Ospedale ad Atene, 1 Aprile 2020. Aris Messinis
I diritti umani coprono molti e diversi aspetti della vita di ogni individuo, essenziali per la sua dignità e sicurezza.
Nel 2001 Amnesty International ha riformulato il mandato dell’organizzazione, includendo la difesa dei diritti economici, sociali e culturali (DESC), con l’obiettivo di incorporarli nelle sue attività di ricerca, mobilitazione e campagne. L’organizzazione è arrivata a questo cambiamento a conclusione di un lungo percorso di studio sull’interdipendenza e l’interrelatività dei diritti, nell’ambito del quale si è ampiamente soffermata sui diritti relativi alle condizioni necessarie per soddisfare i bisogni fondamentali di ogni essere umano, tra cui lavoro, salute e sicurezza sociale, alimentazione, alloggio, istruzione, tutela sindacale.
L’Italia ha ratificato vari trattati internazionali e regionali sui diritti umani che la impegnano a rispettare, proteggere e garantire questi diritti umani fondamentali, in particolare la Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (Cdesc), la Convenzione europea per i diritti umani (Cedu) e la Carta sociale Europea.
Amnesty International promuove la tutela dei diritti economici, sociali e culturali, riportandoli nelle aree di lavoro già esistenti, sulla base del principio di interdipendenza, secondo il quale tutti i diritti umani, che siano civili, politici, sociali economici o culturali, sono strettamente collegati tra loro. Questo significa che ciascun diritto ha un impatto su ogni altro diritto e che un diritto non può essere garantito se non è assicurato il godimento degli altri diritti.
L’esplosione della pandemia da Covid-19 in Italia ha fatto emergere la critica situazione nelle strutture di residenza sociosanitarie e socioassistenziali (le cosiddette “case di riposo”) che ospitano persone anziane principalmente non autosufficienti.
Nel rapporto “Abbandonati”, pubblicato a dicembre 2020, Amnesty ha denunciato le violazioni del diritto alla vita, alla salute e alla non discriminazione degli/le ospiti anziani/e di tali strutture da parte delle istituzioni a livello nazionale, regionale e territoriale.
L’inchiesta ha anche evidenziato le difficili e stressanti condizioni di lavoro a cui sono sottoposti lavoratori e lavoratrici delle strutture. Questi/e, infatti, oltre ad essere inquadrati/e con forme contrattuali che prevedono benefici e tutele inferiori rispetto ai contratti previsti nel settore della sanità, nel picco della pandemia non sono stati/e adeguatamente protetti/e dall’altissimo rischio di contagio nelle strutture, spesso accedendo a dispositivi di protezione individuali (Dpi) e tamponi in ritardo rispetto agli operatori sanitari degli ospedali e sperimentando frequenti spostamenti tra diverse strutture.
In aggiunta, il settore delle case di riposo è afflitto da una carenza strutturale di personale sanitario che durante l’emergenza COVID-19 si è acuita a causa dei numerosi casi di malattia e delle assunzioni operate in ambito ospedaliero, sottoponendo lavoratori e lavoratrici a forti condizioni di stress e impedendo un’adeguata attenzione nell’assistenza degli ospiti.
In alcuni casi, operatori e operatrici sanitarie che hanno espresso preoccupazioni per la gestione interna dei contagi e per le mancate protezioni per ospiti e lavoratori sono stati vittime di licenziamenti e misure disciplinari da parte delle dirigenze delle strutture. Il clima di ritorsioni ha invece spinto altri/e a non esplicitare le criticità vissute.
Oggi più che mai è essenziale che categorie importanti come gli operatori e le operatrici sanitari/e delle case di riposo siano adeguatamente protetti/e e possano beneficiare di diritti umani fondamentali: condizioni di lavoro dignitose, diritto alla salute e alla sicurezza sociale e diritto di adesione ai movimenti sindacali.
Durante la pandemia di Covid-19 i lavoratori e le lavoratrici nel settore delle consegne a domicilio al consumatore sono diventati essenziali. Lavorano ininterrottamente per garantire spedizioni vitali di cibo, medicinali e altre forniture, sono esposti a un alto grado di rischio e non sempre vengono adeguatamente e prontamente protetti, anche da società come Amazon che ha beneficiato in maniera massiccia della crisi, aumentando vertiginosamente i suoi profitti.
