Ue: nove paesi cercano di ammorbidire le regole di esportazione delle tecnologie sulla sorveglianza

12 Giugno 2018

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Nove stati dell’Unione europea – Cipro, Estonia, Finlandia, Irlanda, Italia, Polonia, Regno Unito, Repubblica Ceca e Svezia – stanno cercando di bloccare il rafforzamento delle norme sull’esportazione di tecnologia di sorveglianza a paesi che violano i diritti umani.

È quanto emerge da un lavoro congiunto dei nostri ricercatori con quelli di Access Now, Privacy International e Reporters sans frontières.

Una bozza trapelata da fonti di stampa ha rivelato che i nove stati membri dell’Unione europea intendono indebolire le protezioni sui diritti umani già contenute in una proposta della Commissione e ulteriormente rafforzate l’anno scorso dal Parlamento europeo.

Da tanto tempo le imprese dell’Unione europea stanno fornendo sofisticata tecnologia di sorveglianza a stati repressivi, con cui questi spiano e perseguitano attivisti, giornalisti e chiunque osi denunciare le violazioni dei diritti umani“, ha dichiarato in una nota ufficiale Joshua Franco, ricercatore di Amnesty International su Tecnologia e diritti umani.

“L’anno scorso il Parlamento europeo aveva fatto un grosso passo avanti per porre sotto controllo questi commerci pericolosi. Ora i nove stati intendono privilegiare i profitti sulle persone e sostenere paesi che violano i diritti umani, i quali confidano proprio nelle blande normative dell’Unione europea per ridurre al silenzio le voci critiche”, ha aggiunto Lucie Krahulcova, analista di Access Now.

“Rischiamo un passo indietro per la libertà di stampa e per la protezione delle fonti dei giornalisti. Oggi, molti giornalisti sono spiati o arrestati con l’aiuto di tecnologia di sorveglianza europea, che scoraggia lo scambio di informazioni. Gli stati dell’Unione europea devono rafforzare e non indebolire gli standard per controllare le esportazioni, in modo da proteggere i giornalisti a livello globale”, ha proseguito Elodie Vialle, direttore del settore Giornalismo e tecnologia di Reporters sans frontières.

Sebbene la bozza resa pubblica dai mezzi d’informazione riconosca il rischio per i diritti umani derivante dall’uso improprio delle tecnologie di sorveglianza elettronica, il testo mette in discussione diversi aspetti delle proposte della Commissione e del Parlamento espressamente destinate a proteggere i diritti umani.

Ad esempio, la bozza dei nove paesi è contraria a una nuova lista di categorie di tecnologia di sorveglianza per le quali sarebbero necessarie licenze per l’esportazione e anche alla possibilità che tali licenze siano negate nei casi in cui le esportazioni potrebbero recare danno ai diritti umani.

Con Access Now, Privacy International e Reporters sans frontières chiediamo al Consiglio dell’Unione europea di respingere la posizione espressa nella bozza e di far sì che la protezione dei diritti umani sia al centro della normativa sulle esportazioni di tecnologia di sorveglianza.

La tecnologia di sorveglianza in commercio è usata da governi di ogni parte del mondo per spiare attivisti, giornalisti e dissidenti. Questo mese Access Now ha rivelato che il malware di produzione europea FinSpy è stato usato per colpire la società civile in Turchia, Indonesia, Ucraina e Venezuela. Finti account Twitter sono stati creati per prendere di mira attivisti e oppositori politici in Turchia, paese dove è in corso un giro di vite che ha portato in carcere centinaia di persone tra cui difensori dei diritti umani, esponenti di Amnesty International, attivisti politici e giornalisti.

Quello reso noto da Access Now è solo l’ultimo di una serie di scandali legati all’esportazione di tecnologia di sorveglianza. Negli Emirati arabi uniti il difensore dei diritti umani Ahmed Mansoor è stato recentemente condannato a 10 anni di carcere a causa del suo attivismo. Le ricerche di Citizen Lab hanno dimostrato come in diverse occasioni Mansoor sia stato spiato da tecnologia di sorveglianza europea prodotta per accedere alle informazioni personali e spiare le comunicazioni del soggetto preso di mira.

Il mese scorso Privacy International ha reso noto che la Finlandia, uno dei nove paesi in questione, ha approvato oltre 80 licenze per l’esportazione di materiali per intercettare le telecomunicazioni a paesi tra cui Emirati arabi uniti e Messico, paese quest’ultimo nel quale le autorità hanno usato tecnologia di sorveglianza contro noti avvocati, giornalisti e attivisti anti-corruzione.

“Le esportazioni di tecnologia per la sorveglianza da parte dell’Unione europea hanno già causato gravi danni e all’avanzamento dei sistemi di spionaggio corrisponde un aumento dei pericoli. In assenza di concrete protezioni per i diritti umani, gli stati membri rischiano di facilitare repressioni come quelle in atto in Turchia e in Messico”, ha commentato Franco.

“Le proposte della Commissione e del Parlamento richiederebbero ai governi di valutare i rischi per i diritti umani nel paese destinatario prima di inviargli tecnologia di sorveglianza. Si tratterebbe di un importante passo avanti, in linea con gli obblighi in materia di diritti umani dell’Unione europea e dei suoi stati membri. Chiediamo al Consiglio di far suo questo approccio nonostante la cinica opposizione dei nove stati membri”, ha concluso Franco.

Ulteriori informazioni

Nel 2016 la Commissione europea ha proposto una riforma all’attuale sistema, “per prevenire le violazioni dei diritti umani associate con determinate tecnologie di cybersorveglianza”.

Access Now, Amnesty International, Privacy International e Reporters sans frontières sono tra le organizzazioni non governative che sostengono il rafforzamento delle protezioni in favore dei diritti umani, maggiore trasparenza, protezione per chi fa ricerca su temi di sicurezza e un raggio maggiore d’azione per coprire le nuove forme di tecnologia di sorveglianza.

Molte di queste istanze sono in qualche modo riflesse nella proposta adottata dal Parlamento europeo alla fine del 2017.

La posizione del Consiglio è attesa nella seconda parte dell’anno. Le tre istituzioni – Consiglio, Commissione e Parlamento – dovrebbero cercare di raggiungere un accordo attraverso i negoziati inter-istituzionali chiamati Trialogo.