Cop28: conclusioni e considerazioni

19 Dicembre 2023

GIUSEPPE CACACE/AFP via Getty Images

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La Cop28 di Dubai si è conclusa dopo 14 giorni con un accordo che riconosce per la prima volta la necessità di una transizione dai combustibili fossili. Alcuni considerano tale accordo “storico”, altri “un certificato di morte”.

Ecco cosa c’è da sapere, secondo Amnesty International.

Cos’è successo alla Cop28 e cosa significa effettivamente il riferimento ai combustibili fossili?

La decisione principale da prendere alla Cop28, che ha coinvolto quasi 200 paesi, riguardava il Global Stocktake, un processo quinquennale di valutazione dei progressi degli stati verso il rispetto degli impegni presi nell’Accordo di Parigi del 2015.

Nel corso del Global Stocktake alla Cop28, i paesi hanno convenuto di “allontanarsi dai combustibili fossili nei sistemi energetici”. Questo chiaro richiamo ai combustibili fossili, con un’associazione diretta alla crisi climatica, costituisce una novità nel contesto delle trattative climatiche a livello mondiale. Si tratta di un segnale che, seppur debole e distante da una rapida, equa, completa e finanziata eliminazione dei combustibili fossili, riflette decenni di campagne portate avanti dalla società civile per sottolineare i danni e i pericoli che rappresentano per i diritti umani.

Questo accordo, chiamato “Il consenso degli Emirati Arabi Uniti” è stato qualificato dalla presidenza della Cop28 come un passo “storico”, ma persiste un considerevole divario tra le sue ambizioni e la concretizzazione di una giustizia climatica, in quanto presenta alcune lacune per l’industria dei combustibili fossili e perché gli impegni finanziari formulati al vertice risultano estremamente carenti.

Il testo conclusivo del Global Stocktake concede all’industria dei combustibili fossili una notevole libertà di proseguire nelle usuali attività, che comportano inquinamento, accaparramento di terreni, danni climatici, degrado ambientale e violazioni dei diritti umani. La lobby dei combustibili fossili ha accolto positivamente l’invito ad accelerare le tecnologie di mitigazione climatica, come la cattura e lo stoccaggio e i metodi di rimozione del carbonio, nonostante queste siano rischiose e non abbiano una validazione completa e non siano sufficientemente scalabili per conseguire una riduzione delle emissioni necessaria.

La transizione dai combustibili fossili riguarda esclusivamente i “sistemi energetici”, senza coinvolgere il loro utilizzo in plastica, trasporti o agricoltura. È stato detto che i “combustibili di transizione possono svolgere un ruolo nel facilitare la transizione energetica garantendo al contempo la sicurezza energetica”, un modo velato per fare riferimento al gas fossile. L’impegno a triplicare la capacità di energia rinnovabile entro il 2030 rappresenta un passo in avanti. Tuttavia, è fondamentale che tutti i progetti di energie rinnovabili rispettino i diritti umani e apportino benefici alle comunità locali.

Sul fronte dei finanziamenti, i 188 milioni di dollari investiti per aiutare i paesi che ne hanno più bisogno ad andare incontro all’emergenza climatica, poco più della metà dell’obiettivo di 300 milioni di dollari, sono insufficienti specialmente se si considera il fatto che molte isole stanno subendo una crisi totale e i diritti di miliardi di persone, spesso in comunità marginalizzate, sono sotto attacco.

La finestra di tempo a disposizione per evitare gli impatti più gravi del cambiamento climatico è estremamente limitata, ma, nonostante ciò, rimane aperta la possibilità di compiere progressi significativi.

©Ala Zemzmi

L’accordo sul Fondo per le perdite e i danni è una buona notizia. Corretto?

Per decenni sono state condotte campagne affinché venisse costituito un fondo in grado di finanziare rimedi efficaci per tutte quelle comunità colpite dalle inevitabili conseguenze del cambiamento climatico, così che fossero in grado di ricostruire le proprie vite. Da quando, durante la Cop27, si è finalmente deciso di creare questo Fondo per le perdite e i danni, l’ultimo anno è stato dedicato alle negoziazioni su come questo avrebbe dovuto essere gestito e finanziato.

