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Dopo il tentato colpo di stato in Turchia sono decine di migliaia le persone – tra cui medici, agenti di polizia, insegnanti, docenti universitari e soldati – etichettate come “terroristi” ed estromesse dal settore pubblico, che oggi lottano per la sopravvivenza.
La ricerca “Nessuna fine in vista: il futuro negato agli impiegati del settore pubblico della Turchia dopo la purga” è il frutto di 61 interviste svolte ad Ankara, Diyarbakır e Istanbul dal team guidato da Andrew Gardner, ricercatore di Amnesty International sulla Turchia.
“L’onda d’urto della repressione avviata dalle autorità turche dopo il tentato colpo di stato continua a devastare la vita di un gran numero di persone che non solo hanno perso il lavoro ma hanno visto anche la loro vita e la loro carriera professionale fatte a pezzi”, ha dichiarato Gardner nella nota ufficiale di presentazione alla ricerca.
“Dipinte come ‘terroristi’ e private delle loro fonti di reddito, molte persone in Turchia non possono più proseguire la loro carriera professionale e non riescono a trovare un impiego alternativo”, ha aggiunto Gardner.
“Se vogliono farti fuori dalle istituzioni, basta dire che sei un gülenista”, ha dichiarato un ex funzionario governativo.
Anche se alcuni dei licenziamenti, come ad esempio quelli dei soldati che hanno preso parte al tentativo di colpo di stato, possono essere giustificati, l’assenza di criteri rigorosi e di prove di singoli comportamenti illeciti getta un’ombra sulla generica e ufficiale accusa di legami con i gruppi terroristi.
Nonostante l’evidente arbitrarietà dei provvedimenti, non esiste alcuna valida procedura d’appello contro i licenziamenti nel pubblico impiego. La commissione incaricata a gennaio di riesaminare i casi manca d’indipendenza e di capacità d’azione efficace e oltretutto non è ancora operativa.
“Prima ero considerato un eroe, adesso sono un terrorista e un traditore”, ha dichiarato un soldato che si trovava nella parte opposta della Turchia nelle ore del tentato colpo di stato.
Il rapporto rivela che i lavoratori licenziati stanno affrontando una situazione tremenda: le persone intervistate hanno raccontato che, in assenza di altri mezzi di sostentamento come la pensione, sono costrette a sacrificare tutti i loro risparmi, a fare affidamento su amici e familiari, a cercare un lavoro irregolare o a contare su piccoli contributi di solidarietà da parte dei sindacati.
A molti di loro è vietato svolgere in regime privato una professione regolamentata dallo stato, come l’insegnamento e l’avvocatura. Allo stesso modo, i poliziotti e i soldati licenziati non possono ottenere impieghi simili nel settore privato. I pochi che possono farlo, come gli operatori sanitari, fanno fatica a trovare un lavoro, soprattutto uno analogo per posizione e salario a quello precedente.
Le autorità hanno annullato passaporto, precludendo loro le possibilità di cercare lavoro all’estero e restringendo così ulteriormente le loro opportunità d’impiego.
Un piccolo numero di lavoratori licenziati ha intrapreso proteste pubbliche e subisce minacce, arresti e maltrattamenti. Nuriye Gülmen, una docente universitaria, e Semih Özakça, un insegnante, sono in sciopero della fame da 75 giorni.
“Il licenziamento di 100.000 lavoratori assomiglia a un annientamento professionale di massa ed è evidentemente collegato alla più vasta epurazione nei confronti di reali o presunti oppositori politici. Le autorità – conclude Gardner – devono porre immediatamente fine a questi licenziamenti arbitrari e riassumere tutti quelli che non sono stati responsabili di comportamenti illeciti. Alle persone licenziate dev’essere messa a disposizione una procedura d’appello rapida ed efficace in modo che possano riabilitare il loro nome, ricevere un risarcimento e riprendere le loro carriere”.