Tutte le parti in conflitto, che controllano diverse parti dello Yemen, hanno continuato a sottoporre a detenzione arbitraria, sparizione forzata e procedimenti giudiziari ingiusti difensori dei diritti umani, giornalisti, operatori umanitari e per i diritti umani e persone critiche nei confronti delle autorità per la situazione dei diritti umani nel paese e per le politiche. In varie parti dello Yemen, i tribunali hanno emesso condanne a morte, in alcuni casi al termine di procedimenti gravemente iniqui. Tutte le parti in conflitto hanno arbitrariamente limitato la fornitura degli aiuti umanitari. Le autorità de facto huthi hanno continuato a vietare alle donne di viaggiare senza un parente di sesso maschile, compromettendo il loro diritto di lavorare e altri diritti umani. Tutte le parti in conflitto non sono state in grado di proteggere il diritto delle donne alla privacy online e di garantire risarcimenti alle sopravvissute alla violenza di genere facilitata dalle tecnologie digitali. Le persone lgbti hanno continuato a incorrere in procedimenti giudiziari. Tutte le parti in conflitto hanno contribuito al degrado ambientale.
La continuazione de facto del cessate il fuoco sull’intero territorio nazionale mediato dalle Nazioni Unite ha contribuito a un’ulteriore diminuzione dei combattimenti e degli attacchi transfrontalieri. Tuttavia, tutte le parti in conflitto hanno continuato ad attaccare sporadicamente sia aree civili sia linee del fronte, tra cui i governatorati di Ta’iz, Sa’adah e Bayda.
Le forze armate huthi hanno attaccato almeno 57 mercantili e navi militari nel mar Rosso, nel golfo di Aden, e nell’oceano Indiano, sostenendo che avevano legami con Israele, gli Usa o il Regno Unito. Il 6 marzo, le forze armate huthi hanno attaccato la nave mercantile Mv True Confidence nel golfo di Aden, uccidendo tre membri dell’equipaggio e ferendone almeno altri quattro. Hanno continuato a detenere arbitrariamente i 25 membri dell’equipaggio della Galaxy Leader, un cargo che avevano sequestrato il 19 novembre 2023.
Le forze armate statunitensi hanno condotto attacchi navali e aerei, alcuni congiuntamente con le forze britanniche, contro obiettivi huthi, con il dichiarato scopo di degradare le capacità offensive degli huthi di minacciare il commercio e il personale marittimo.
Gli huthi hanno lanciato attacchi con droni e missili contro Israele in almeno 48 occasioni, con il dichiarato obiettivo di sostenere la popolazione palestinese di Gaza. Il 19 luglio, un civile è stato ucciso e altri quattro sono rimasti feriti in un attacco effettuato con droni sulla città israeliana di Tel Aviv. In rappresaglia, il 20 luglio, Israele ha bombardato il porto di Hodeida, di vitale importanza per la fornitura di aiuti umanitari e cibo, e la centrale elettrica di Ras Kathnib, nel governatorato di Hodeida, uccidendo secondo le notizie almeno sei civili e ferendone almeno altre 80. I raid avevano come obiettivo due gru portuali e impianti di stoccaggio di carburante.
Il 29 settembre, Israele ha lanciato raid aerei sui porti di Hodeida e Ras Issa, oltre che sulle centrali elettriche di al-Hali e Ras Kathnib, nel governatorato di Hodeida, uccidendo secondo le notizie cinque civili e ferendone almeno 57.
A dicembre, gli huthi hanno rivendicato 17 attacchi contro Israele. Il 21 dicembre, un attacco missilistico ha colpito un campo da gioco a Jaffa, ferendo 16 civili. Israele ha condotto raid aerei il 19 e il 26 dicembre sui porti del governatorato di Hodeida, sulle centrali elettriche dei governatorati di Hodeida e Sana’a e sull’aeroporto internazionale di Sana’a. Gli attacchi avrebbero ucciso almeno 13 civili, ferite a decine e causato danni ai porti e all’aeroporto.
Eventi metereologici estremi hanno provocato morti, distrutto abitazioni e mezzi di sussistenza, esacerbato lo sfollamento interno e aumentato l’insicurezza alimentare.
