“Lo sport ha il potere di cambiare il mondo”, Nelson Mandela 2000
I diritti umani hanno un ruolo vitale da svolgere nello sport che viene troppo spesso trascurato. Dalla lotta contro il razzismo, il sessismo e l’omofobia alla difesa dei diritti dei lavoratori che costruiscono stadi, lo sport e i diritti umani sono intrinsecamente legati.
Negli ultimi anni i mega-eventi sportivi sono diventati una buona occasione per parlare di violazioni dei diritti umani nel mondo. Dall’inizio del secolo scorso, abbiamo pubblicato decine di rapporti, tenuto conferenze, organizzato dimostrazioni, raccolto testimonianze di celebrità e esercitato pressioni su governi, Nazioni Unite (ONU) e importanti organizzazioni sportive, il tutto in nome del miglioramento dei risultati sui diritti umani in occasione di mega-eventi sportivi. Queste campagne su larga scala hanno aiutato ad aprire gli occhi a molte persone sulle violazioni dei diritti umani nel mondo. Ma le sfide sono numerose e noi non possiamo fermarci. La gara è appena iniziata.
Continueremo ad occuparci di importanti eventi sportivi come le Olimpiadi e ai campionati mondiali di calcio per aumentare la consapevolezza delle violazioni dei diritti umani nei paesi ospitanti, nei paesi partecipanti o degli sponsor dell’evento perché lo sportwashing non salverà i diritti umani.
Lo sportwashing è una strategia usata da stati o governi che sfruttano lo sport per rendere moderna la propria immagine e far distogliere lo sguardo dalla pessima situazione dei diritti umani nel proprio paese. Può avvenire tramite l’acquisto di squadre sportive, organizzazione di eventi o sponsorizzazione degli stessi.
Tramite queste operazioni di soft power, nel corso del tempo gli stati si sono dimostrati spesso capaci di proiettare all’esterno un’immagine più democratica, aperta e attenta ai diritti umani rispetto alla realtà.
Praticata principalmente dalle monarchie del Golfo persico e anche da stati esterni all’area come l’Azerbaigian, la strategia di sportwashing prende piede a cavallo tra lo scorso e l’attuale decennio.
In quel periodo, sulle maglie di importanti squadre di calcio sono comparsi sponsor, magnati arabi hanno acquisito quote azionarie, diversi stadi hanno assunto denominazioni di aziende dell’area così come team di sport di gruppo come il ciclismo.
Ingerenza aumentata nel corso del tempo: gli stati del Golfo hanno iniziato infatti a ospitare e organizzare eventi sportivi internazionali, come il Qatar, che ospiterà i mondiali di calcio nel 2022.
Sono molti i paesi che organizzano eventi sportivi per ripulire la propria coscienza, come il Bahrein, gli Emirati Arabi Uniti e lo stesso Qatar, ormai tappe fisse dei calendari delle gare di automobilismo e motociclismo.
Due le ragioni principali: da una parte il grande potere economico che solitamente questi stati detengono per l’organizzazione di eventi così importanti; dall’altra l’idea, antica quanto diffusa, che “lo sport non deve mescolarsi con la politica”, come ha sostenuto Bernie Eccleston, imprenditore che ha reso la Formula 1 la gara che conosciamo oggi. Un’idea che ha origini ben più lontane e sopravvive sin dai tempi della finale di Coppa Davis tra Italia e Cile del 1973.
Lo sportwashing ha poi un pubblico specifico: quello delle persone appassionate e tifose, non necessariamente sensibili e informate sulla questione, a volte persino infastidite dalle “interferenze” nella fruizione di uno spettacolo sportivo.
CAMPAGNA SULLE OLIMPIADI E PARALIMPIADI INVERNALI DEL 2022 A PECHINO
A febbraio e marzo 2022, a Pechino, in Cina, si svolgeranno i Giochi olimpici e paralimpici invernali. Sarà la seconda volta nella storia che le Olimpiadi si svolgono in Cina. La prima volta è stata nel 2008, quando la Cina ha ospitato i Giochi olimpici e paralimpici estivi. Le autorità cinesi promisero in quel momento che le Olimpiadi sarebbero state accompagnate da miglioramenti dei diritti umani nel paese. Ma non è successo. In effetti, la situazione dei diritti umani è peggiorata e ha continuato a peggiorare drasticamente negli ultimi dieci anni, soprattutto da quando Xi Jinping è diventato presidente nel 2013.
