Rapporto pena di morte: 657 le esecuzioni nel mondo nel 2019

21 Aprile 2020

Tempo di lettura stimato: 2'

Approfondimento a cura del Coordinamento tematico sulla pena di morte. Per restare aggiornato iscriviti alla newsletter. Per consultare i numeri precedenti clicca qui.

Diminuiscono le esecuzioni documentate, il 5% in meno rispetto al 2018, confermando una riduzione in corso negli ultimi anni, e tre stati – Iran, Arabia Saudita e Iraq – sono responsabili dell’81% delle sentenze capitali. È quanto emerge dal Rapporto 2019 sulla pena di morte di Amnesty International.

Sono state almeno 657 le esecuzioni nel mondo lo scorso anno e oltre 2300 le condanne a morte comminate, valori che non includono la Cina dove i dati sulla pena capitale continuano a essere classificati come segreto di stato. Se l’Iran è, escludendo la Cina, il paese con il numero più alto di esecuzioni (almeno 251), a destare maggiore attenzione è l’Arabia Saudita che con 184 persone messe a morte tocca il valore più alto mai registrato da Amnesty International, in un anno, nel paese.

Tra le tendenze più incoraggianti, il calo, per la prima volta dal 2011, del numero di paesi esecutori nella regione Asia e Pacifico con Giappone e Singapore che hanno ridotto drasticamente il numero di persone messe a morte, l’annuncio da parte del Presidente della Guinea Equatoriale della presentazione di un progetto di legge per l’abolizione della pena capitale, l’eliminazione della pena di morte con mandato obbligatorio nelle Barbados.

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Altre notizie

BielorussiaViktar Skrundzik, 29 anni, è stato condannato a morte lo scorso 6 marzo dal Tribunale regionale di Minsk al termine di un processo tenutosi nella città di Sluck. È quanto riporta il Viasna Human Rights Center, un’organizzazione per i diritti umani. L’uomo è stato dichiarato colpevole di aver ucciso due persone anziane nel gennaio 2019. È la terza sentenza capitale del 2020 in Bielorussia dopo le condanne a gennaio di due fratelli, Stanislau e Illia Kostseu. Secondo gli attivisti della pena capitale, cinque persone sono attualmente detenute nel braccio della morte nella prigione n. 1 a Minsk. Due di loro, Viktar Paulau e Viktar Serhel, hanno perso i loro appelli alla Corte suprema e sono a rischio di esecuzione imminente.

Giappone – Il Tribunale di Yokohama ha condannato a morte lo scorso 16 marzo Satoshi Uematsu, 30 anni. L’uomo nel 2016 uccise a coltellate 19 pazienti affetti da handicap mentali in un centro di assistenza sanitaria a Sagamihara, nella periferia di Tokyo. Il caso ha suscitato molto clamore in Giappone dove crimini violenti ed efferati sono piuttosto rari. Alcuni mesi prima del gesto, Uematsu aveva scritto al Parlamento chiedendo il permesso di uccidere 470 persone gravemente disabili, sostenendo che il Giappone dovrebbe diventare un paese dove i disabili vengono eliminati per eutanasia, dato che essi “producono soltanto infelicità” e non c’è “nessun bisogno” che vivano. Per questo motivo, gli avvocati hanno puntato sull’infermità mentale, legata all’utilizzo prolungato di marjuana. Il tribunale però ha dato ragione all’accusa, secondo cui l’uomo era in pieno possesso delle proprie facoltà.

Caraibi – L’organizzazione The Death Penalty Project ha pubblicato il 7 aprile il rapporto “Condannato a morte senza esecuzione: perché la pena capitale non è stata ancora abolita nei Caraibi orientali e nelle Barbados“. In questi paesi, spiega la ricerca, la pena di morte pur prevista non viene applicata da molti anni ormai: l’ultima esecuzione nella regione è stata praticata a St Kitts e Nevis nel 2008. Nessuno è stato messo a morte negli altri Paesi negli ultimi 20 anni e in Dominica, Grenada, St. Lucia e Barbados da più di 30 anni. Nove dei 12 Paesi del Commonwealth dei Caraibi non hanno nessuno, o solo un prigioniero, nel braccio della morte. Il rapporto fa luce sul perché questi Paesi mantengano la pena capitale e quali siano le barriere e gli ostacoli alla sua completa abolizione.

IranAlmeno 280 persone sono state messe a morte nel 2019, 7 in più rispetto al 2018, ma solo il 30% delle esecuzioni sono state annunciate da fonti ufficiali. L’80% delle persone uccise erano state accusate di omicidio; almeno 4 i minorenni uccisi, 15 le donne. Sono alcuni dati che emergono dal 12° rapporto annuale sulla pena di morte di Iran Human Rights (IHR) e Ensemble Contre la Peine de Mort (ECPM). Il rapporto analizza e valuta l’andamento della pena capitale in Iran, la tendenza rispetto agli anni precedenti, il quadro legislativo e procedurale, i capi d’imputazione, la distribuzione geografica e la ripartizione mensile delle esecuzioni. Include anche una lista delle donne e dei minorenni messi a morte. Il rapporto registra il significativo calo delle esecuzioni negli ultimi due anni: nel 2017 furono 517 le persone messe a morte. Un calo dovuto principalmente a seguito di modifiche nella legislazione anti-droga: lo scorso anno sono stati 30 i condannati messi a morte per accuse legate alla droga rispetto alle medie annue di 360 tra il 2010 e il 2017.