Tutte le parti in conflitto hanno continuato a reprimere il dissenso e a soffocare la società civile. Tra le persone prese di mira c’erano oppositori politici, difensori dei diritti umani, giornalisti, operatori umanitari e per i diritti umani, minoranze religiose e persone critiche nei confronti delle autorità per la situazione e le politiche dei diritti umani nel paese.
Autorità de facto huthi
Il 2 gennaio, il servizio di sicurezza e intelligence huthi ha arrestato il giudice Abdulwahab Mohammad Qatran per le sue critiche online verso le autorità de facto huthi. È stato arbitrariamente detenuto presso il centro di detenzione del servizio di sicurezza e intelligence controllato dagli huthi nella capitale Sana’a e ha trascorso più di un mese in regime di isolamento. È stato rilasciato il 12 giugno dopo essersi impegnato a non pubblicare le sue opinioni sui social media1.
A giugno, le forze di sicurezza huthi hanno arrestato arbitrariamente 13 membri dello staff delle Nazioni Unite e decine di dipendenti di Ong locali e internazionali2. A dicembre, le autorità huthi avrebbero rilasciato tre dei detenuti. I loro arresti avevano coinciso con una campagna mediatica guidata dagli huthi che accusava le organizzazioni per i diritti umani e umanitarie e il loro staff di “cospirare” contro gli interessi dello Yemen.
Tra giugno e agosto, le autorità de facto huthi hanno rilasciato i restanti cinque membri della minoranza religiosa baha’i, che erano ancora arbitrariamente detenuti assieme ad altre 12 persone da più di un anno senza accusa. Erano stati arrestati dopo che le forze armate huthi avevano disperso violentemente un raduno pacifico in una residenza privata a Sana’a il 25 maggio 20233. Come condizione per il loro rilascio, alcuni sono stati costretti a firmare una dichiarazione con cui si impegnavano ad astenersi dallo svolgere attività legate al culto baha’i.
Consiglio di transizione meridionale
Le autorità de facto del Consiglio di transizione meridionale (Southern Transitional Council – Stc) hanno continuato a limitare illegalmente e arbitrariamente il lavoro delle organizzazioni della società civile e dei difensori dei diritti umani nel governatorato meridionale di Aden.
Il 26 maggio, un gruppo di uomini armati che accompagnavano donne aderenti all’Unione delle donne del sud, sostenuta dall’Stc, ha occupato con la forza il centro dell’Unione delle donne yemenite, un’organizzazione civile indipendente nel distretto di Sira, ad Aden. Gli uomini armati hanno negato allo staff l’accesso al centro, impedendo la fornitura di servizi di protezione alle donne4. A giugno, il personale del centro è riuscito a riottenere l’accesso e a riprendere le attività, dopo avere accettato di consentire all’Unione delle donne del sud di operare dall’interno del centro.
Governo dello Yemen
Il governo internazionalmente riconosciuto dello Yemen ha continuato a vessare, detenere arbitrariamente e perseguire i giornalisti nelle aree sotto il suo controllo, compresi i governatorati di Ta’iz, Ma’rib e Hadramout.
Secondo Marsadak, un osservatorio yemenita per le libertà mediatiche, il 5 maggio, la corte per i finanziamenti pubblici del governatorato di Hadramout ha condannato il giornalista Ali Salmeen al Awbathani a sei mesi di reclusione con sospensione della pena, per avere pubblicato contenuti critici nei confronti di un’istituzione pubblica.
Autorità de facto huthi
Le autorità de facto huthi hanno continuato a utilizzare la Corte penale specializzata (Specialized Criminal Court – Scc) di Sana’a, controllata dagli huthi, come strumento di repressione politica, condannando le persone a prolungati periodi di carcere e alla pena di morte al termine di processi gravemente iniqui. Le autorità giudiziarie degli huthi hanno continuato a utilizzare accuse di “spionaggio” per perseguire oppositori politici e mettere a tacere il dissenso pacifico.
Il 1° giugno, l’Scc di Sana’a ha condannato a morte 44 persone, 16 delle quali in contumacia, per accuse di spionaggio inventate a seguito di un processo di massa iniquo. Secondo i loro avvocati, i 28 imputati detenuti erano stati sottoposti a sparizione forzata per nove mesi dopo il loro arresto e a tortura e maltrattamento per estorcere loro “confessioni” forzate.
