Usa, dopo 16 anni riprenderanno le esecuzioni a livello federale

1 Agosto 2019

Tempo di lettura stimato: 3'

Approfondimento a cura del Coordinamento tematico sulla pena di morte. Per restare aggiornato iscriviti alla newsletter. Per consultare i numeri precedenti clicca qui.

Il dipartimento della Giustizia Usa ha annunciato la ripresa delle esecuzioni federali, a iniziare da cinque detenuti condannati per omicidio di minori. Se portate a termine, si tratterà delle prime esecuzioni federali dal 2003.

La decisione dell’amministrazione Trump di riavviare le esecuzioni federali dopo una pausa di 16 anni è scandalosa. È l’ultima indicazione del disprezzo di questa amministrazione per i diritti umani“, ha commentato Margaret Huang, direttrice esecutiva di Amnesty International Usa.

A livello federale i tribunali pronunciano raramente pene capitali, tanto che solo 62 detenuti si trovano nel braccio della morte dei penitenziari federali, mentre in quelli statali sono ben 2743.

I detenuti saranno messi a morte mediante iniezione di un singolo medicinale, il pentobarbital.

Il primo ad essere messo a morte, il prossimo 9 dicembre, sarà Daniel Lewis Lee, condannato per aver ucciso in Arkansas una famiglia di 3 persone, tra cui un bimbo di 8 anni.

La decisione dell’amministrazione Trump appare però in contrasto con le crescenti moratorie sulla pena di morte adottate da vari Stati negli ultimi dieci anni: da un lato per le controverse iniezioni letali, accusate di causare eccessiva sofferenza, dall’altro per la carenza delle sostanze da usare, perché le grandi case farmaceutiche rifiutano di fornirle nel timore di essere associate ad una prassi che molti considerano inumana e incivile.

L’uso della pena di morte non è in linea con le tendenze nazionali e internazionali. Ventuno stati negli Stati Uniti e oltre la metà dei paesi del mondo hanno già stabilito che la pena di morte non rispetta i diritti umani e non ha posto nelle loro leggi“, ha sottolineato Margaret Huang.


cifre

I dati sulla pena di morte nel 2019

In totale 142 paesi hanno abolito la pena di morte nella legge o nella pratica. 56 paesi mantengono in vigore la pena capitale, ma quelli che eseguono condanne a morte sono assai di meno.

Condanne a morte eseguite al 4 giugno 2019*

*questa lista contiene soltanto i dati sulle esecuzioni di cui Amnesty International è riuscita ad avere notizia certa. In alcuni paesi asiatici e mediorientali il totale potrebbe essere molto più elevato.

Dal 2009, Amnesty International ha deciso di non pubblicare la stima delle condanne a morte e delle esecuzioni in Cina, dove questi dati sono classificati come segreto di stato. Ogni anno, viene rinnovata la sfida alle autorità cinesi di rendere disponibili queste informazioni che si ritiene essere nell’ordine di migliaia, sia di esecuzioni che di condanne a morte.

APPROFONDISCI

GUARDA I NUMERI PRECEDENTI

Altre notizie

BielorussiaPrima esecuzione nel 2019 in Bielorussia dopo le quattro dello scorso anno. Si tratta di Alexander Zhilnikov, condannato a morte per gli omicidi di tre persone. Lo ha reso noto il suo avvocato il 13 giugno 2019 e la notizia è stata rilanciata dal Centro per i diritti umani Vesna che informa come il destino del secondo detenuto coinvolto nel caso, Vyacheslav Sukharko, rimanga ancora sconosciuto. Secondo Vesna, lo scorso 30 maggio l’avvocato ha incontrato Alexander Zhilnikov al fine di presentare all’Ufficio del Procuratore Generale una richiesta perché venisse riconsiderato il caso alla luce di circostanze appena scoperte. Ma quando il 13 giugno l’avvocato si è recato in carcere per proseguire il lavoro sulla richiesta, ha ricevuto la comunicazione della esecuzione, con fucilazione, di Zhilnikov. La Bielorussia resta l’ultimo Stato in Europa che applica ancora la pena di morte. Il numero esatto delle esecuzioni non è noto ma secondo il Ministero della Giustizia, 245 persone sarebbero state condannate alla pena capitale tra il 1994 e il 2014. Le organizzazioni non governative stimano in almeno 400 le esecuzioni da quando, nel 1991, il Paese ha guadagnato l’indipendenza. (fonti: Belsat e Belarusfeed)

