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Una ciocca di capelli fuori dal velo, il fanatismo della polizia morale, le violenze, la morte, la nascita di una rivolta. Tra il 13 e il 16 settembre del 2022, a seguito della morte nelle mani della polizia di Mahsa/Zhina Amini, una sequenza di eventi ha cambiato, forse per sempre, il volto dell’Iran.
Lo slogan “Donna, vita, libertà” è stato gridato nelle strade di tutto l’Iran, nelle aule scolastiche, nei luoghi di lavoro. Donne e uomini hanno manifestato fianco a fianco per reclamare i propri diritti.
La risposta delle autorità è stata feroce: abbiamo raccolto le prove di centinaia di uccisioni illegali, decine di migliaia di arresti arbitrari, torture, stupri delle detenute, intimidazioni nei confronti delle famiglie delle vittime della repressione. Sette manifestanti sono stati impiccati al termine di processi irregolari.
Nonostante i rischi, in Iran si continua a protestare e in tutto il mondo è grande il sostegno alla popolazione.
Le autorità iraniane hanno commesso una sequela di crimini di diritto internazionale per stroncare ogni minaccia al loro potere, ma l’impunità è stata sistematica. Non c’è stata una sola indagine per i crimini commessi durante e dopo la rivolta.
Nonostante mesi di proteste contro il velo obbligatorio, le autorità non solo non hanno accolto le richieste di cambiamento, ma hanno addirittura ripristinato le operazioni di politiche in nome della “morale” e introdotto una serie di altre misure che privano dei loro diritti le donne e le ragazze.
Questi nuovi provvedimenti discriminatori comprendono il sequestro delle automobili, il divieto di accesso al lavoro, all’istruzione, alle cure mediche, ai servizi bancari e ai trasporti pubblici per le donne che non indossano il velo.
La persecuzione si rafforza nelle aule di tribunale dove le donne sono continuamente messe sotto processo e condannate al carcere, a pagare delle multe e a sottoporsi a punizioni degradanti come ad esempio lavare i cadaveri.
L’attacco ai diritti delle donne sta avendo luogo in un contesto di discorsi d’odio da parte delle autorità, che descrivono la lotta contro il velo come “un virus”, “una malattia sociale” o “un disordine” e che equiparano la scelta di non indossare il velo alla “depravazione sessuale”.
Nell’ultimo anno la pena di morte è stata usata sempre di più come strumento di repressione politica per instillare paura nella popolazione: sette manifestanti sono stati impiccati al termine di processi vergognosamente irregolari. Decine di persone restano a rischio di essere condannate a morte in relazione alle proteste.
Tra settembre e dicembre del 2022, le forze di sicurezza hanno scatenato una brutale repressione di tipo militare, uccidendo illegalmente centinaia di manifestanti e persone che assistevano alle proteste, compresi decine di minorenni. Oltre la metà delle persone uccise apparteneva alle oppresse minoranze etniche dei baluci e dei curdi.
Le autorità non hanno chiamato a rispondere alcun responsabile di questi crimini e hanno raccontato clamorose menzogne al pubblico e alla comunità internazionale, gettando fango su chi protestava e facendo passare le loro uccisioni come “suicidi” o “incidenti”. Parallelamente, hanno aggravato la sofferenza delle famiglie delle vittime attraverso incessanti minacce e intimidazioni.
Le forze di sicurezza hanno illegalmente sparato proiettili veri e pallottole di metallo per disperdere e terrorizzare le persone che manifestavano, causando ferite equivalenti a tortura quali la perdita della vista o degli arti e la riduzione della mobilità. Migliaia di manifestanti, minorenni inclusi, sono stati poi torturati in carcere.
Molte delle persone sopravvissute alla tortura stanno ancora subendo le conseguenze fisiche di lungo periodo e affrontando i traumi psicologici.
Durante la rivolta e nei mesi successivi, sono state arrestate decine di migliaia di donne e uomini, anche minorenni, tra i quali manifestanti, difensori dei diritti umani e attivisti per i diritti umani delle minoranze. Tra le persone finite in carcere ci sono almeno 90 tra giornalisti e altri operatori dell’informazione e 60 avvocati, compresi quelli che rappresentavano le famiglie dei manifestanti uccisi. Decine di altri avvocati sono stati convocati per interrogatori.
Alla vigilia dell’anniversario della rivolta, le autorità hanno intensificato la campagna di arresti arbitrari, anche ai danni dei familiari dei manifestanti uccisi, e hanno costretto migliaia di studenti universitari a firmare dichiarazioni contenenti l’impegno a non partecipare alle proteste di questi giorni.
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Amnesty International ha apprezzato la decisione, assunta nel novembre 2022 dal Consiglio Onu dei diritti umani, d’istituire una Commissione di accertamento dei fatti sull’Iran, ma c’è ancora molto da fare per combattere la crisi dell’impunità e impedire ulteriori bagni di sangue.
Chiediamo alla comunità internazionale di esercitare la giurisdizione universale e altre forme di giustizia extraterritoriale in relazione ai crimini di diritto internazionale e ad altre gravi violazioni dei diritti umani commesse dalle autorità iraniane, a prescindere dall’assenza o dalla presenza degli accusati nel loro territorio.
È necessario avviare indagini, dotate di risorse adeguate, per scoprire la verità su tali crimini, identificarne i presunti responsabili comprese le persone con ruoli di comando ed emettere, ove vi siano prove sufficienti, mandati d’arresto internazionale. Gli stati dovrebbero anche contribuire a far sì che le vittime ottengano riparazioni.
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A un anno dall’inizio della rivolta “Donna Vita Libertà” in Iran sono state oltre 40 le iniziative di solidarietà che si sono tenute in tutta Italia.