Yemen – Un tribunale presieduto dai ribelli huthi ha condannato a morte per spionaggio quattro giornalisti: Abdel-Khaleq Amran, Akram al-Walidi, Hareth Hamid e Tawfiq al-Mansouri. I quattro fanno parte di un gruppo di dieci giornalisti, arrestati a giugno 2015 dai ribelli appoggiati dall’Iran e accusati di collaborare con la Coalizione guidata dai sauditi in guerra con gli huthi dal 2015. Accuse “inventate”, secondo Amnesty International, che lo scorso anno aveva denunciato il regime di maltrattamenti a cui i quattro giornalisti erano sottoposti. Il tribunale aveva già condannato gli altri sei giornalisti con accuse simili, tra cui “diffondere notizie e voci false” per aiutare la coalizione, ma ne ha ordinato il rilascio dopo che hanno ultimato di scontare la pena. Durante il processo non è stato consentito l’accesso agli avvocati della difesa.

Brevi dal mondo

6 marzo – Nathaniel Woods, 43 anni, condannato alla pena capitale per l’uccisione di tre agenti nel 2004, è stato messo a morte in Alabama con iniezione letale. La governatrice Kay Yvey si è rifiutata di fermare l’esecuzione e la Corte Suprema ha negato la sospensione dopo uno stop temporaneo. Woods si era sempre dichiarato innocente. Il verdetto di colpevolezza era stato espresso nel 2015 da 10 giurati su 12: l’Alabama è l’unico stato degli Usa che non richiede un verdetto unanime per imporre la pena di morte. Nulla è valsa la mobilitazione civile, a cui si era unita anche la celebrità Kim Kardashian, per impedire la controversa esecuzione di un condannato “forse innocente”.

28 marzo – Moabi Seabelo Mabiletsa, 33 anni, e Matshidiso Tshid Boikanyo, 39 anni, sono stati messi a morte attraverso il metodo dell’impiccagione nella Prigione Centrale di Gaborone, in Botswana. I due erano stati condannati nel 2017 per l’omicidio di Vincent Mopipi, un tassista, commesso nel 13 settembre 2013. Lo scorso 8 febbraio, la Corte d’appello aveva confermato le loro condanne. Salgono così a quattro le esecuzioni nel paese da quando il presidente Mokgweetsi Masisi è stato eletto lo scorso ottobre.

31 marzo – Sei uomini sono stati messi a morte in Somalia dai miliziani di Al-Shabaab. Erano uomini accusati di spionaggio per conto delle agenzie di intelligence somale, degli Stati Uniti e del Kenya. Le esecuzioni hanno avuto luogo nella città di Buale, una roccaforte di Al-Shabaab nella regione semi-autonoma del Jubaland.

2 aprile – La Corte di appello di Karachi, in Pakistan, ha annullato la condanna a morte di Ahmed Omar Saeed Sheikh, il cittadino britannico condannato alla pena capitale per il rapimento e l’uccisione del giornalista americano Daniel Pearl, avvenuta nel 2002. L’avvocato difensore di Sheikh ha dichiarato che la condanna di Sheikh è stata ridotta a sette anni di carcere e dovrebbe essere rimesso in libertà, giacchè ha già trascorso più di sette anni in prigione. Il tribunale non ha comunque ancora deciso in merito. Pearl venne rapito il 23 gennaio del 2002 da un gruppo jihadista che si definiva National Movement for the Restoration of Pakistani Sovereignty, e decapitato nove giorni dopo.

Buone notizie

Egitto – Ammar el-Sudany, Belal Hasnein, Mohamed Badr e Abdullah Moniem a rischio pena di morte sono stati assolti il 9 marzo da un tribunale militare del Cairo, dopo un processo durato quasi due anni. I quattro erano stati arrestati nel 2016 quando erano ancora minorenni con l’accusa di appartenere a una formazione terrorista denominata “Hasm”, che reclutava giovani per compiere attentati contro le forze di sicurezza. El-Sudany, uno dei quattro minorenni, era stato arrestato il giorno dopo l’arresto del padre, sospettato di simpatie per l’ex presidente Morsi. Aveva denunciato di essere stato torturato di fronte al genitore anche con l’applicazione di scariche elettriche sui genitali. I quattro rischiavano di essere condannati a morte.

Kenya – Il giudice dell’Alta Corte Erick Ogola ha stabilito il 31 marzo 2020 la commutazione in pene detentive delle condanne a morte di 23 detenuti della Prigione di Massima Sicurezza di Shimo La Tewa, nella contea keniana di Kilifi. Il giudice ha applicato una sentenza della Corte Suprema del 2017 che stabilisce l’incostituzionalità della sezione 204 del codice penale sulla condanna a morte obbligatoria. I detenuti nel braccio della morte avevano presentato una petizione all’Alta Corte affinché le loro sentenze fossero riviste dopo la storica sentenza della Corte Suprema.

Singapore – Il 4 aprile 2020 la Corte d’appello ha assolto Muhammad Nabil Mohd Fuad dai due reati di traffico di droga per i quali era stato condannato a morte nel 2018, commutando la condanna a otto anni di carcere per possesso di stupefacenti.

Zimbabwe – Il 26 marzo 2020 il presidente Emmerson Mnangagwa, nell’ambito di un provvedimento complessivo di clemenza per decongestionare le carceri, ha commutato in ergastolo la condanna a morte di chi ha trascorso almeno 10 anni in attesa dell’esecuzione, stabilendo contestualmente il rilascio di tutti gli ergastolani che abbiano già trascorso 25 anni in carcere. Per gli ex condannati alla pena capitale varranno anche gli anni trascorsi nel braccio della morte.

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