Le autorità hanno intensificato il loro giro di vite sulla libertà d’espressione e tutte le forme di dissenso utilizzando leggi repressive e accuse infondate per perseguire e detenere arbitrariamente persone come oppositori politici, giornalisti, sindacalisti, difensori dei diritti umani, avvocati e voci critiche. Prima delle elezioni presidenziali di ottobre hanno inoltre intensificato le loro vessazioni contro gli oppositori politici, imposto ulteriori restrizioni al lavoro di giornalisti, difensori dei diritti umani e Ong, e hanno adottato misure per indebolire ulteriormente l’indipendenza della magistratura e lo stato di diritto. Le autorità hanno incrementato le intercettazioni in mare e hanno effettuato espulsioni di massa ai confini con Algeria e Libia, espellendo collettivamente migliaia di persone richiedenti asilo, rifugiate e migranti. Le autorità hanno avviato indagini contro almeno 14 organizzazioni della società civile che operano a favore dei diritti di rifugiati e migranti, compromettendo l’accesso di cittadini stranieri alle procedure d’asilo e ai servizi essenziali. Le persone lgbti sono incorse in arresti e procedimenti giudiziari arbitrari.
Il 28 e 29 marzo si sono svolte le prime elezioni del Consiglio nazionale delle regioni e dei distretti, che hanno portato all’elezione dei 77 membri della camera alta del parlamento.
Il presidente Kais Saïed è stato rieletto per un secondo mandato il 6 ottobre, ottenendo il 90,69 per cento dei voti su un’affluenza del 28 per cento. La maggior parte dei candidati dell’opposizione più accreditati era stata estromessa dalla corsa alla presidenza attraverso una serie di impedimenti burocratici, vessazioni giudiziarie o detenzioni arbitrarie. Nonostante la decisione di un tribunale di reintegrare tre candidati dell’opposizione alle elezioni presidenziali, l’Alta autorità indipendente per le elezioni (Instance supérieure indépendante pour les elections – Isie) si è rifiutata di implementare la decisione e ha ammesso soltanto tre candidati, tra cui il presidente Saïed.
Il segretario generale del partito d’opposizione Ennahda, Ajmi Lourimi, e altri due membri del partito sono stati arrestati il 13 luglio durante un controllo di routine della polizia e, a fine anno, rimanevano detenuti arbitrariamente senza accusa.
La difensora dei diritti umani ed ex presidente della commissione verità e dignità (Instance vérité et dignité – Ivd), Sihem Bensedrine, è stata arrestata e detenuta il 1° agosto per accuse di “falso” e “abuso d’ufficio”, in relazione alla presunta falsificazione di un rapporto che denunciava la corruzione nel settore bancario. Il suo perseguimento giudiziario è parso essere una ritorsione per il suo ruolo nel lavoro di denuncia delle violazioni dei diritti umani in qualità di presidente dell’Ivd.
Altre figure di alto profilo rimanevano in detenzione cautelare o stavano scontando condanne al carcere in relazione ad accuse politicamente motivate, tra cui “terrorismo” e “cospirazione contro la sicurezza dello stato”. In quello che era conosciuto come il “caso della cospirazione”, sei politici d’opposizione arrestati a febbraio 2023 sono rimasti detenuti arbitrariamente con l’accusa di “cospirazione contro la sicurezza dello stato”, oltre la scadenza di aprile dei termini di custodia cautelare stabiliti dalla legge.
La leader d’opposizione Abir Moussi è stata condannata il 5 agosto a due anni di carcere ai sensi del decreto-legge 54 sui reati informatici, a seguito di una denuncia presentata contro di lei dall’Isie dopo che aveva criticato l’organizzazione delle elezioni legislative del 2023. Era sottoposta a detenzione arbitraria dal 3 ottobre 2023, in un caso giudiziario separato sulla base di accuse come “diffusione di notizie false” e di “avere tentato di cambiare la forma di governo” ai sensi del decreto-legge 54 e dell’art. 72 del codice penale in relazione all’esercizio della sua libertà d’espressione e riunione pacifica.