Con l’organizzazione dei Giochi olimpici e paralimpici invernali del 2022, il governo cinese mira a mostrare come la Cina è cresciuta rispetto ai Giochi estivi del 2008. Vuole mettere in evidenza lo status di superpotenza della Cina e distogliere l’attenzione dalla sua pessima situazione dei diritti umani. La Cina sta usando le Olimpiadi per cercare di migliorare la sua immagine globale, sfruttando il fascino, il prestigio e l’interesse pubblico dello sport per sorvolare sul suo deplorevole record negativo nei diritti umani.
IL DIRITTO ALLA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE IN CINA
Tra le numerose violazioni dei diritti umani commesse dalle autorità cinesi, le loro sistematiche violazioni del diritto alla libertà di espressione richiedono un’attenzione specifica alle Olimpiadi del 2022. Il governo cinese nello stesso momento in cui si prepara ad ospitare un mega evento sportivo che mira a celebrare lo scambio internazionale e la comprensione reciproca, implementa un immenso sistema di censura e controllo su ciò che le persone possono dire e vedere. Il governo cinese sta esercitando un controllo sempre più stretto su ciò che la società civile cinese può vedere del mondo e su ciò che può dire al riguardo. Gestisce un regime di censura di internet estremo, bloccando migliaia di siti web e servizi di social media. I giornalisti e le giornaliste cinesi operano sotto stretta censura, i messaggi ritenuti troppo critici nei confronti del governo vengono rapidamente rimossi da un esercito di censori e le voci del dissenso devono affrontare dure punizioni. Le comunità che sono state più duramente prese di mira includono, tra gli altri, citizen journalists, personale accademico, avvocati e avvocate per i diritti umani, attiviste e difensori dei diritti umani, minoranze etniche e religiose. Le avanzate tecnologie di sorveglianza digitale sono diventate una caratteristica centrale dell’apparato statale cinese in ogni parte del Paese. Dalle megalopoli ai piccoli villaggi, online e offline, le persone in Cina sono tenute sotto sorveglianza continua.
CINQUE CAMPIONI
In occasione delle Olimpiadi invernali, invitiamo il mondo a celebrare cinque persone che sono state arrestate o altrimenti detenute oppure scomparse per aver esercitato il loro diritto umano alla libertà di espressione. Queste persone appartengono a comunità che sono state duramente prese di mira nel continuo assalto del governo cinese alla libertà di espressione e ai relativi diritti umani. Semplicemente esprimendosi pacificamente e rifiutandosi di cedere alla repressione, hanno dimostrato un coraggio a livello olimpico. Il loro rilascio immediato è importante come primo passo pubblico affinché il governo cinese mostri adeguatamente il suo sincero impegno per una migliore protezione dei diritti umani di tutte le persone in Cina, in linea con gli standard internazionali sui diritti umani e la Carta olimpica. Esortiamo le autorità cinesi a rilasciare queste cinque persone senza indugio e invitiamo la comunità internazionale a chiederne il rilascio immediato:
Secondo le leggi e gli standard internazionali sui diritti umani, nessuno dovrebbe essere detenuto esclusivamente per aver esercitato il proprio diritto alla libertà di espressione o qualsiasi altro diritto umano. Alle Olimpiadi invernali di Pechino 2022, la comunità internazionale dovrebbe insistere affinché il governo cinese inizi a rispettare gli standard sui diritti umani. La Cina deve liberare immediatamente i cinque e porre fine alle molestie e alle persecuzioni di tutti coloro che esercitano pacificamente i propri diritti.
È il trionfo della strategia dello sportwashing, praticata principalmente dalle monarchie del Golfo persico e anche da paesi esterni all’area come l’Azerbaigian. L’esordio di questa strategia può essere collocato a cavallo tra lo scorso e l’attuale decennio: sulle maglie di importanti squadre di calcio sono comparsi sponsor, magnati sauditi hanno acquisito quote azionarie, diversi stadi hanno assunto denominazioni di aziende dell’area così come team di sport di gruppo come il ciclismo.
L’interessamento dell’Arabia Saudita a eventi sportivi e di intrattenimento è iniziato molti anni fa. Nel 2016, il principe Mohammed bin Salam ordinò all’Autorità generale dello sport di aprire un fondo dedicato alle competizioni sportive. Il fondo serviva per privatizzare le squadre di calcio, promuovere eventi sportivi e aggiungere 40.000 posti di lavoro, nell’ambito del quadro strategico di Vision 2030 per diversificare l’economia saudita.
L’acquisto del Newcastle quindi non è un caso isolato, ma rappresenta l’apice di una strategia ben precisa che vuole far credere alle persone che l’Arabia Saudita sia un paese illuminato e accogliente, in netto contrasto con la realtà dei fatti.
