La pandemia da Covid-19, pretesto per un attacco globale alla libertà d’informazione

3 Maggio 2020

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Elena Milashina è la giornalista russa del quotidiano indipendente “Novaya Gazeta” che tre anni fa fece sapere al mondo che in Cecenia gli omosessuali venivano rapiti, torturati e uccisi. Il 12 aprile, sempre sulla “Novaya Gazeta“, ha scritto che molte persone avevano i sintomi del Covid-19 ma evitavano di chiamare i medici o di recarsi in ospedale per paura di essere definite “terroristi”, secondo l’equiparazione fatta dalle autorità locali. Il giorno dopo il presidente Kadyrov ha pubblicato un video su Instagram accusando Milashina di essere “una marionetta dell’Occidente” e chiedendo alle autorità federali di “fermare questi non-umani che scrivono e provocano la nostra gente“. In caso contrario, ha concluso minacciosamente, qualcuno in Cecenia avrebbe dovuto incaricarsi di compiere un reato per ridurre Milashina al silenzio.

Quello di Elena Milashina purtroppo non è un caso isolato. I governi faticano a stare al passo con la diffusione della pandemia da Covid-19 ma sono molto solleciti a tappare la bocca ai giornalisti che denunciano l’inadeguatezza delle misure di contrasto adottate o sostengono che le cifre del contagio siano assai più elevate di quelle ufficiali. Quello della Cina è stato il primo, mettendo il bavaglio alle informazioni indipendenti sullo scoppio dell’epidemia a Wuhan.

Il più stretto dei consiglieri del presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, ha risposto ai giornalisti che avevano dato spazio alle proteste degli ospedali circa l’assenza di dispositivi di sicurezza, apparecchiature adeguate e sacchi per cadaveri che i sacchi di cadaveri erano ben a disposizione ma per metterci dentro coloro che diffondevano notizie false.

Secondo il presidente brasiliano Jair Bolsonaro la stampa ha seminato il panico; le stesse parole ha usato il suo omologo del Tagikistan Emomali Rahmon mentre quello della Bielorussia Aleksandr Lukashenko ha accusato i media di aver creato una psicosi da coronavirus. Il presidente statunitense Donald Trump ha attaccato personalmente otto giornalisti nelle varie conferenze stampa quotidiane.

Ungheria, Russia, Sri Lanka, Thailandia, Uzbekistan e varie monarchie del Golfo sono tra gli stati che hanno introdotto nuove norme per punire col carcere i giornalisti che diffondono “fake news”. In Tunisia sono finiti in carcere due blogger, giornalisti sono stati arrestati in Azerbaigian, Cambogia, India, Iran, Serbia, Turchia e Venezuela. In Egitto il direttore di un quotidiano è stato arrestato intorno alla metà di marzo ed è risultato scomparso per quasi un mese.

Il governo dell’Iraq ha ritirato la licenza all’agenzia di stampa britannica Reuters, mentre quello della Tanzania ha sospeso quella a un quotidiano che aveva pubblicato la foto del presidente del paese circondato da un bagno di folla in una visita a un mercato. Giornalisti sono stati aggrediti in Bangladesh, Kenya e Sudafrica.

Non c’entra con la pandemia ma in questa Giornata mondiale per la libertà di stampa vogliamo ricordare che l’Italia ha il più alto numero di giornalisti minacciati e sotto scorta dell’Unione europea.