Il 18 ottobre, la camera penale del tribunale di primo grado della capitale Tunisi ha condannato il leader di Ennahda ed ex ministro della giustizia, Noureddine Bhiri, a 10 anni di carcere per un post sui social media che negava di avere scritto. È stato giudicato colpevole di “avere tentato di cambiare la forma di governo e incitato le persone ad armarsi le une contro le altre”, ai sensi dell’art. 72 del codice penale. Era detenuto arbitrariamente da febbraio 2023.
Nel periodo che ha preceduto le elezioni presidenziali, le autorità hanno intensificato il loro giro di vite contro i gruppi dell’opposizione e gli oppositori politici, arrestando tra il 12 e il 13 settembre almeno 97 membri di Ennahda.
A gennaio, la Corte d’appello di Monastir ha convalidato la condanna dell’artista Rached Tamboura a due anni di carcere per i suoi graffiti, che denunciavano i commenti di stampo razzista del presidente Saïed nei confronti dei rifugiati e migranti di provenienza subsahariana. Rached Tamboura era stato giudicato colpevole di avere “commesso un atto offensivo contro il presidente”, ai sensi dell’art. 67 del codice penale, e di “produzione e promozione di notizie false”, ai sensi dell’art. 24 del decreto-legge 54 sui reati informatici.
L’11 maggio, le forze di sicurezza hanno arrestato arbitrariamente l’avvocata e figura nota sui media Sonia Dahmani. Il 6 luglio è stata condannata a un anno di reclusione ai sensi dell’art. 24 del decreto-legge 54 per i suoi commenti critici sulla situazione affrontata da migranti in Tunisia. Il 10 settembre, la corte d’appello di Tunisi ha ridotto la sua condanna a otto mesi di reclusione. Il 24 ottobre, il tribunale di primo grado di Tunisi ha emesso un verdetto di colpevolezza e l’ha condannata a due anni di carcere in base al decreto-legge 54, in un caso giudiziario separato. Il suo perseguimento giudiziario e la sua condanna erano basati sui commenti che aveva rilasciato alla televisione che denunciavano il razzismo contro le persone nere in Tunisia.
L’11 maggio, le forze di sicurezza hanno arrestato e detenuto i giornalisti Mourad Zeghidi e Borhen Bsaies. Il 22 maggio, il tribunale di primo grado di Tunisi ha condannato entrambi gli uomini a un anno di reclusione ai sensi dell’art. 24 del decreto-legge 54, per “avere intenzionalmente utilizzato i sistemi di comunicazione per produrre e promuovere notizie false al fine di danneggiare la sicurezza o la difesa nazionale o diffondere il terrore”, unicamente per avere esercitato il loro diritto alla libertà d’espressione. A luglio, la corte d’appello di Tunisi ha ridotto le loro condanne a otto mesi di reclusione.
A giugno, la corte d’appello di Tunisi ha ribaltato l’iniziale verdetto di assoluzione dell’avvocato Abdelaziz Essid e lo ha giudicato colpevole e condannato a nove mesi di reclusione con sospensione della pena, per avere “offeso altri attraverso le reti di telecomunicazione” e “accusato funzionari pubblici di atti illegali senza prova”, rispettivamente ai sensi dell’art. 86 del codice delle telecomunicazioni e dell’art. 128 del codice penale. Le accuse erano basate su una denuncia presentata dal ministro della Giustizia per le affermazioni fatte da Abdelaziz Essid, secondo cui le autorità avevano alterato il fascicolo dei suoi clienti.
La commissione elettorale ha sporto denuncia contro i membri dell’opposizione politica e altre persone critiche ai sensi del decreto-legge 54 per “diffusione di informazioni false”. Secondo il sindacato nazionale dei giornalisti tunisini, tra luglio e settembre, quattro emittenti radiofoniche private hanno ricevuto avvisi scritti dalla commissione elettorale riguardanti servizi giornalistici e commenti sul processo elettorale andati in onda sui loro canali.