Iran – Sarebbero almeno 110 le esecuzioni compiute in Iran nella prima metà del 2019, secondo l’organizzazione Iran Human Rights. Un numero in crescita rispetto alle 98 registrate nello stesso arco di tempo un anno fa, ma probabilmente sottostimato visto che l’organizzazione precisa che nel conteggio sono inclusi i casi annunciati da fonti filo governative e quelli che sono confermati da almeno due fonti attendibili. Non a caso, delle 110 esecuzioni, solo 37 sono state riportate dalle autorità filo governative. In 83 casi, i condannati sono stati messi a morte per “qisas”, ossia la legge del taglione applicata in molti paesi di religione islamica per cui ogni omicidio viene punito con un altro omicidio; 13 persone sono state condannate per stupro, 9 per reati di droga, e 4 per “Moharebeh”, il delitto che punisce chiunque ponga in essere un’offesa contro l’Islam o lo Stato. Due degli impiccati erano minorenni all’epoca del reato attribuito.
(fonte: Iran Human Rights)

Usa – Continuano a diminuire i prigionieri nei bracci della morte americani, secondo il rapporto “Death Row USA” curato dal Legal Defense Fund del National Association for the Advancement of Colored People. Al 1 aprile scorso, nelle carceri degli Usa c’erano 2.673 persone, 17 in meno rispetto a tre mesi prima, confermando la tendenza di di una graduale e costante diminuzione dei detenuti nei bracci della morte. Dieci anni fa, i condannati alla pena capitale detenuti erano 3284, la diminuzione è stata del 18,6%. Se in 10 anni il braccio della morte è calato di 611 unità, nello stesso arco di tempo le esecuzioni sono state 344. Questo significa che, considerando le nuove condanne a morte emesse nel frattempo, sono quasi 1000 le persone uscite dal braccio della morte per altre cause: annullamenti, commutazioni, proscioglimenti, morte naturale o suicidio. Il braccio della morte più popoloso rimane, come ormai da moltissimi anni, quello della California, lo stato più popoloso degli Usa ma anche uno stato che non effettua esecuzioni da 12 anni (733). Divisi per razze, nei bracci della morte ci sono 41,98% bianchi (1.122), 41,68% neri (1.114), 13,43 % ispanici (359), 1,83% asiatici (49), 1,05% pellerossa (28). Divisi per sesso, nei bracci della morte ci sono 2.619 uomini (97,98%) e 54 donne (2,02%). (fonte: Legal Defense Fund del National Association for the Advancement of Colored People)

Dal mondo

2 luglio – La Camera dello Stato di Taraba, in Nigeria, ha emendato la Legge contro i Sequestri del 2010, introducendo la pena di morte e l’ergastolo per i trasgressori. Lo Speaker, Abel Diah, ha detto che il disegno di legge stabilisce che chiunque sequestri una persona con l’intento di chiedere un riscatto o di costringere un’altra persona a fare qualcosa contro il proprio volere, sarà condannato a morte.

17 luglio – Una donna, Zahra Safari Moghaddam, 43 anni, è stata impiccata nella prigione di Noshahr (Nowshahr). La notizia è riportata da IRNA, una fonte filogovernativa. Si tratterebbe della 90a donna giustiziata da quando nel 2013 è iniziata la presidenza Rouhani.

18 luglio – Tre uomini sono stati condannati a morte in Marocco dal Tribunale di Salè, vicino alla capitale Rabat. Abdessamad el Joud (25 anni), Youness Ouziad (27) e Rachid Afati (33) sono stati riconosciuti colpevoli del duplice omicidio Imlil, dove lo scorso dicembre due turiste scandinave vennero uccise e decapitate. I tre poco prima di commettere la propria azione avevano giurato fedeltà al sedicente Stato islamico. In Marocco l’ultima esecuzione risale al 1993. Un centinaio di condannati alla pena capitale si trovano nei bracci della morte.

22 luglio – Rodrigo Duterte, presidente delle Filippine, ha esortato i parlamentari a ripristinare la pena di morte nell’ambito della contestata guerra alla droga, finita nel mirino della comunità internazionale. Durante il suo annuale discorso alla Nazione, Duterte ha “rispettosamente chiesto al Congresso di ristabilire la pena di morte per crimini efferati legati alle droghe e al saccheggio”. Immediata la reazione di Amnesty International che ha condannato la proposta, definendola “ripugnante“, e ha messo l’accento sul “rischio che aggravi l’attuale clima di impunità“.