La difensora dei diritti umani Fatma al-Arwali è rimasta a rischio di esecuzione dopo che l’Scc di Sana’a l’aveva giudicata colpevole di “collaborare con un paese nemico” e l’aveva condannata a morte il 5 dicembre 2023, al termine di un processo gravemente iniquo5.
Il 20 agosto, l’Scc di Sana’a ha prolungato di un anno la pena inflitta al giornalista Nabil al-Sidawi. I servizi di sicurezza e intelligence huthi lo avevano arrestato il 21 settembre 2015. Era stato trattenuto senza accusa né processo per circa quattro anni ed era stato condannato nel 2022 dall’Scc a otto anni di carcere per accuse di spionaggio al termine di un processo gravemente iniquo.
Consiglio di transizione meridionale
Il 28 maggio, la corte penale specializzata di Aden ha condannato il giornalista Ahmad Maher a quattro anni di carcere al termine di un processo gravemente iniquo in cui era stato accusato di diffusione di notizie false e fuorvianti e falsificazione di documenti di identità6. Le forze di sicurezza affiliate all’Stc lo avevano arrestato ad Aden ad agosto 2022 e lo avevano sottoposto a tortura e maltrattamento durante gli interrogatori presso la stazione di polizia di Sa’ad, per costringerlo a “confessare” il suo coinvolgimento in un attacco contro la stessa stazione di polizia, compiuto a marzo 2022. Gli sono stati negati i diritti a una difesa adeguata, a un avvocato di propria scelta, alla presunzione d’innocenza e a non autoincriminarsi. Il 25 dicembre, la corte d’appello penale specializzata di Aden ha assolto Ahmad Maher, ma egli ha continuato a essere detenuto dopo che la procura penale specializzata aveva posto come condizione per il suo rilascio che trovasse un garante in grado di fornire una “garanzia commerciale”, una condizione che la sua famiglia non poteva soddisfare.
L’accesso a cibo, acqua potabile, a un ambiente salubre e a servizi sanitari adeguati è rimasto fortemente limitato. Secondo l’Unicef, più di 2,7 milioni di minori soffrivano di malnutrizione acuta. Secondo l’Ocha, 18,2 milioni di persone necessitavano di assistenza umanitaria e servizi di protezione e quasi la metà della popolazione viveva una condizione insicurezza alimentare e nutrizionale. Lo Yemen è stato colpito da un’altra epidemia di diarrea acquosa acuta e colera, con centinaia di casi segnalati ogni giorno.
Le parti in conflitto hanno continuato a limitare la consegna degli aiuti, anche attraverso complicazioni burocratiche e amministrative imposte arbitrariamente. Le autorità de facto huthi hanno intensificato le loro restrizioni sul lavoro delle organizzazioni umanitarie. La detenzione arbitraria a giugno di decine di dipendenti delle Nazioni Unite e di Ong locali e internazionali (v. sopra) ha ridotto la capacità di queste organizzazioni di fornire aiuti umanitari e servizi di protezione. A settembre, le Nazioni Unite hanno sospeso tutte le attività non salvavita o di sostegno nelle aree controllate dagli huthi per minimizzare il rischio per gli operatori umanitari.
Ad agosto, il Consiglio supremo per la gestione e il coordinamento degli affari umanitari e la cooperazione internazionale, gestito dagli huthi, ha reiterato le sue politiche restrittive sulle attività umanitarie negli incontri con il personale delle Nazioni Unite e delle Ong.
La frammentazione del potere nello Yemen meridionale, che ha lasciato alcuni ministeri sotto il controllo del governo internazionalmente riconosciuto e altri sotto il controllo dell’Stc, ha continuato a rallentare l’approvazione dei progetti umanitari e dei permessi di viaggio, interrompendo la fornitura degli aiuti.
Le donne hanno continuato a subire ricatti online e molestie su Facebook, facilitati dall’incapacità delle autorità di adottare misure adeguate, in grado di tutelare il diritto delle donne alla privacy online o di fornire risarcimenti alle sopravvissute a episodi di violenza di genere facilitati dalle tecnologie digitali. Ciò è stato favorito da un’insufficiente azione preventiva da parte di Meta, proprietaria di Facebook, di garantire che i suoi meccanismi di segnalazione della violenza online fossero accessibili e culturalmente sensibili a contesti socialmente conservatori, come lo Yemen7.
