Myanmar: la polizia continua a fare vittime tra la popolazione rohingya

17 Gennaio 2018

© Andrew Stanbridge / Amnesty International

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Nel giro di pochi giorni in Myanmar si registrano una serie di omicidi ai danni della popolazione rohingya.

Il 10 gennaio l’esercito di Myanmar ha ammesso che soldati e vigilantes hanno catturato e ucciso in modo sommario 10 rohingya e si sono disfatti dei loro corpi in una fossa comune ai margini del villaggio di Inn Din, nei pressi della città di Maungdaw, nello stato di Rakhine.

A questi omicidi si aggiunge l’uccisione di otto manifestanti da parte della polizia di Myanmar nella città di Mrank-U nello stato di Rakhine.

Amnesty International e altri hanno presentato prove schiaccianti sugli omicidi e gli stupri dei rohingya e sui roghi dei loro villaggi che vanno ben oltre quanto accaduto a Inn Din – ha dichiarato in una nota ufficiale James Gomez, direttore per l’Asia sudorientale e il Pacifico di Amnesty International –. Si tratta di crimini contro l’umanità i cui responsabili devono essere portati di fronte alla giustizia”, ha sottolineato Gomez.

La reale dimensione delle violazioni e dei crimini commessi contro i rohingya e altre minoranze di Myanmar resterà sconosciuta fino a quando alla Missione di accertamento dei fatti delle Nazioni Unite e ad altri osservatori indipendenti non verrà consentito pieno accesso in Myanmar, soprattutto nello stato di Rakhine“, ha aggiunto Gomez.

Commentando l’uccisione degli otto manifestanti a Mrank-U nello stato di Rakhine Gomez ha denunciato l’impunità con cui agiscono le forze di polizia e le altre forze di sicurezza in Myanmar: “Le autorità di Myanmar sono abituate da lungo tempo a ricorrere a ogni mezzo necessario per stroncare il dissenso. È giunto davvero il momento che le forze di polizia siano addestrate al ricorso a metodi non violenti di controllo dell’ordine pubblico. Soprattutto, le autorità dovranno assicurare che la polizia abbia a disposizione strumenti non letali da usare quando strettamente inevitabile“.

Le responsabilità delle forze di sicurezza in Myanmar

Le forze armate di Myanmar hanno più volte cercato di negare le loro responsabilità per i crimini contro l’umanità commessi contro i rohingya nel nord dello stato di Rakhine.

Le nostre ricerche hanno evidenziato come, dalla fine di agosto del 2017, le forze di sicurezza di Myanmar abbiano lanciato una campagna mirata di violenze contro la popolazione rohingya, fatta di uccisioni di massa di uomini, donne e bambini, stupri e altre forme di violenza sessuale contro donne e ragazze, impiego di mine anti-persona e incendi di interi villaggi.

Questa campagna si colloca nel contesto del regime di apartheid imposto dalle autorità da lungo tempo nei confronti dei rohingya.

Le immagini satellitari commissionate da Amnesty International hanno rivelato che nel villaggio di Inn Din solo le abitazioni dei rohingya sono state distrutte dalle fiamme mentre le altre sono state lasciate intatte.

In un nostro rapporto dell’ottobre 2017 sono state pubblicate numerose testimonianze di rohingya di Inn Din che hanno raccontato come, alla fine di agosto, militari e gruppi di vigilantes abbiano fatto irruzione nel villaggio saccheggiando e incendiando abitazioni e uccidendo i rohingya in fuga, soprattutto uomini.

La fuga in Bangladesh: rinviare i rohingya in Myanmar tanto illegale quanto prematuro

Di pochi giorni fa anche l’annuncio del ministero degli Esteri del Bangladesh di voler rimpatriare tutti i rifugiati rohingya entro due anni.

Myanmar e Bangladesh hanno stabilito che i rimpatri inizieranno il 23 gennaio 2018.

I rohingya hanno il pieno diritto di tornare e risiedere in Myanmar – ha commentato con una dichiarazione ufficiale il direttore Gomez – ma non dev’esserci fretta nel farli rientrare in un sistema di apartheid. Ogni ritorno forzato costituirebbe una violazione del diritto internazionale. I rifugiati rohingya hanno diritto a continuare a chiedere asilo in Bangladesh e il governo dovrebbe esplorare tutte le opzioni possibili per garantire loro una costante protezione internazionale. Non sarà possibile alcun ritorno in condizioni di sicurezza e dignità se in Myanmar non avverranno cambiamenti fondamentali, tra cui l’assunzione di responsabilità per i crimini contro l’umanità e la fine del sistema di apartheid.