Covid-19: attacco globale alla libertà d’espressione. Effetti pericolosi sulla crisi di salute pubblica

19 Ottobre 2021

Tempo di lettura stimato: 7'

In un nuovo rapporto pubblicato oggi, dal titolo Tra bavaglio e disinformazione: libertà d’espressione in pericolo durante la pandemia da Covid-19, Amnesty International ha denunciato che gli attacchi portati dai governi alla libertà d’espressione e i flussi di disinformazione hanno avuto conseguenze sulla capacità di avere accesso a informazioni accurate e tempestive, fondamentali per arginare la crisi globale di salute pubblica.

Da ben oltre un anno governi e altre autorità fanno affidamento sulla censura e sulle sanzioni per ridurre la qualità delle informazioni a disposizione del pubblico. La pandemia ha dato luogo a una pericolosa situazione in cui nuove legislazioni sono state usate per mettere il bavaglio all’informazione indipendente e per punire chi criticava o cercava d’indagare sulla risposta dei governi alla pandemia da Covid-19.

“Abbiamo assistito a un attacco senza precedenti alla libertà d’espressione: tra chiusure di mezzi di comunicazione e censura dei social media, il pubblico ha enorme difficoltà ad accedere a informazioni utili per fronteggiare la pandemia”, ha dichiarato Rajat Khosla, direttore delle ricerche di Amnesty International.

“Nel bel mezzo di una pandemia, giornalisti e operatori sanitari sono stati ridotti al silenzio e imprigionati. Circa cinque milioni di persone hanno peso la vita a causa del Covid-19 e la mancanza di informazioni può avervi contribuito”, ha aggiunto Khosla.

Il governo cinese controlla da tempo la liberà d’espressione. Sin dal dicembre 2019, operatori e dirigenti sanitari e cittadini-giornalisti hanno cercato di dare l’allarme ma sono stati presi di mira per aver riferito sulla diffusione di quella che all’epoca era una malattia sconosciuta. Alla fine di febbraio del 2020 erano state aperte 5511 indagini perproduzione e diffusione intenzionale di informazioni false e dannose”.

Un caso terribile è quello della cittadina-giornalista Zhang Zhan, recatasi nella città di Wuhan nel febbraio 2020 per indagare sullo scoppio della pandemia. È stata arrestata dalla polizia, accusata di “seminare discordia e provocare problemi” e condannata a quattro anni di carcere.

Numerosi stati – tra i quali Nicaragua, Russia e Tanzania – hanno introdotto nuove leggi repressive che hanno limitato il diritto alla libertà d’espressione e ridotto al silenzio coloro che avevano criticato la risposta delle autorità alla pandemia.

Il governo dell’ex presidente tanzaniano ha adottato una posizione negazionista e ha utilizzato leggi sulle “fake news” per limitare la copertura mediatica della gestione della pandemia.

Le autorità del Nicaragua hanno inizialmente minimizzato l’impatto della pandemia e minacciato chi sollevava problemi, poi nell’ottobre 2020 hanno introdotto la Legge speciale sui reati informatici che punisce coloro che criticano le politiche governative e conferisce ampia discrezionalità per reprimere la libertà d’espressione.

Nell’aprile 2020 il governo russo ha ampliato la legislazione sulle “fake news” inserendovi il reato di “diffusione di informazioni consapevolmente false” nel contesto dell’emergenza sanitaria. Queste misure, ufficialmente adottate come risposta alla pandemia, rimarranno in vigore anche al suo termine.

“È chiaro che siamo in presenza non di limitazioni temporanee alla libertà d’espressione ma di misure straordinarie adottate per affrontare una crisi limitata nel tempo. Fanno parte di un assalto ai diritti umani iniziato negli anni scorsi e che si è intensificato nel momento in cui i governi hanno trovato una nuova scusa per farlo”, ha aggiunto Khosla.

Il rapporto di Amnesty International mette in luce anche il ruolo giocato dai proprietari delle piattaforme social nella rapida diffusione della disinformazione sul Covid-19. Queste piattaforme hanno l’obiettivo di amplificare l’eco di contenuti che provochino attenzione per attirare utenti e non hanno applicato una sufficiente diligenza dovuta nel prevenire la diffusione di informazioni false e fuorvianti.

“Mentre chiediamo ai governi e alle aziende farmaceutiche di assicurare che i vaccini siano prodotti e distribuiti a tutte e a tutti nel mondo, ci rivolgiamo anche agli stati e alle proprietà delle piattaforme social affinché garantiscano libero accesso a informazioni accurate, basate su prove e tempestive, in modo tale da minimizzare l’impatto della disinformazione sulle campagne vaccinali”, ha sottolineato Khosla.

“Oltre sei miliardi e mezzo di dosi di vaccino* sono state inoculate a livello globale, ma solo il 2,5 per cento della popolazione degli stati a basso reddito ha ricevuto almeno una dose. Quando mancano meno di 75 giorni alla fine dell’anno, chiediamo agli stati e alle aziende farmaceutiche di cambiare radicalmente rotta e di fare tutto il necessario per fornire due miliardi di dosi di vaccino agli stati a basso e a medio-basso reddito. Ma per fare questo occorrono informazioni sicure e attendibili”, ha concluso Khosla.

Amnesty International sollecita gli stati a cessare di usare la pandemia come pretesto per ridurre al silenzio l’informazione indipendente, ad abolire tutte le limitazioni indebite al diritto alla libertà d’espressione e a diffondere informazioni credibili, attendibili e accessibili in modo tale che il pubblico sia pienamente informato sulla pandemia. Per contrastare la disinformazione non serve la censura, ma occorrono una stampa libera e indipendente e una forte società civile.

Gli stati devono superare il distruttivo modello di Big Tech basato sul profitto, poiché proprio questo è uno dei motivi di fondo della diffusione della disinformazione e della cattiva informazione online. I proprietari delle piattaforme social devono cessare di tenere la testa sotto la sabbia e prendere misure per contrastare la diffusione virale della disinformazione, garantendo anche che il loro modello basato sul profitto non danneggi i diritti umani.

 

*Dati aggiornati al 14 ottobre