Amnesty International è preoccupata per le accuse crescenti secondo cui Amazon ha minato i tentativi di sindacalizzazione dei suoi lavoratori e lavoratrici in diversi paesi, investendo risorse significative in meccanismi di monitoraggio e analisi, anche dei gruppi Facebook privati dei suoi dipendenti.
Ci sono prove che Amazon abbia speso centinaia di migliaia di dollari per un nuovo sistema tecnologico per spiare i lavoratori. Alcuni di quelli che hanno espresso preoccupazione per le cattive condizioni di lavoro durante il Covid-19 hanno subito azioni disciplinari o sono stati licenziati.
Il diritto internazionale parla chiaro. Tutti hanno il diritto di costituire associazioni sindacali e di aderirvi e Amazon deve rispettare i diritti umani dei suoi lavoratori e lavoratrici, seguendo i principi guida delle Nazioni Unite su Business and human rights.
Dall’inizio della pandemia da Covid-19, migliaia di anziani hanno perso la vita all’interno delle strutture di residenza sociosanitarie e socioassistenziali in Italia. Amnesty International, ricostruendo il contesto operativo e raccogliendo oltre 80 interviste tra personale sanitario e famigliari degli ospiti delle strutture, rappresentanti di organizzazioni del settore e sindacalisti, esperti e giornalisti, ha analizzato e rilevato le violazioni e la mancata tutela del diritto alla vita, alla salute e alla non discriminazione dei pazienti anziani di tali strutture da parte delle istituzioni a livello nazionale, regionale e locale, illustrandole nel rapporto “Abbandonati” e lo ha fatto soffermandosi su tre regioni: Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto.
“Mi hanno raccontato di ospiti affetti da demenza pesantemente sedati e addirittura legati ai letti, per impedire loro di girare per la struttura dal momento che non c’erano le condizioni per l’isolamento” – Parente di un’ospite di una struttura in Emilia-Romagna
“Vedevamo persone che si spegnevano, che non venivano mandate in ospedale se non quando stavano per morire” – Operatrice sanitaria di una struttura in Emilia-Romagna
“A me il primo tampone lo hanno fatto a fine maggio-inizio giugno” – Operatore sanitario di una struttura in Lombardia
“Per i Dpi abbiamo dovuto fare i salti mortali all’inizio. Realizzando persino le mascherine in casa, di tutto e di più” – Direttore di una fondazione che gestisce alcune strutture in Veneto
“Ci avevano detto di non usare le mascherine per non creare panico a utenti e famiglie ed è continuato così fino all’inizio di marzo” – Operatrice sanitaria di una struttura in Lombardia.
Vaccini disponibili per tutte e per tutti, qualunque sia il paese in cui vivono, a prescindere dalla condizione socioeconomica in cui si trovano. Il pieno accesso di ogni persona alla campagna di vaccinazione contro il Covid-19 è la richiesta di Amnesty International.
È essenziale, affinché ciò avvenga, che i governi applichino un approccio, nel programmare la vaccinazione della popolazione, che tenga in considerazione e tuteli i diritti umani. La pandemia, infatti, ha già duramente colpito i gruppi di persone più vulnerabili e maggiormente esposti al rischio di discriminazione in molte parti del mondo.
Non è, tuttavia, solo l’ineguaglianza a minacciare i diritti umani nell’ambito della campagna di vaccinazione. Un altro fattore cruciale è rappresentato dagli interessi economici delle aziende coinvolte, che non devono essere anteposti alle persone.
L’Alleanza per il vaccino popolare, costituita da una rete di organizzazioni – tra le quali Amnesty International, Frontline AIDS, Global Justice Now e Oxfam – ha denunciato che 9 persone su 10, nei paesi a basso reddito, potrebbero non essere vaccinate contro il Covid-19 nel 2021.
Un ruolo cruciale è rappresentato dai diritti di proprietà intellettuale, quali brevetti e segreti commerciali:
“Le emergenti controversie in materia di proprietà intellettuale sui brevetti e sulla possibilità di avere dei produttori oligopolistici potrebbero essere anche un ostacolo per lo sviluppo e la produzione dei vaccini contro il Covid-19, così come per la disponibilità e l’accessibilità, anche economica, del vaccino a livello nazionale e internazionale”.
