civili e demolizioni di insediamenti civili.

Dall’inizio del conflitto, decine di migliaia di persone hanno lasciato le loro case e vivono in campi o in edifici abbandonati in condizioni terrificanti, privi di beni fondamentali come cibo e medicine. Almeno cinque milioni di siriani hanno lasciato il paese, rifugiandosi nella maggior parte dei casi negli stati confinanti, dove subiscono limitazioni nell’accesso ai servizi o all’assistenza, vivendo in molti casi nella totale indigenza.