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Zeinab Sekaanvand, una curda iraniana di 24 anni, è stata messa a morte nella città di Urmia, nell’Iran Nord-Occidentale, all’alba del 2 ottobre.
Zeinab era stata arrestata nel 2011, quando aveva diciassette anni. L’arresto era avvenuto a seguito dell’omicidio del marito che era stata costretta a sposare all’età di 15 anni.
Ha confessato dopo essere stata trattenuta per 20 giorni in una stazione di polizia, dove – secondo quanto aveva denunciato – è stata picchiata dagli agenti. Anche il processo è stato gravemente irregolare: Zeinab ha incontrato il suo avvocato, quello assegnatole di ufficio, solo nell’ultima udienza del processo. In quell’occasione ha ritrattato la “confessione” resa quando era priva di assistenza legale, denunciando che l’assassino era stato il fratello del marito. Dichiarazioni ignorate dai giudici che il 22 ottobre 2014 l’hanno condannata a morte.
Il 29 settembre, come riportato in una nota ufficiale, Zeinab era stata trasferita nel reparto ospedaliero della prigione di Urmia per essere sottoposta a un test di gravidanza, risultato negativo il giorno dopo. Di conseguenza, la direzione della prigione aveva contattato la famiglia per segnalare che l’ultima visita era stata fissata per il 1° ottobre. Qui, i suoi parenti avevano appreso che l’esecuzione sarebbe avvenuta il giorno dopo.
L’Iran è rimasto l’unico paese al mondo a mettere a morte minorenni al momento del reato. Dal 2005 vi sono state circa 90 esecuzioni del genere, di cui almeno cinque nel 2018.
Nei bracci della morte del paese restano in attesa dell’esecuzione almeno altri 80 minorenni al momento del reato.