La crisi umanitaria a Lampedusa è lo specchio di politiche fallimentari

13 Settembre 2023

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Un neonato di soli cinque mesi ha perso la vita davanti alle coste lampedusane, durante le concitate operazioni di sbarco eseguite dalla Guardia costiera italiana. La mamma, una minorenne guineana, è stata soccorsa insieme alle 45 persone con cui viaggiava su una barca partita da Sfax, in Tunisia.

Un dramma assurdo, ma presto accantonato, nella fretta causata dalla situazione presente nelle ultime ore a Lampedusa: oltre 5000 le persone arrivate in due giorni, più di cento gli sbarchi, in parte coordinati dalla Guardia costiera, in parte autonomi. Migliaia di persone stanno raggiungendo l’isola. Provengono per la maggior parte da paesi subsahariani, molti sono minorenni, e partono dalla Libia – ora squassata dal ciclone Daniel – e, soprattutto, dalla Tunisia.

Le numerose persone sbarcate in queste ore a Lampedusa si scontrano con l’inadeguatezza dell’intervento dello  stato italiano. Il personale – medici, paramedici, mediatori – è carente rispetto alla necessità, e così chi arriva, dopo aver viaggiato su imbarcazioni di fortuna e in condizioni molto critiche, sono costrette ad attendere anche diverse ore sotto al sole per avere una prima assistenza ed essere portate, con i pullman della Croce rossa, all’hotspot di Contrada Imbriacola. La gestione della situazione al molo Favarolo viene affidata alle forze dell’ordine: la guardia di finanza ha effettuato alcune cariche contro un gruppo di persone migranti. Immagini che mai avremmo voluto vedere.

Intanto l’hotspot è ormai al collasso: su una capienza di 400 persone sono oltre 6000 le persone presenti, con una promiscuità conclamata tra uomini, donne e minori. Per cercare di tamponare la situazione si stanno organizzando trasferimenti, anche con navi militari, in altre regioni italiane.

Gli accordi con Libia e Tunisia sono crudeli, costosi e inefficaci

Sia la Libia che la Tunisia hanno stretto accordi con l’Europa focalizzati proprio sui flussi migratori. Nel 2017 l’Italia e la Libia hanno firmato il ‘Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere’: di fatto, da sei anni l’Italia e l’Unione europea danno soldi, mezzi e formazione alla cosiddetta Guardia costiera libica, che in cambio intercetta le persone migranti e le riporta dove i loro diritti vengono costantemente violati tra torture, violenze, stupri.

Nel luglio 2023 l’Unione europea ha siglato un accordo simile con la Tunisia di Kais Saied, che da inizio anno ha inasprito la repressione contro qualsiasi opposizione politica e incitato alla discriminazione nei confronti delle persone migranti. Da mesi in Tunisia le persone nere sono oggetto di violenze, aggressioni, sgomberi sommari, arresti arbitrari, respingimenti verso il deserto.

La rotta del Mediterraneo è sempre più mortale

In questo scenario le persone continuano a morire in mare. L’equipaggio della nave Nadir della Ong tedesca Resqship riporta le testimonianze di un gruppo di naufraghi soccorsi lungo la rotta fra Sfax e Lampedusa, secondo cui almeno 40 persone si sarebbero inabissate davanti ai loro occhi insieme al barchino di ferro su cui viaggiavano. Nonostante siano fortemente aumentate le partenze, manca ancora un’operazione di ricerca e soccorso coordinata a livello europeo, mentre l’intervento delle Ong continua a essere ostacolato.

Il cinico attacco del governo alle Ong

Il governo italiano insiste nell’attacco alle Ong che effettuano operazioni di ricerca e soccorso (SAR). Da ultima, la nave Mare Jonio della Ong Mediterranea Saving Humans, l’unica della flotta civile di soccorso battente bandiera italiana, fermata e sottoposta a un controllo di oltre una settimana, terminato con l’ordine di “rimuovere dalla nave prima della partenza le attrezzature e gli equipaggiamenti imbarcati a bordo per lo svolgimento del servizio di salvataggio”. Un ordine “oltraggioso e inaccettabile, così come la minaccia di conseguenze penali per i nostri armatori”, hanno commentato da Mediterranea, contestando il provvedimento. Secondo l’Ong la posizione del governo sarebbe pretestuosa: la nave è infatti riconosciuta come equipaggiata per l’attività SAR, e per questo è stata certificata del Registro navale italiano, eppure: “non risponderebbe ai criteri di due circolari emanate nel dicembre 2021 e febbraio 2022, che richiedono particolari caratteristiche tecniche dello scafo”. Pretesa in sé assurda – ha evidenziato Mediterranea aggiungendo che “il governo italiano vorrebbe far diventare questo lo standard per tutte le bandiere europee, in modo da ostacolare l’intera flotta civile”.

La deriva morale dell’Europa

Dall’Europa intanto arrivano segnali opposti alla prospettiva di un impegno comune guidato dal principio di responsabilità condivisa. La Germania ha bloccato la procedura di selezione delle persone migranti in arrivo dall’Italia. È il cosiddetto “meccanismo di solidarietà”, totalmente volontario e non sufficiente, con cui i paesi europei decidono se permettere il trasferimento di migranti sui propri territori. La posizione tedesca risponderebbe alla decisione dell’Italia, risalente allo scorso dicembre, di sospendere il meccanismo legato al regolamento di Dublino, non accogliendo più i migranti spostatisi in Germania pur essendo entrati nel territorio dell’Unione europea in Italia, e la cui richiesta secondo il regolamento di Dublino deve essere esaminata dalle autorità italiane. Anche la Francia annuncia l’intenzione di effettuare controlli più serrati nell’area tra Mentone e Ventimiglia: un’area in cui da anni il confine è chiuso e militarizzato per le persone migranti.

Anche alla luce delle posizioni di Berlino e Parigi, si annuncia difficile la discussione sul Patto europeo sulle migrazioni, calendarizzata per il prossimo 28 settembre. Nel testo, presentato in bozza già a inizio giugno, l’unica sinergia trovata dai paesi membri è sulla riduzione degli standard di protezione per le persone in arrivo: si prevede infatti l’istituzione di procedure destinate a causare sofferenza, come la detenzione, anche per mesi, in centri chiusi lungo le frontiere, e la possibilità di respingere verso paesi giudicati sicuri persone in cerca di salvezza.

Di fronte alla necessità di ripensare le politiche migratorie in un’ottica di garanzia delle persone e di adesione al principio di responsabilità condivisa, il Patto europeo rischia al contrario di creare maggiore divisione tra paesi alle frontiere esterne dell’Unione e paesi interni, e si distanzia sempre più dal concetto di solidarietà e dalla tutela dei diritti.