Durante la Cop28 è stato risolto questo problema, ma i finanziamenti finora promessi solo da alcuni paesi, sono del tutto insufficienti per rendere il Fondo operativo. Sono necessari miliardi di dollari, contro i pochi milioni promessi. Basandoci sul principio del “chi inquina paga”, che stabilisce che i maggiori emettitori di gas serra debbano riparare ai danni climatici che hanno causato, abbiamo sollecitato tutti i paesi più sviluppati e altri che possono permettersi di farlo, compresi gli stati più ricchi, produttori di combustibili fossili, a incrementare in modo significativo i loro contributi finanziari.

Gli Stati Uniti, tra i maggiori emettitori a livello storico di gas serra, hanno investito solo 17,5 milioni di dollari. Sussistono dubbi su come la Banca Mondiale, cui è stato chiesto di gestire il Fondo, lo amministrerà. Chiediamo che venga adottato un approccio in linea con il rispetto dei diritti umani, che garantisca una partecipazione efficace delle comunità interessate e della società civile nel funzionamento del Fondo e nelle decisioni finanziarie. Vogliamo che le comunità interessate abbiano un accesso diretto ai finanziamenti e che l’aiuto venga dato sotto forma di sovvenzioni e non prestiti, così da evitare un incremento del debito da parte proprio dei paesi in via di sviluppo.

Gli Emirati Arabi Uniti sono stati un degno paese ospitante per la Cop28?

Gli Emirati Arabi Uniti, uno stato autoritario e estremamente repressivo che continua ad espandere la propria produzione di combustibili fossili, sono sempre stati un candidato improbabile per ospitare un vertice inclusivo per la protezione del clima mondiale e dei diritti umani. E così è stato. Gli sforzi degli interessi aziendali volti a influenzare la Cop, sono stati accentuati sia dalla scelta degli Emirati Arabi Uniti di nominare Sultan Al Jaber, il capo della compagnia petrolifera di stato Adnoc, come presidente della Conferenza, sia dalla presenza significativa di lobbisti e dirigenti dell’industria dei combustibili fossili. Il cinismo degli Emirati Arabi Uniti è stato evidenziato dall’incontro riservato al presidente russo Putin per colloqui ad Abu Dhabi durante il vertice, motivato in parte dalla discussione sulle esportazioni di petrolio.

All’interno della Zona blu, l’area della Cop28 controllata dalle Nazioni Unite, i limiti imposti alla società civile sono stati inusualmente restrittivi e di impedimento per una partecipazione significativa di tutte le parti interessate. Gli attivisti sono stati filmati e monitorati in un clima intimidatorio. Gli Emirati Arabi Uniti hanno applicato restrizioni sui diritti di libertà di espressione e di assemblea pacifica, con conseguente criminalizzazione di qualsiasi forma di critica alle autorità.

Gli Emirati Arabi Uniti avrebbero dovuto usare i riflettori della Cop per dimostrare di essere pronti a voltare pagina e ascoltare la nostra richiesta di liberazione di dozzine di dissidenti ingiustamente imprigionati, alcuni da più di dieci anni. Al contrario, le autorità emiratine hanno avviato, proprio durante la Cop, un processo di massa nei confronti di più di 80 persone, cercato di estendere le condanne di decine di persone ingiustamente in carcere, inclusi molti prigionieri di coscienza, perseguendoli con una serie di accuse inventate di “terrorismo”. Tra questi, il difensore dei diritti umani Ahmed Mansoor, in carcere dal 2017.

Ahmed Mansoor difensore dei diritti umani

A che punto siamo in termini di surriscaldamento globale e diritti umani?

Il testo finale della Cop si inserisce in un piano, concordato a Parigi nel 2015, che cerca di limitare il riscaldamento globale di questo secolo a 1,5°C sopra i livelli preindustriali al fine di evitare un peggioramento degli effetti del cambiamento climatico.

