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Un tribunale distrettuale di San Pietroburgo ha condannato l’attivista russa contro la guerra Daria Kozyreva a due anni e otto mesi di colonia penale per “ripetuta diffusione di informazioni volte a screditare le forze armate della Federazione russa”.
Diciannovenne, ex studente di Medicina poi espulsa dall’università, Daria Kozyreva è stata condannata ai sensi dell’articolo 280.3 del codice penale, una norma repressiva che criminalizza la “denigrazione pubblica delle forze armate”. La condanna si è basata su azioni di dissenso pacifico: la pubblicazione di un post su un blog in cui criticava la guerra della Russia in Ucraina, un’intervista concessa a un progetto giornalistico di Radio Free Europe/Radio Liberty e l’affissione di una citazione del poema “Testamento” del celebre poeta ucraino Taras Shevchenko ai piedi del monumento intitolatogli a San Pietroburgo.
I versi recitavano: “Quando morrò, seppellitemi / e poi levatevi in piedi / spezzate le vostre pesanti catene / e innaffiate con il sangue dei tiranni / la libertà che avete conquistato”.
Daria Kozyreva aveva già trascorso quasi un anno in detenzione preventiva ed era stata costretta a sottoporsi a una valutazione psichiatrica. Il 7 febbraio 2025 era stata scarcerata poiché aveva già trascorso il massimo periodo previsto di custodia cautelare. Tuttavia, la sua libertà era rimasta limitata: soggetta a coprifuoco, non poteva utilizzare il telefono o Internet né comunicare con la stampa.
A proposito della condanna, Natalia Zviagina, direttrice di Amnesty International Russia, ha dichiarato:
“La sentenza di oggi è l’ennesimo inquietante segnale di quanto lontano siano disposte ad arrivare le autorità russe pur di mettere a tacere ogni forma di opposizione pacifica alla guerra in Ucraina”.
“Daria Kozyreva viene punita per aver citato un classico della poesia ucraina dell’Ottocento, per aver denunciato una guerra ingiusta e per essersi rifiutata di restare in silenzio. Chiediamo la sua scarcerazione immediata e incondizionata, così come quella di tutte le persone detenute in base alle cosiddette leggi della censura bellica”.