Le autorità tunisine hanno vietato la distribuzione in Tunisia del numero di settembre del periodico Jeune Afrique, in cui compariva un articolo critico nei confronti del presidente Saïed.
Il presidente Saïed ha continuato ad accusare pubblicamente le organizzazioni della società civile di corruzione e di interferire con gli affari interni della Tunisia, facendo spesso riferimento alla ricezione di finanziamenti esteri da parte delle organizzazioni.
A maggio, le autorità hanno intimidito, arrestato, convocato e indagato rappresentanti, ex dipendenti ed esponenti di almeno 14 organizzazioni che operano in favore dei diritti di rifugiati e migranti e forniscono loro servizi essenziali. Dovevano rispondere di accuse vaghe come “reati finanziari” e “avere aiutato migranti senza documenti”. A fine anno, almeno sei organizzazioni rimanevano sotto indagine e sette persone erano in custodia cautelare.
Il 14 maggio, il primo ministro Ahmed Hachani ha annunciato che una nuova bozza di legge sulle associazioni era nell’agenda del prossimo consiglio dei ministri per l’approvazione, in un clima di preoccupazione per i piani delle autorità di introdurre norme draconiane che avrebbero soffocato ulteriormente la società civile.
Il 9 settembre, l’Isie ha negato le richieste di accredito per il monitoraggio delle elezioni presentate da due Ong tunisine, IWatch e Mourakiboun, affermando che la decisione riguardava il fatto che le organizzazioni ricevevano “finanziamenti esteri sospetti”.
Le autorità hanno ripetutamente utilizzato accuse di “ostruzione” prive di fondamento, una disposizione priva di chiarezza legale, per perseguire e condannare persone semplicemente per avere esercitato i loro diritti alla libertà di riunione pacifica, compresi i diritti di formare e aderire a un sindacato e di organizzare e partecipare a uno sciopero.
Il 20 giugno, la polizia della città di Tabarka ha convocato la difensora dei diritti umani e dell’ambiente Rania Mechergui per interrogarla in relazione a una protesta pacifica che si era svolta l’11 giugno per chiedere l’accesso all’acqua. Tra il 12 e il 16 agosto, il comando di polizia di El Aouina, un quartiere di Tunisi, ha convocato 23 persone, tra sindacalisti e lavoratori, per interrogarle in relazione a una serie di manifestazioni pacifiche organizzate tra il 5 giugno e il 9 agosto. Le manifestazioni vertevano sullo status dei lavoratori, i salari e l’accesso alla sicurezza sociale.
Secondo l’Associazione dei giudici tunisini, il ministro della Giustizia ha ordinato la nomina, il trasferimento o la sospensione di almeno 105 giudici e procuratori, attraverso circolari esecutive emanate al di fuori delle procedure dovute tra agosto 2023 e giugno 2024.
I giudici e i pubblici ministeri che erano stati sommariamente destituiti tramite decreto presidenziale a giugno 2022 hanno continuato a vedersi negare una riparazione e ad avere ricadute negative in termini professionali, economici e di reputazione. Non era stata ancora intrapresa alcuna azione giudiziaria in seguito alle denunce individuali sporte il 23 gennaio 2023 da 37 dei giudici destituiti contro il ministro della Giustizia, per contestare la mancata implementazione da parte del ministro di un’ordinanza emessa da un tribunale, che aveva disposto il reintegro di 49 dei 57 giudici e pubblici ministeri licenziati.
Gli avvocati che rappresentavano esponenti di gruppi d’opposizione politica sono stati presi di mira con indagini penali per accuse fantasiose come “avere offeso altri” e “diffusione di informazioni false”.
