Quando il nemico non è la pandemia, ma il giornalismo

3 Maggio 2021

Tempo di lettura stimato: 2'

Cina, Russia, Messico, Niger, Egitto, Venezuela, Turchia, Filippine, Kuwait, Oman, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, India, Azerbaigian, Kazakistan, Serbia, Bangladesh, Cambogia, Uganda, Ruanda, Somalia, Tunisia, Palestina, Kenya, Zimbabwe, Uzbekistan, Algeria, Ungheria, Sri Lanka, Thailandia, Tanzania, Bosnia ed Erzegovina, Bahrein, Myanmar, Angola, Zambia, Iran, Madagascar…

Questo è l’elenco – certamente non esaustivo – degli stati nei quali, secondo il Rapporto 2020-2021 di Amnesty International, lo scorso anno è stata violata la libertà di stampa.

In alcuni di questi stati, il giornalismo indipendente e d’inchiesta ha continuato a essere bersaglio di governi repressivi, gruppi armati di opposizione e imprese criminali. Il Messico si è confermato il più pericoloso al mondo, almeno tra gli stati nei quali non è in corso un conflitto armato.

Ma la novità è che, persino durante la pandemia, la libertà di stampa è stata considerata un fastidioso problema. Nei momenti di picco della diffusione del virus, è sembrato proprio che il vero nemico non fosse il Covid-19.

I giornalisti che denunciavano la reale dimensione del contagio, il numero effettivo dei ricoveri e dei decessi o l’inadeguata – e, se non peggio, discriminatoria – risposta dei governi sono stati licenziati, minacciati, arrestati o processati, spesso grazie ad apposite leggi sulle “fake news”.