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“Vedevo la mia famiglia fare tanto, gli irlandesi fare tanto, molte persone nel mondo adoperarsi. Questo mi ha dato fiducia”.
Somaia Halawa è stata arrestata nell’estate del 2013 insieme a sue due altre sorelle e al fratello Ibrahim.
Di origini egiziani ma cittadini irlandesi, erano partiti da Dublino per andare a trovare i parenti al Cairo. Lì avevano deciso di prendere parte alle proteste di metà agosto della Fratellanza Musulmana contro il colpo di stato di Abdel Fattah al-Sisi.
Quel viaggio si trasformò in un incubo.
Somaia è rimasta in prigione tre mesi, dopo i quali è uscita su cauzione insieme alle sorelle. Ma il fratello, Ibrahim, ha dovuto trascorrere ben 4 anni nelle carceri egiziane, prima di ritrovare la giusta libertà.
“Torah è un carcere immenso, dove negano qualunque diritto, anche quello elementare dell’acqua”, racconta Somaia.
Una volta uscita di prigione, Somaia ha combattuto con coraggio per ottenere la scarcerazione del fratello.
Nella sua battaglia e quella della sua famiglia è stato fondamentale il supporto di Amnesty International: attivisti e attiviste si sono adoperati per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’ingiusta incarcerazione di Ibrahim.
“Quando abbiamo iniziato la campagna per la liberazione di Ibrahim, ci sentivamo come chi urla mentre è bloccato nel deserto, senza alcuna speranza di essere ascoltato. Ma gradualmente la campagna ha iniziato a prendere slancio e ci siamo resi conto che ci sono persone là fuori che si prendono cura dei nostri diritti”, spiega Somaia.
Quali erano le tue condizioni durante il periodo di prigionia?
“Le condizioni sono terribili, puoi avere l’acqua solo 5 volte al giorno. Ma per le donne la situazione era un po’ più agevole. Ora però so che le cose sono cambiate“.
“Al momento in Egitto non c’è diversità di trattamento tra uomini e donne in carcere. Gli ufficiali torturano le donne, violentano i loro corpi. È chiaro che quando sono stata incarcerata io, l’attenzione mediatica era molto alta, e ho avuto un trattamento leggermente migliore“.
Hai sentito parlare della storia di Amal Fathy? Cosa ne pensi?
“Non conosco la storia nei particolari, ma quella della detenzione pretestuosa e prolungata è la strategia egiziana per dire ‘stai zitta, non parlare più’“.
“È accaduto anche con me: sono stata liberata e poi rimessa in prigione. Quando mio fratello mi ha visto mi ha chiesto: cosa ci fai di nuovo qui?”.
Come hai conservato la speranza?
“Vedevo la mia famiglia fare tanto, gli irlandesi fare tanto, molte persone nel mondo adoperarsi. Questo mi ha dato fiducia”.
Ti senti più irlandese o egiziana?
“Entrambe le cose. Ho vissuto diversi anni in Egitto, lì mi sono diplomata, comunico con le persone molto bene. Il mio cuore è dove lo sento“.
Cosa ti auguri per le donne egiziane?
“Che guadagnino gli stessi diritti delle donne irlandesi“.
La lunga campagna di Somaia per ottenere libertà per Ibrahim ha comportato anche un rallentamento negli studi e e tante sofferenze.
La lotta per vedere liberato Ibrahim non è stata facile, ma il sostegno che ha ricevuto lungo il cammino le ha donato la forza di continuare.