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In occasione della Giornata mondiale del rifugiato, il 20 giugno, i nostri attivisti si mobilitano in diverse città per chiedere alla comunità internazionale di intraprendere azioni concrete per sostenere la protezione dei rifugiati, attivare canali sicuri e opportunità di mobilità e creare un’alternativa alle pericolose traversate irregolari.
A Treviso, Torino, Ventimiglia, Mantova, Marsala, Bologna, Firenze, Roma, Pescara e Termini Imerese sono centinaia gli attivisti pronti a “mettere in scena” un abbraccio collettivo a tutte le persone migranti.
Come accaduto già nel flash mob realizzato a Palermo in aprile, il messaggio di queste manifestazioni è di accoglienza e protezione: le stesse che chiediamo alla comunità internazionale.
Guarda anche l’evento realizzato su Facebook.
Chiediamo ai leader europei di mettere al primo posto l’imperativo morale di salvare vite!
In occasione del 20 giugno in tutto il mondo, migliaia di persone, manifestano la propria solidarietà con le Ong che effettuano operazioni di ricerca e soccorso in mare e che in questi ultimi mesi sono state oggetto di insinuazioni e sospetti – che restano privi di fondamento – circa contatti diretti con le reti di trafficanti.
Per replicare a questo attacco e ricordare l’imperativo morale e legale di salvare vite in mare migliaia di persone sui social network hanno scelto di condividere le proprie foto e di utilizzare l’hashtag #scelgodisalvarevite.
Il messaggio scelto per stare dalla parte di chi è impegnato nelle operazioni di salvataggio nel Mediterraneo centrale è anche una richiesta ai governi europei di destinare le risorse necessarie per le operazioni di ricerca e salvataggio.
Salvare vite è una priorità e un obbligo morale per tutti i governi.
Per partecipare, basta diffondere una tua foto con un cartello con la scritta #scelgodisalvarevite. Puoi scaricare il cartello qui. Non dimenticare di taggare la nostra pagina facebook, il nostro profilo twitter e il nostro profilo instagram.
Il 20 giugno i nostri attivisti si mobilitano per chiedere alla comunità internazionale azioni concrete per la protezione dei rifugiati.
I rifugiati sono oggi 21,3 milioni, pari allo 0,3% della popolazione mondiale. 1,2 milioni di rifugiati necessitano di reinsediamento e l’86% è accolto in paesi a basso e medio reddito.
Senza considerare l’esodo palestinese, che conta 5,2 milioni di rifugiati, il 53% dei rifugiati mondiali proviene da tre paesi principali: Somalia, Afghanistan e Siria.
Nonostante la gravità della situazione in atto, i paesi più ricchi continuano ancora oggi a privilegiare le politiche e le misure atte a bloccare il movimento dei rifugiati e dei migranti, spesso delegando ad altri stati situati nelle regioni più vicine alle aree in guerra la responsabilità per l’accoglienza delle persone bisognose di protezione.
Si pensi che soltanto il 18% dei rifugiati trova ospitalità nelle aree più ricche del mondo, mentre il resto rimane confinato in paesi a basso e a medio reddito, come il Kenya, la Turchia e il Libano.
Il 20 giugno i nostri attivisti si mobilitano per chiedere alla comunità internazionale azioni concrete per la protezione dei rifugiati.
La mancanza di solidarietà verso i rifugiati e verso alcuni altri stati membri è stata un tipico esempio delle politiche migratorie della maggior parte dei paesi dell’Eu, che sono stati uniti nei programmi per limitare gli ingressi e accelerare i ritorni.
Il 13 giugno, la Commissione europea ha deciso di avviare la procedura di infrazione per Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria. Il provvedimento è motivato dal fatto che i tre paesi non hanno dato seguito al programma dell’Unione europea di ricollocazione dei rifugiati arrivati in Grecia e in Italia.
Adottato dai capi di stato a settembre 2015, allo scopo di distribuire le responsabilità dell’accoglienza per la gran quantità di rifugiati che arrivava in un piccolo numero di paesi, il piano di ricollocamento europeo prevedeva entro due anni il trasferimento in tutta l’Eu di 120.000 persone, provenienti da Italia, Grecia e Ungheria.
Dopo che l’Ungheria ha respinto il progetto, ritenendo che sarebbe stato meglio semplicemente chiudere del tutto i propri confini, la sua quota è stata riassegnata a Grecia e Italia. A fine 2016, solo circa 6.000 persone erano state trasferite dalla Grecia e poco meno di 2.000 dall’Italia.
Il 20 giugno i nostri attivisti si mobilitano per chiedere alla comunità internazionale azioni concrete per la protezione dei rifugiati.
In report pubblicato il 15 giugno, ricercatori di Amnesty hanno descritto il catastrofico impatto delle politiche introdotte dal decreto del presidente Trump che ha causato respingimenti illegali di richiedenti asilo alla frontiera e la detenzione illegale di migliaia di altre famiglie, compresi bambini e neonati, nei centri per immigrati degli Usa.
Il 20 giugno i nostri attivisti si mobilitano per chiedere alla comunità internazionale azioni concrete per la protezione dei rifugiati.
Attualmente sull’isola di Nauru, in Australia, si trovano 1.159 richiedenti asilo e rifugiati: 410 all’interno del Centro per l’esame dei richiedenti asilo e 749 fuori da questa struttura. Di queste 1159 persone, 173 sono bambini (134 dei quali rifugiati e 39 richiedenti asilo).
In un rapporto del 2016, basato su mesi di ricerche e di interviste a oltre 100 persone sull’isola di Nauru e in Australia, si evidenzia un deliberato e sistematico regime di crudeltà nelle procedure adottate dal governo australiano in materia di rifugiati.
La maggior parte dei richiedenti asilo e dei rifugiati presenti nell’isola viene dall’Iran. Molti altri sono apolidi o provengono da Afghanistan, Iraq, Myanmar, Pakistan e Sri Lanka. Secondo un padre che si trova nel Centro per l’esame dei richiedenti asilo, la maggior parte dei quasi 40 bambini che si trovano in questa struttura – compreso suo figlio – ha la tubercolosi.
Il 20 giugno i nostri attivisti si mobilitano per chiedere alla comunità internazionale azioni concrete per la protezione dei rifugiati.
Migliaia di rifugiati rohingya in disperato bisogno di assistenza umanitaria e che hanno cercato scampo in Bangladesh dalle punizioni collettive che stanno subendo in Myanmar sono rimandati indietro, verso una nazione che non li riconosce, in flagrante violazione del diritto internazionale.
Attualmente, nei due campi di Cox Bazar sono registrati circa 33.000 rifugiati.
Dal 1992 il governo del Bangladesh rifiuta di concedere asilo politico ai rohingya in fuga da Myanmar. Di conseguenza, dai 300.000 ai 500.000 rohingya vivono irregolarmente nel paese, senza protezione legale e privi di documenti.