Nel 2019, oltre all’ultima edizione della Supercoppa di serie A, il paese ha ospitato un gran premio automobilistico di Formula E, la rivincita tra Anthony Joshua e Andy Ruiz Jr per il titolo di campione del mondo di pugilato, categoria pesi massimi versioni WBA, IBF, WBO e IBO, la finale tra Fognini e Medvedev della Tennis Cup Diriyah. Nel 2022 si aggiungerà agli eventi sportivi anche il giro ciclistico dell’Arabia Saudita.
L’Arabia Saudita non è, infatti, né un paese illuminato né accogliente, specialmente per quanto riguarda i diritti umani. Questi ultimi in Arabia Saudita, sotto la guida del principe della Corona Mohamed bin Salman, sono stati gravemente compromessi: chi esprime critiche, chi difende i diritti delle donne, chi promuove i diritti umani o perora la causa della minoranza sciita finisce in carcere, spesso a seguito di processi irregolari.
Negli anni, le autorità hanno arbitrariamente arrestato, perseguito e incarcerato i difensori e le difensore dei diritti umani per le loro attività pacifiche di protesta. I tribunali hanno spesso invocato la legge contro i reati informatici per condannare chi criticava il governo, usando come prove tweet o altre espressioni non violente online.
La pandemia ha poi peggiorato la situazione: i lavoratori migranti sono stati ancora più esposti agli abusi e allo sfruttamento e migliaia sono stati arbitrariamente detenuti in condizioni terribili, che hanno causato un numero imprecisato di morti.
Sebbene diminuito, l’uso della pena di morte non si è fermato: nel corso del 2021, i tribunali hanno continuato a imporre condanne a morte e hanno effettuato decine di esecuzioni per un’ampia gamma di reati.
Per maggiori informazioni sulle violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita è possibile consultare il rapporto annuale 2020-2021 di Amnesty International.
Anche il Qatar ha cercato più volte di ripulire la propria immagine tramite lo sportwashing, a partire dalla scelta di ospitare la Coppa del Mondo nel 2022. Così facendo, il Qatar si è posizionato come luogo strategico che ospiterà il più grande evento sportivo al mondo, attirando turisti e tifosi e accelerando significativamente l’economia del paese.
Inoltre, nel mese di ottobre 2021, David Beckham ha deciso di diventare il testimonial dei prossimi mondiali di calcio 2022 in Qatar. Il suo compito sarà quello di promuovere l’immagine del paese in giro per il mondo, ponendo particolare attenzione al turismo e alla cultura.
“Non sorprende che David Beckham voglia essere coinvolto in un evento calcistico così importante, ma lo esortiamo a conoscere la situazione dei diritti umani profondamente preoccupante in Qatar e ad essere pronto a parlarne”, ha affermato Amnesty International UK commentando la notizia.
Anche la situazione dei diritti umani in Qatar è preoccupante, a partire dalla forte limitazione della libertà di espressione che subiscono attivisti e attiviste, fino ad arrivare alla repressione e criminalizzazione delle persone appartenenti alla comunità LGBTI.
Il mondo del calcio si dimostra poi un mondo particolarmente ingiusto: i lavoratori e le lavoratrici migranti nel paese, infatti, continuano a non essere pagati e le autorità non sono riuscite a indagare su migliaia di morti negli ultimi dieci anni nonostante le prove di legami tra morti premature e condizioni di lavoro insicure e ingiuste.
Il Qatar è uno degli stati più ricchi al mondo ma la sua economia dipende da due milioni di lavoratori migranti. Ognuno di loro ha il diritto di essere trattato equamente e di ottenere giustizia e risarcimenti. Il Qatar potrebbe farci assistere a un torneo che tutti potremmo ricordare, se inviasse segnali chiari contro lo sfruttamento, se punisse i datori di lavoro che violano le leggi e se proteggesse i diritti dei lavoratori. Ma così ancora non è.
Amnesty International si è rivolta anche alla Fifa, organizzatrice dei mondiali di calcio del 2022, affinché adempia alle sue responsabilità di identificare, prevenire, mitigare e porre rimedio a rischi per i diritti umani collegati all’evento sportivo. Tra questi rischi, vi sono quelli per i lavoratori dei settori dell’ospitalità e dei trasporti, in forte espansione in vista dell’inizio dei mondiali. La Fifa deve chiedere, in forma privata e pubblica, al governo del Qatar di attuare il suo programma di riforme nel sistema del lavoro prima del calcio d’inizio dei mondiali.