Le violazioni dei diritti umani contro persone migranti, richiedenti asilo e rifugiati sono aumentate per frequenza e gravità, soprattutto contro le persone nere e provenienti da paesi dell’Africa Subsahariana. L’incitamento all’odio contro queste persone attraverso l’uso di una retorica xenofoba e razzista, anche da parte delle autorità, è rimasto una costante.
Le espulsioni collettive e sommarie di migranti, richiedenti asilo e rifugiati verso le vicine Algeria e Libia sono rimaste di routine, seppur altamente rischiose, violando il principio di non refoulement e abbandonando le persone senza acqua né cibo in aree desertiche. Spesso queste espulsioni facevano seguito alle violente o sconsiderate intercettazioni in mare condotte dalle autorità tunisine, o ad arresti arbitrari a sfondo razziale. Tra giugno 2023 e maggio 2024, le autorità hanno espulso collettivamente verso Algeria e Libia almeno 10.000 migranti, richiedenti asilo e rifugiati, compresi bambini e donne incinte.
Persone migranti, richiedenti asilo e rifugiate hanno riferito che le forze di sicurezza tunisine le avevano sottoposte a tortura e maltrattamento, stupro compreso, perquisizioni corporali violente o lesive della dignità, percosse e detenzione in condizioni crudeli, disumane e degradanti.
Le autorità hanno inoltre eseguito molteplici sgomberi forzati facendo ricorso all’uso non necessario e sproporzionato della forza e hanno arrestato e condannato i proprietari dei terreni per avere ospitato persone senza documenti. Secondo l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, gli arresti e le indagini avviate a partire da maggio contro i difensori dei diritti umani e le organizzazioni che operano con rifugiati e migranti hanno seriamente compromesso l’accesso alle procedure d’asilo e ai servizi essenziali.
I gruppi lgbti hanno riferito un aumento dei procedimenti giudiziari per comportamenti sessuali consensuali tra persone adulte dello stesso sesso, ai sensi dell’art. 230 del codice penale e di altri articoli relativi alla “buona morale” o alla “decenza pubblica”. Le autorità hanno eseguito visite anali su uomini accusati di avere relazioni sessuali omosessuali, una pratica che equivale a tortura. Durante l’anno, in tutta la Tunisia sono stati avviati almeno 41 processi contro persone gay e transgender. Tra il 26 settembre e il 2 ottobre almeno 27 persone lgbti sono state arrestate a Tunisi, Sousse e Hammamet.
Le autorità hanno vessato attivisti queer e membri e dipendenti di associazioni per i diritti lgbti. Il 18 settembre, l’attivista transgender Mira Ben Salah, coordinatrice presso l’associazione Damj, ha ricevuto una convocazione a presentarsi il 10 ottobre davanti alla brigata della polizia penale di Sfax, senza altre informazioni. La polizia ha successivamente aperto indagini contro quattro persone impegnate in altre organizzazioni lgbti, che avevano a loro volta ricevuto convocazioni a presentarsi presso differenti brigate giudiziarie per essere interrogate.
La partecipazione politica delle donne ha continuato a diminuire, con soltanto 10 donne elette a marzo alla camera alta del parlamento, su un totale di 77 seggi.
Le associazioni per i diritti delle donne hanno continuato a denunciare la cultura d’impunità che caratterizzava la violenza contro le donne e la mancanza di un’effettiva applicazione della legge 58 del 2017 per proteggere le donne dalla violenza di genere. Le organizzazioni per i diritti delle donne hanno documentato, tra gennaio e agosto, almeno 15 femminicidi.
L’Associazione tunisina delle donne democratiche ha registrato un aumento delle richieste di assistenza da parte di donne che subivano forme di violenza online. Un Women ha documentato che il 19 per cento delle donne in Tunisia subiva violenza online.
Secondo l’Istituto nazionale di statistica, il costo degli alimentari in Tunisia ha subìto tra gennaio e settembre un rialzo del 9,2 per cento. La carenza di alimenti base era diventato un problema cronico. Le autorità non sono state trasparenti sulle cause della persistente carenza o sulle politiche adottate per affrontare il problema.