Le autorità de facto huthi hanno continuato a limitare il diritto delle donne alla libertà di movimento senza l’accompagnamento di un tutore maschile (mahram) o senza una prova della sua approvazione scritta. Tra i vari effetti, tali restrizioni rendevano ancora più complicato per le donne lavorare e per le operatrici yemenite delle agenzie umanitarie svolgere attività sul campo e consegnare gli aiuti. Gli operatori umanitari hanno riferito che il requisito del mahram era sempre più applicato secondo criteri ad hoc nelle aree controllate dal governo, tra cui i governatorati di Ta’iz e Ma’rib.
Le parti in conflitto hanno continuato a prendere di mira e perseguire le persone lgbti unicamente per motivi legati alla loro attuale o presunta identità di genere e/o orientamento sessuale.
Il 23 gennaio, il tribunale penale di Dhamar, nel nord dello Yemen, affiliato agli huthi, ha condannato a morte nove uomini, di cui sette per lapidazione e due per crocifissione. Altri 23 sono stati condannati a pene detentive da sei mesi a 10 anni per accuse diverse, tra cui “omosessualità”, “diffusione dell’immoralità” e “atti immorali”.
Il 1° febbraio, il tribunale di primo grado di Ibb, nel sud dello Yemen, ha emesso condanne a morte per 13 studenti maschi e inflitto frustate ad altri tre, accusati di “promuovere l’omosessualità”8.
Gli attacchi marittimi degli huthi e i raid aerei israeliani sul porto di Hodeida hanno comportato rischi ambientali significativi, minacciando l’ecosistema marino e i mezzi di sussistenza delle comunità costiere, aggravando ulteriormente la crisi umanitaria.
Il 18 febbraio, gli huthi hanno attaccato la nave mercantile Mv Rubymar. Il 2 marzo la nave è affondata a circa 26 chilometri a ovest del porto di Mocha, nell’est dello Yemen. Il cargo trasportava circa 21.000 tonnellate di solfato di fosfato di ammonio, utilizzato come fertilizzante, la cui fuoriuscita faceva temere un disastro ambientale nel mar Rosso.
Il 12 giugno, gli huthi hanno attaccato la Mv Tutor, che è affondata il 18 giugno con il suo carico di 80.000 tonnellate di carbone.
Il 16 luglio, gli huthi hanno attaccato la petroliera Chios Lion. Vicino al luogo dell’attacco è stata avvistata una chiazza di petrolio inizialmente lunga 220 chilometri, che minacciava il santuario marino di Farasan, secondo quanto riferito dall’Ong Conflict and Environment Observatory.
Il 20 luglio, i raid aerei israeliani sul porto di Hodeida e sulla centrale elettrica di Ras Kathnib, nel governatorato di Hodeida, hanno colpito impianti di stoccaggio del carburante, incendiandoli e facendoli bruciare per almeno quattro giorni. L’attacco sul porto di Hodeida ha provocato fuoriuscite di carburante nelle acque del porto a scapito del suo ecosistema marino.
La cattiva gestione delle infrastrutture petrolifere nel governatorato di Shabwa ha continuato a causare un grave inquinamento. A luglio, un oleodotto danneggiato ha prodotto una massiccia fuoriuscita di greggio che si è estesa per centinaia di metri sulla costa vicino al villaggio di Ayn Bamabad.
Note
1 Yemen: Further Information: Judge Released From Arbitrary Detention: Abdulwahab Mohammad Qatran, 20 giugno.
2 Yemen: Huthi authorities must immediately release arbitrarily detained staff from UN and civil society organizations, 4 luglio.
3 Yemen: Further Information: Four Arbitrarily Detained Baha’is Released, 6 settembre.
4 Yemen: STC de facto authorities must ensure safety of women’s shelter following takeover of Yemeni Women Union centre, 6 giugno.
5 Yemen: Woman Human Rights Defender at Risk of Execution: Fatma al-Arwali, 1° febbraio.
6 Yemen: Further Information: Journalist Sentenced to Four Years in Jail: Ahmad Maher, 25 giugno.
7 Yemen: “My Life Was Completely Destroyed”: Technology-Facilitated Gender-Based Violence in Yemen, 5 novembre.
8 Yemen: Huthis must stop executions and release dozens facing LGBTI charges, 9 febbraio.