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In occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa Amnesty International ricorda che in ogni parte del mondo le persone che fanno giornalismo indipendente vengono imbavagliate, imprigionate, fatte sparire e uccise solo per aver svolto il loro lavoro.
Dalla Striscia di Gaza all’Afghanistan, dalla Russia agli Usa, dalla Georgia al Guatemala, i governi ricorrono a pratiche autoritarie, usano per proprio tornaconto leggi dai contenuti generici e applicano la forza bruta contro coloro che raccontano, denunciano, svelano la verità e dunque svolgono un ruolo importante nella difesa dei diritti umani.
Solo nel 2024, almeno 124 operatori e operatrici dell’informazione sono stati uccisi. Di questi, i due terzi in seguito agli attacchi israeliani nella Striscia di Gaza. In Pakistan, sempre nel 2024, sono stati assassinati almeno sette giornalisti, soprattutto nella provincia del Belucistan, che Amnesty International ha definito “la tomba del giornalismo”.
Il presidente degli Usa Donald Trump ha intrapreso varie iniziative per limitare la libertà di stampa, scegliendo lui stesso gli organi d’informazione che potessero seguire le attività della Casa Bianca e demonizzando alcuni reporter. Prima di diventare presidente ha denunciato CBS News e Des Moines Register perché avevano pubblicato qualcosa su cui non era d’accordo. Poi ha impedito all’Associated Press di seguire gli eventi alla Casa Bianca, dopo che l’agenzia di stampa aveva deciso di continuare a chiamare Golfo del Messico quello che il presidente aveva ridenominato Golfo dell’America.
Sempre il presidente Trump ha chiuso Radio Free Asia, Radio Free Europe/Radio Liberty, Radio Martì e si è detto d’accordo nel togliere i finanziamenti a emittenti pubbliche come Npr e Pbs.
Dall’agosto 2021, quando sono tornati al potere in Afghanistan, i talebani hanno chiuso molti organi d’informazione. Secondo l’Unama, la Missione delle Nazioni Unite di assistenza in Afghanistan, nel periodo compreso tra agosto 2021 e settembre 2024 336 giornalisti hanno subito arresti arbitrari, torture, minacce e intimidazioni. In diverse province sono state vietate, in quanto contrarie alla legge sulla virtù e sul vizio, le riprese e la messa in onda di “cose viventi”.
Uno dei giornalisti da più tempo in carcere al mondo, in totale 1000 giorni, è in Guatemala e si chiama Rubén Zamora. Il suo “reato”? Aver denunciato la corruzione all’interno del governo. Nella stessa area geografica, il Messico è stabilmente nei primi dieci posti al mondo per numero di giornalisti uccisi.
In Russia organi di stampa indipendenti sono stati criminalizzati con l’etichettatura di soggetti “indesiderabili” e sono ora costretti a lavorare dall’esilio. Lo stesso vale per giornaliste e giornalisti classificati come “agenti stranieri”. Chi non si piega a tutto questo finisce in carcere.
In Bielorussia le giornaliste e i giornalisti in carcere sono oltre 40. In Georgia la polizia ha preso di mira reporter che seguivano le proteste in corso da mesi e uno di loro è attualmente in carcere, falsamente accusato di reati comuni.
Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ha dichiarato:
“Libertà di stampa non significa solo scrivere o dire ciò che si vuole. Significa anche e soprattutto farlo senza subire conseguenze. Per violare la libertà di stampa non è sempre necessario uccidere o imprigionare chi fa informazione: possono bastare le minacce, le azioni legali intimidatorie o un software-spia. Da questo punto di vista, l’Italia non è messa affatto bene”.
In occasione del 3 maggio, Amnesty International Italia ha lanciato la maratona “30 giorni per la libertà di stampa” dedicata quest’anno a Elena Milashina, giornalista russa sotto minaccia; Mohamed Boughalleb, giornalista tunisino accusato ingiustamente di diffamazione; e Carlos Julio Rojas, giornalista venezuelano in carcere solo per aver fatto il suo lavoro.
L’organizzazione per i diritti umani si è anche avvalsa della collaborazione di Dentsu Creative per la realizzazione della campagna “The Power of Truth – Il potere della verità”, che pone l’attenzione sul ruolo fondamentale dei fotoreporter di guerra che rischiano la loro vita per raccontare la verità. La ricerca della verità è un’arma fondamentale per i diritti umani.
“Il giornalismo indipendente, quello che è sempre presente dove si verificano le violazioni dei diritti umani, è un nostro alleato fondamentale” – ha aggiunto Riccardo Noury – “Fa luce su chi vuole agire al buio, contribuisce alla verità e alla giustizia contro l’impunità. Per questo lo difendiamo e lo proteggiamo”.