Tuttavia, l’accordo raggiunto non chiarisce specificamente come questo verrà reso possibile. Stabilisce scadenze e obiettivi per la riduzione delle emissioni, ma non specifica come, se non in termini vaghi. Il Global Stocktake dovrebbe fornire a tutti i paesi le linee guida per rivedere e controllare i propri obiettivi e percorsi individuali, noti come Contributi determinati a livello nazionale, che devono essere presentati tra fine 2024 e inizio 2025, prima della Cop30 di Belém, in Brasile.

Il Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici afferma che, anche se venissero pienamente attuali, gli attuali Contributi non sarebbero sufficienti per contenere l’aumento entro 1,5°C. Se continuassimo come stiamo facendo, senza apportare nessun cambiamento, ci sarà un aumento di 2,9°C entro il 2100.

Attualmente si registra una temperatura superiore di circa 1,4°C, quindi il margine di sicurezza di 1,5°C è praticamente al limite e i gas serra nell’atmosfera hanno concentrazioni mai registrate in precedenza e continuano ad aumentare rapidamente.

Sappiamo bene che il surriscaldamento globale comporta eventi meteorologici estremi, tra cui tempeste sempre più forti e frequenti, intensificando sia la siccità che le precipitazioni, aumentando la frequenza e la gravità degli incendi boschivi, oltre a eventi a insorgenza lenta come l’innalzamento del livello del mare e il disgelo dei ghiacciai, che minacciano comunità in tutto il mondo. Alcuni stati insulari del Pacifico, che rischiano di essere sommersi da mari in aumento, da mareggiate, dall’erosione costiera o dalla salinizzazione del terreno, hanno descritto l’esito della Cop28 come un “certificato di morte”.

L’aumento dell’inquinamento atmosferico derivante dalla combustione di combustibili fossili sta avendo conseguenze disastrose sulla salute umana e sta violando il diritto universale delle persone a un ambiente pulito, sano e sostenibile. I delegati che hanno respirato nebbia tossica a Dubai se ne sarebbero dovuti rendere conto.

Oltre a mettere a rischio vite e distruggere infrastrutture, il cambiamento climatico danneggia la biodiversità e gli ecosistemi da cui gli esseri umani dipendono, colpendo in modo sproporzionato le popolazioni indigene. Le colture sono a rischio, così come l’accesso a cibo e acqua, con un intensificarsi della competizione per le risorse e un aumento di conflitti, spostamenti e migrazioni. Sono in gioco i diritti umani di miliardi di persone.

Dove si terrà la Cop del prossimo anno e cosa significa?

Dopo mesi di intense discussioni, l’Azerbaigian, un altro paese autoritario ricco di petrolio con un terribile passato di repressione della libertà di espressione, associazione e assemblea pacifica, è destinato ad ospitare la Cop29.

I proventi dei combustibili fossili rappresentano circa la metà dell’economia azera e la stragrande maggioranza dei suoi introiti da esportazione. La società integrata di petrolio e gas di proprietà statale SOCAR è una fonte primaria di entrate per il governo del presidente Aliyev, che ha praticamente stroncato ogni opposizione attraverso arresti arbitrari, torture, e la continua persecuzione di giornalisti e della società civile.

Ci sono alte probabilità che la Cop29 vada a soddisfare gli interessi del governo ospitante e dell’industria dei combustibili fossili, a discapito di un vertice inclusivo, con la partecipazione significativa dei popoli indigeni, dei gruppi emarginati, degli attivisti climatici e dei difensori e le difensore dei diritti umani, volto a tutelare i diritti di miliardi di persone minacciate dal cambiamento climatico.

È giunto il momento di garantire che i diritti umani siano al centro degli incontri organizzati dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfcc) – così come le parti hanno concordato che dovrebbe essere. Amnesty International chiede che vengano resi pubblici gli Accordi con il paese ospitante, affinché quest’ultimo si impegni nel rispetto e nella protezione dei diritti umani. L’Unfcc deve anche sviluppare una politica di conflitto di interessi chiara e un solido sistema di responsabilità per assicurare che le aziende dei combustibili fossili non possano indebitamente influenzare gli esiti e ostacolare la transizione giusta ed equa verso le energie rinnovabili, un cambiamento di cui c’è un urgente bisogno.