GLI ESPERTI ONU SUI DIRITTI UMANI
Nonostante i regimi di proprietà intellettuale siano stabiliti per migliorare lo sviluppo dei prodotti medici attraverso incentivi economici, questo sistema di diritti esclusivi ha spesso un duplice impatto negativo su disponibilità e accessibilità. Il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali (Cescr) ha stabilito che gli stati devono adeguare le proprie normative in materia di proprietà intellettuale agli obblighi afferenti ai diritti umani per garantire che “sia raggiunto un equilibrio tra le garanzie della proprietà intellettuale e l’accesso libero e la condivisione delle conoscenze scientifiche e delle sue applicazioni, specie quelle collegate alla realizzazione di altri diritti economici, sociali e culturali come il diritto alla salute”.
I Principi di Maastricht sugli obblighi extraterritoriali degli stati in materia di diritti economici, sociali e culturali stabiliscono inoltre che “gli stati devono approfondire, interpretare e applicare i relativi accordi e principi internazionali in maniera coerente con i propri obblighi in materia di diritti umani”, tra cui quelli relativi al il commercio internazionale tra stati, con riferimento alla giurisprudenza del Cescr, della Corte europea dei diritti umani e della Corte interamericana dei diritti umani, secondo cui gli stati non possono ignorare i propri obblighi derivanti dai trattati sui diritti umani firmando trattati che sono in contraddizione con quegli stessi obblighi.
L’ACCORDO TRIPS DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE PER IL COMMERCIO
Amnesty International chiede una deroga all’accordo – che regola gli aspetti commerciali relativi ai diritti di proprietà intellettuale – per ampliare la produzione dei vaccini e renderli così disponibili per un maggior numero di persone, Considerato che i diritti di proprietà intellettuale possono ostacolare l’accesso tempestivo a prodotti sanitari salvavita, il Trips comprende tutele note come “flessibilità” che danno la possibilità agli stati di emendare le proprie normative per rispettare al meglio i propri obblighi in materia di sanità pubblica e offrire farmaci per tutti.
La pandemia di Covid-19 ha sollevato quesiti in merito all’adeguatezza di tali tutele ad affrontare le necessità urgenti globali, soprattutto negli stati a basso o medio reddito, considerato che esse si applicano di solito su una base individuale a seconda del paese, del caso e del farmaco. Per questo a ottobre 2020, India e Sudafrica hanno fatto richiesta in sede di OMC di una deroga che permetterebbe ai paesi di non concedere né applicare i brevetti e altri diritti di proprietà intellettuale collegati ai prodotti contro il Covid-19 fino al raggiungimento dell’immunità di gregge globale. Un importante numero di paesi a basso e medio reddito ha espresso il proprio sostegno a questa proposta. La maggior parte dei paesi ad alto reddito si è opposta. Molti altri stati hanno richiesto ulteriori informazioni ed è stata rimandata la decisione per permettere ulteriori consultazioni.
ACCESSO ALLA TECNOLOGIA (C-TAP)
A maggio 2020, Costa Rica e Oms hanno lanciato il pool di accesso alla tecnologia riguardante il Covid-19 (C-Tap), una piattaforma di condivisione volontaria tesa a raccogliere tutti i dati, le conoscenze, il materiale biologico e la proprietà intellettuale, per poi autorizzare la fabbricazione e il trasferimento tecnologico ad altri potenziali produttori sulla base di licenze non esclusive, massimizzando le forniture e abbassando i costi, dunque aumentando la disponibilità e l’accessibilità economica di test diagnostici, cure e vaccini contro il Covid-19. Al mese di dicembre 2020, ancora nessuna azienda aveva ancora aderito al C-Tap. Sebbene abbiano espresso il proprio sostegno quasi 40 stati, i paesi con colossi farmaceutici, tra cui Francia, Germania, Svizzera, Regno Unito e Usa, sono rimasti in silenzio. Alcuni stati sostengono che le licenze volontarie sarebbero da sè sufficienti a garantire ad arginare l’ostacolo dei brevetti, tuttavia, le licenze volontarie tendono a essere accordi bilaterali esclusivi privi di trasparenza e non apportano un contributo adeguato alla massimizzazione di disponibilità e accessibilità, anche economica, per tutti.
Per approfondire:
Covid-19: la nostra lotta per un vaccino equo
Covid-19: il commento di Amnesty International al piano vaccinale italiano